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  • Mercoledì 11 maggio 2022

Meglio saperne di più

È uscito in libreria il nuovo numero di Cose spiegate bene: si occupa di "droghe", e le virgolette hanno una ragione

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Il terzo numero di Cose spiegate bene, la rivista del Post dedicata a singoli temi da raccontare o appunto da spiegare, è in libreria da mercoledì 11 maggio. Si intitola Le droghe, in sostanza e si occupa di tutto quello che in modo impreciso chiamiamo “le droghe”, o che potremmo chiamare “le droghe” (il caffè!).

Cose si può ordinare sul sito del Post (con spedizione gratuita), ma si trova anche nelle librerie online di BookdealerIBSFeltrinelliAmazon: o potete chiederlo alle vostre librerie, e dove speriamo anche di vederci negli incontri dei prossimi mesi. Questa è la presentazione che apre il nuovo numero di Cose, scritta da Luca Sofri, peraltro direttore del Post.

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Un giorno di febbraio del 2022 il Tg1, il telegiornale più istituzionale della rete televisiva pubblica, ha presentato un servizio sull’uso delle «droghe» contro le forme di stress, depressione e sofferenze mentali conseguenti al prolungamento in alcuni pazienti dei sintomi del Covid-19: «la nuova frontiera delle droghe» ha detto lo speaker, e nel servizio si è scandita la parola «psi- che-de-li-che» con la circospezione stupefatta con cui si raccoglierebbe un’arma carica trovata su un marciapiede. Che il Tg1 si sia avventurato – nel 2022, all’ora di pranzo – a raccontare al suo pubblico che le «droghe» possono essere «usate come farmaci» è un sintomo superficiale ma esemplare di molte cose che stanno cambiando nella percezione e nella comprensione di queste sostanze e nei tabù relativi: e questi timidi cambiamenti in corso da qualche tempo sono stati lo spunto per scegliere l’argomento di questo terzo numero di Cose spiegate bene.

Il tema offre due grandi occasioni per rimanere fedeli al titolo di questa rivista: una è, banalmente, linguistica, ma la banalità linguistica si riflette sempre sulla materia delle questioni, ed è sempre privilegiata tra le attenzioni del Post. Si tratta appunto dell’ingannevole distinzione, quando si parla di sostanze che hanno effetti sul nostro corpo e sul nostro cervello, tra le parole «droghe» e «farmaci». Distinzione che nei fatti non esiste, come è più palesemente dimostrato dal fatto che in altre lingue – in inglese: drugs – una sola parola corrisponde alle nostre due. Dal punto di vista di ciò che sono, droghe e medicinali si confondono, e si confondono le loro funzioni e le loro capacità di modificare positivamente e negativamente il nostro stato mentale e fisico. Da tempo ci è familiare l’espressione di «droghe usate a scopo terapeutico» con cui descriviamo quelle che normalmente chiameremmo medicine, e da assai più a lungo ci sono familiari gli «effetti collaterali indesiderati» con cui indichiamo i rischi anche gravi dei medicinali, non tanto diversi da quelli che associamo agli usi o abusi delle droghe, ma senza chiamarli effetti collaterali indesiderati.

La distinzione artificiosa tra i due termini ha quindi il ruolo – e arriviamo alla seconda occasione di «spiegare bene» – di conservare un tabù allarmato nei confronti di «usi non terapeutici» di determinate sostanze, la cui diffusione e i cui rischi per la salute hanno creato dimensioni di pericolo che superano ampiamente la definizione di «effetti collaterali indesiderati»: abbiamo voluto sancire che alcune sostanze sono «buone» e alcune «cattive», in una riduzione binaria della complessità che è tipica del nostro modo di pensare, e che è stata già alla base delle spiegazioni sulle questioni di genere nel precedente numero di Cose. Questa semplificazione schematica è evidentemente ingannevole e fuorviante, gli usi terapeutici sono difficili da separare nettamente dagli altri, i rischi hanno molte misure differenti, e il risultato è una grande mancanza di chiarezza scientifica e culturale nella divulgazione sul tema.
Questa confusione ha però delle motivazioni, buone, benintenzionate, che non si possono mettere in discussione facilmente: si tratta di uno di quei casi, nelle nostre società, in cui tacere la verità – per quanto discutibile sia – mostra dei risultati in termini di difesa delle comunità e dei singoli (altri esempi sono i «segreti di Stato», cosiddetti, o l’esistenza legale di «servizi segreti» e informazioni che non vengono rese pubbliche per ragioni di sicurezza). La creazione di un tabù linguistico e culturale è una scelta di protezione e difesa, soprattutto verso i giovani e le persone minorenni di cui altri hanno la responsabilità, e sappiamo che può dare dei risultati in questo senso (così come conosciamo i rischi che possa darne di opposti): il terrorismo assoluto e generalizzato nei confronti delle droghe – che poi però lascia fuori pericoli in alcuni casi maggiori, come quelli del fumo – è una protezione che è giusto sostituire con una corretta e completa informazione, sapendo però che la corretta e completa informazione non è sufficiente a deresponsabilizzarci rispetto ai rischi che riguardano persone più vulnerabili o agli accidenti che capitano nelle scelte di molti.

Con queste consapevolezza e cautela abbiamo scelto di partecipare a questo lavoro di informazione, portato avanti a livelli scientifici con competenza da molti altri, riconoscendo nelle cose intorno a noi quello che è arrivato a riconoscere persino il Tg1: che c’è una rinnovata curiosità scientifica e culturale per le proficue peculiarità dell’equilibrio tra effetti benefici e dannosi di molte sostanze, e che conoscere e riconoscere le complessità e le differenze nella natura, negli effetti, nell’uso di queste sostanze è una buona maniera di sfruttare quelli benefici e limitare quelli dannosi, meglio di quanto si sia fatto finora.