Taiwan ha abbandonato la strategia “zero COVID”
Dopo due anni di grandi cautele, la variante omicron ha spinto il paese a passare alla convivenza con il coronavirus
Da metà aprile Taiwan sta affrontando la propria peggiore ondata di casi da coronavirus dall’inizio della pandemia. Nell’ultima settimana sono stati segnalati in media oltre 24mila casi positivi al giorno, a fronte delle poche decine di positivi rilevate nei mesi precedenti. Nonostante il marcato aumento, il governo taiwanese ha deciso di abbandonare la strategia “zero COVID” seguita negli ultimi due anni e di convivere con il virus, senza imporre rigide limitazioni alla popolazione. La scelta è opposta rispetto a quella presa dalla Cina, che in condizioni più o meno analoghe ha imposto nuovi rigidi lockdown, che stanno interessando centinaia di milioni di persone (il governo cinese rivendica la sovranità su Taiwan).
Fino a poche settimane fa, Taiwan veniva spesso portata a esempio per illustrare gli effetti positivi della “zero COVID”, strategia che prevede l’avvio di rigidi lockdown non appena si rilevano i primi casi positivi al coronavirus, in modo da impedirne da subito la diffusione. Questo approccio aveva consentito per lungo tempo di tenere sotto controllo la pandemia, facendo registrare poco più di 31mila casi positivi in due anni su una popolazione di quasi 24 milioni di persone.
Come in molti altri paesi che avevano adottato, con declinazioni diverse, la strategia “zero COVID”, le cose erano iniziate a cambiare con l’arrivo della variante omicron, molto più contagiosa delle precedenti, ma nel complesso meno rischiosa soprattutto per le persone completamente vaccinate e con una dose di richiamo. Nella prima metà di aprile, la variante aveva iniziato a circolare tra la popolazione causando in pochi giorni migliaia e poi decine di migliaia di nuovi contagi, in un paese abituato fino ad allora a contare pochi nuovi casi giornalieri.
La novità non aveva sorpreso più di tanto gli osservatori e il governo di Taiwan, considerato che la variante omicron aveva già causato nuove ondate in buona parte dell’Occidente tra la fine del 2021 e i primi mesi del 2022. Già all’epoca vari esperti avevano consigliato al governo taiwanese di cambiare politica, avviando un piano per la fine delle limitazioni e un progressivo abbandono della politica “zero COVID”. La scelta derivava anche dall’osservazione di come stessero andando le cose a Hong Kong, dove una nuova serie di limitazioni e lockdown si era rivelata sostanzialmente inutile nell’arginare la diffusione del contagio, aggiungendo inutili disagi per la popolazione.
Nonostante l’esperienza di Hong Kong, a fine marzo la Cina aveva seguito una strada simile, imponendo un rigido lockdown a Shanghai e in seguito in altre aree del paese. La politica “zero COVID” avrebbe dovuto arginare la diffusione dei contagi, ma dopo più di un mese si è mostrata sostanzialmente inefficace nel tenere sotto controllo la variante omicron. Il governo cinese non sembra però intenzionato ad abbandonare lockdown e limitazioni, che stanno avendo un alto costo per il paese e per i commerci internazionali.
Taiwan ha scelto di seguire una strada diversa, accettando di non poter fermare la diffusione di omicron, ma di avere comunque qualche margine per gestire l’ondata senza chiedere ulteriori sacrifici alla popolazione. L’impiego dell’equivalente del nostro Green Pass è stato abbandonato, i tempi di isolamento per i positivi sono stati ridotti e l’impiego delle mascherine in varie circostanze è passato da richiesto a consigliato.
Il governo sta provando a responsabilizzare la popolazione, soprattutto per quanto riguarda l’isolamento nel caso si scopra di essere positivi con un test casalingo. Altri sforzi sono orientati verso la campagna vaccinale, per aumentare il numero di persone vaccinate. Poco meno dell’80 per cento della popolazione è completamente vaccinato, mentre le persone con dose di richiamo sono circa il 60 per cento.
Molte persone anziane non sono però ancora vaccinate o non hanno ricevuto il richiamo, mentre il governo ha di recente autorizzato la somministrazione di una quarta dose per gli over 65. Solo di recente è stata inoltre resa possibile la vaccinazione per i bambini con meno di 12 anni, da tempo richiesta dai genitori con petizioni e altre iniziative.
Il passaggio dalla “zero COVID” alla convivenza con il coronavirus non è però stato semplice, soprattutto perché dopo due anni di pandemia la popolazione si era abituata a percepire come molto alto il rischio di ammalarsi, proprio per via delle politiche di contenimento molto severe. Queste erano state decise e perfezionate in una fase in cui i vaccini non erano ancora disponibili, le possibilità di cura erano limitate e le varianti in circolazione tendevano a causare più casi gravi rispetto alla variante omicron (i cui effetti sarebbero comunque stati mitigati soprattutto dagli effetti della vaccinazione).
Il governo ha sfruttato proprio le caratteristiche di omicron e il fatto che il 99,8 per cento dei positivi mostri al massimo sintomi lievi per convincere la popolazione sull’opportunità del cambio di politica, anche in riferimento all’andamento della pandemia in altri paesi. La scorsa estate alcuni sondaggi avevano mostrato come la popolazione fosse contraria a un allentamento delle limitazioni, temendo che potesse essere prematuro. Da allora la fiducia nel governo e nella gestione della pandemia era comunque aumentata, condizione che ha facilitato le decisioni delle ultime settimane e la loro comunicazione.
I problemi non sono comunque mancati e nella fase di transizione da un approccio all’altro il governo ha dimostrato di non essere sempre preparato. Alcune regole sono cambiate più volte nel corso di pochi giorni e continuano a esserci storture e in alcuni casi discriminazioni. Ci sono per esempio regole diverse per i cittadini di Taiwan e gli immigrati, anche nel caso in cui si lavori per la stessa azienda o nello stesso stabilimento produttivo.
Negli ospedali non ci sono i dispositivi di protezione necessari per consentire al personale sanitario di lavorare in sicurezza, anche nel caso in cui debbano trattare pazienti positivi, ma che si presentano in ospedale per altri problemi di salute. I test antigenici sono poco diffusi e si formano ogni giorno lunghe code davanti alle farmacie, che dispongono di poche decine di test, non sufficienti a soddisfare la domanda. La quantità di casi positivi è quindi sicuramente più alta dei contagi indicati nei conteggi ufficiali, fenomeno che si è verificato un po’ ovunque fin dall’inizio della pandemia e ora reso ancora più evidente in seguito all’alta circolazione della variante omicron.
Secondo i conteggi ufficiali, dall’inizio della pandemia a Taiwan sono morte poco meno di 900 persone, uno dei dati più bassi in tutto il mondo. I decessi sono stati circa 38 per milione di persone, contro i 2.700 per milione in Italia. Nell’ultimo mese a Taiwan sono morte per COVID-19 42 persone, in Italia oltre 3.800.