L’ultima volta che l’Italia ospitò l’Eurovision
Nel 1991 a Roma condussero la serata Gigliola Cinquetti e Toto Cutugno, e fu un mezzo disastro
Martedì sera a Torino si terrà la serata di apertura della 66esima edizione dell’Eurovision Song Contest, il più famoso e seguito concorso musicale al mondo, che si concluderà sabato 14 maggio. L’edizione di quest’anno è a Torino perché la scorsa era stata vinta dalla band italiana dei Måneskin e da regolamento il paese ospite è il vincitore dell’anno precedente. L’ultima volta che l’Eurovision era stato ospitato dall’Italia era il 1991, 31 anni fa, per la 35esima edizione: si chiamava ancora Eurofestival e si svolse in una sola serata, il 4 maggio. Fu, a detta di molti, un mezzo disastro.
Il primo imprevisto arrivò diversi mesi prima della competizione. Inizialmente, infatti, l’edizione del 1991 avrebbe dovuto tenersi nel teatro Ariston di Sanremo, in onore del Festival della canzone italiana che ispirò l’Eurovision alla sua nascita nel 1956. A gennaio però la Rai decise di spostare tutto a Roma, nello studio 15 di Cinecittà. Il motivo principale del cambio di teatro fu che serviva un posto che garantisse alle delegazioni straniere in trasferta una maggiore sicurezza in un momento storico in cui era in corso la guerra del Golfo (che poi finì a febbraio) e in cui c’erano diverse tensioni e conflitti in Jugoslavia. Inoltre, l’Unione europea di radiodiffusione, l’ente che organizza la competizione, aveva concluso che il teatro di Sanremo era troppo piccolo per uno spettacolo di quelle dimensioni. Pur di non rinunciare, Sanremo propose di sfruttare tre teatri diversi della città, ma senza successo.
Visto lo scarso preavviso sul cambio di teatro, la scenografia fu completata all’ultimo momento, con alcuni elementi che ricordavano i templi antichi e altri raffiguranti edifici moderni, alcuni dei quali riciclati dai film girati precedentemente a Cinecittà. Inoltre il traffico di Roma portò non pochi problemi all’organizzazione e diversi ritardi. I concorrenti in gara ebbero poco tempo per fare le prove e questo si tradusse in svariati problemi tecnici di audio e luci. Sulla Repubblica di quei giorni si leggeva inoltre che «gli scenografi che hanno attrezzato il grande studio dal quale andrà in onda il Festival hanno avuto un gran da fare proprio per sistemare la stampa: nessuno si aspettava che gli accrediti (di cui l’ottanta per cento stranieri) arrivassero a toccare le cinquecento unità».
L’edizione del 1991 fu presentata da Gigliola Cinquetti, che aveva vinto l’Eurofestival nel 1964 con “Non ho l’età”, e Toto Cutugno che aveva vinto l’edizione dell’anno prima con “Insieme: 1992”. Il fatto che entrambi fossero cantanti senza una particolare preparazione come presentatori televisivi fu probabilmente una delle ragioni per cui tutta la trasmissione risultò poi improvvisata e goffa. Anche perché in quegli anni i programmi televisivi in generale e l’Eurovision in particolare avevano standard di conduzione più formali e impostati di oggi. Cinquetti e Cutugno si parlavano spesso addosso e Cutugno in particolare viene ricordato per le moltissime battute e commenti fuori copione.
Sia Cinquetti che Cutugno parlarono in italiano per la maggior parte del tempo, nonostante le lingue ufficiali del festival siano l’inglese e il francese. In un articolo uscito in quei giorni sul Corriere della Sera si raccontava che Cutugno si rese «protagonista di una piccola battaglia personale conquistando per la prima volta nella storia dell’Eurofestival la possibilità di comunicare i risultati delle votazioni, oltre che in inglese e in francese – lingue ufficiali – anche nella lingua del paese ospitante. “L’Italia non è mica una colonia” ha affermato in un’impennata d’orgoglio».
La competizione durò più del previsto, più di 3 ore, e su YouTube si trovano ancora oggi diversi video che raccolgono i momenti più buffi. Il culmine arrivò al momento delle votazioni, sul finire della serata. I punteggi venivano annunciati prima in inglese o francese per telefono, con un collegamento in diretta da ogni paese partecipante, e poi ripetuti ogni volta – con molti errori e incomprensioni – in francese, in inglese e in italiano da Cinquetti e Cutugno, il quale a un certo punto chiese con fare sbrigativo di «dare un po’ di ritmo alle votazioni, sono troppo lente».
Il momento più imbarazzante fu quello in cui la Turchia non rispose alla chiamata dallo studio e Cutugno commentò dicendo tra le altre cose «facciamo qualcosa, parliamo un po’ con gli artisti, ci mettiamo a cantare, a suonare, a far qualcosa, non so». In quel momento Cutugno interpellò ripetutamente (sempre in italiano) il supervisore dell’Eurofestival dal 1978, Frank Naef, ripetendo più volte il suo nome e mettendolo evidentemente in difficoltà. Anche sul sito ufficiale dell’Eurovision si legge che «la competizione del 1991 è meglio ricordata per essere stato un caos e perché il supervisore esecutivo Frank Naef fu più volte interpellato dai presentatori per avere precisazioni, specialmente durante i punteggi».
Alla fine di tutte le telefonate internazionali, arrivò il momento di quella a Roma, per avere i punteggi italiani, ma rispose una voce che parlò francese scatenando nuovamente il fastidio di Cutugno: «A Roma si parla francese? Parlate un attimo in italiano per favore».
Alla fine arrivarono a pari merito la cantante svedese Carola e la cantante e attrice francese Amina: vinse la prima perché il regolamento diceva che tra le due avrebbe avuto un vantaggio quella che aveva ricevuto più volte il massimo dei punti (oggi il regolamento è cambiato e privilegia il vincitore votato da più paesi).
Il concorrente italiano Peppino Di Capri e la sua canzone in napoletano “Comme é ddoce ‘o mare” non furono particolarmente apprezzate. Addirittura sul Corriere della Sera, il giorno dopo la finale, si lesse: «circolava una battuta perfida: con la sua presenza la Rai si era cautelata per evitare una nuova vittoria dell’Italia che avrebbe costretto l’Ente a organizzare di nuovo la gara».
Questa tesi persistette a lungo, alimentata dal fatto che l’Italia, nonostante fosse tra i paesi fondatori del concorso, si ritirò dall’Eurovision un paio di anni dopo, giustificandosi con lo scarso interesse del pubblico, e non partecipò per diversi anni. Ci tornò nel 1997 con i Jalisse, ma poi l’anno dopo di nuovo non partecipò, questa volta rimanendo fuori dalla competizione per tredici anni, nonostante sporadiche proteste in Italia e anche all’estero. Questa lunga assenza è il motivo per cui l’Eurovision contemporaneo, quello che si definì negli anni Duemila con l’estensione dei paesi partecipanti, la trasformazione dell’estetica in senso più spettacolare e tamarro, e con l’introduzione del televoto, rimase a lungo quasi sconosciuto qui. L’Italia tornò a partecipare nel 2011 con Raphael Gualazzi, che aveva vinto la categoria Giovani a Sanremo.
Da allora, piuttosto lentamente, l’Eurovision è tornato ad avere una certa popolarità e a essere seguito anche in Italia, specialmente da quando nel 2016 la finale è trasmessa su Rai 1 (prima era su Rai 4). L’Eurovision è diventato infine un evento davvero conosciuto in Italia nel 2019 con la partecipazione di Mahmood, che arrivò secondo a pochi punti dalla vittoria, e soprattutto nel 2021 con la vittoria dei Måneskin.