L’Unione Europea fatica a mettersi d’accordo sul petrolio russo
L'Ungheria continua a opporsi al blocco delle importazioni, rendendo difficili le trattative
Gli stati membri dell’Unione Europea stanno faticando a trovare un accordo sul nuovo insieme di sanzioni economiche contro la Russia, annunciato mercoledì scorso e che prevede il blocco delle importazioni del petrolio russo. I rappresentanti dei 27 paesi europei avrebbero dovuto raggiungere un accordo domenica, ma Ungheria, Slovacchia e in parte Repubblica Ceca si sono dette contrarie alla misura sul petrolio. Nuove riunioni sono in programma per la prima metà della settimana, ma al momento una mediazione appare difficile.
Il divieto di importare combustibili fossili dalla Russia è considerato molto importante per ridurre le fonti di ricavo del governo russo, in modo da rendere più difficoltoso il finanziamento della guerra in Ucraina. Si stima che nei due mesi dall’inizio dell’invasione russa del paese, l’Unione Europea abbia importato l’equivalente di 42 miliardi di euro in combustibili fossili. La Commissione europea vorrebbe ridurre la dipendenza dalle forniture russe il più possibile, sia per quanto riguarda il petrolio, sia in prospettiva per quanto riguarda il gas.
La decisione di mettere al bando il petrolio russo annunciata la scorsa settimana era stata accolta favorevolmente da alcuni dei paesi più grandi dell’Unione Europea, meno dipendenti dalle forniture russe, mentre aveva ricevuto critiche dai paesi che dipendono dalla Russia per le importazioni di petrolio. In particolare, i governi dell’Ungheria e della Slovacchia avevano detto di non essere favorevoli al blocco, chiedendo che fossero concesse esenzioni o per lo meno rinvii nell’entrata in vigore delle nuove regole.
Il più critico era stato il primo ministro ungherese Viktor Orbán, che aveva equiparato i divieti sul gas russo proposti dalla Commissione europea a una «bomba nucleare» per l’economia del suo paese. Il governo slovacco aveva usato toni meno forti, così come quello della Repubblica Ceca alla ricerca di più tempo per organizzare il passaggio a nuovi fornitori.
Secondo alcuni documenti ottenuti da Politico e su cui i diplomatici europei hanno lavorato domenica, ci sarebbe la disponibilità a concedere all’Ungheria e alla Slovacchia una scadenza più avanti nel tempo per interrompere le importazioni di petrolio russo. Invece di fermarsi entro sei mesi, come previsto per gli altri stati europei nel caso del petrolio greggio (ed entro un anno per quello raffinato), i due paesi potrebbero proseguire a impiegare il petrolio russo per tutto il 2024, mentre la Repubblica Ceca avrebbe fino alla metà del 2024.
La proposta di compromesso non sarebbe stata giudicata sufficiente dall’Ungheria, che vorrebbe ottenere una totale esenzione dal divieto di impiegare petrolio russo. Orbán sostiene che per l’Ungheria potrebbero essere necessari almeno cinque anni prima di trovare alternative, perché il paese non ha sbocchi sul mare e non può quindi fare affidamento su sistemi di importazione diversi dagli oleodotti esistenti.
Una completa esenzione per l’Ungheria sarebbe però inaccettabile, sia perché indebolirebbe la posizione dell’Unione Europea nei confronti della Russia, sia perché costituirebbe un pericoloso precedente nell’ambito della gestione delle politiche condivise, tanto più in un settore così importante come quello energetico.
A causa di questa differenza di posizioni, le nuove sanzioni contro la Russia potrebbero entrare in vigore con un po’ di ritardo, anche se le istituzioni europee dicono di essere ottimiste sulla possibilità di trovare un accordo entro la metà di questa settimana. Le pressioni dagli Stati Uniti, che spingono per l’interruzione delle importazioni del petrolio russo, potrebbero influire sul confronto, anche perché il governo statunitense ha fatto intendere di essere disponibile ad aiutare i paesi che potrebbero essere più in difficoltà; domenica il G7 si è impegnato a fermare le importazioni.