Il giornalismo di Joseph Pulitzer
È considerato un esempio e ricordato grazie ai famosi premi, ma se ebbe successo fu anche attraverso un approccio che oggi definiremmo sensazionalistico
Lunedì sera verranno annunciati i vincitori dei premi Pulitzer, considerati tra i più importanti premi americani di giornalismo e letteratura. L’uomo a cui sono dedicati, Joseph Pulitzer, era un immigrato ebreo ungherese che acquistò e diresse due giornali locali a New York e Saint Louis tra la fine del Diciannovesimo e l’inizio del Ventesimo secolo. Tra i suoi meriti ci fu quello di raccontare le storie che riguardavano la classe lavoratrice e le comunità di immigrati, di aumentare la diffusione dei giornali tra i meno abbienti e di portare avanti un modello giornalistico indipendente di successo.
Oggi il suo nome viene accostato a criteri di eccellenza giornalistica, ma all’epoca Pulitzer era noto soprattutto per il suo approccio sensazionalistico alle notizie, con una predilezione per le storie di cronaca nera e una certa indulgenza nei confronti dei dettagli scabrosi inventati per rendere le notizie più accattivanti.
Dopo aver provato ad arruolarsi in vari eserciti in Europa senza successo, Joseph Pulitzer arrivò negli Stati Uniti a 17 anni per combattere con gli stati dell’Unione nella guerra civile americana. Oltre all’ungherese, parlava tedesco e francese, ma ci mise un po’ a imparare l’inglese.
Dopo la guerra andò a Saint Louis, in Missouri, dove fece molti lavori occasionali e scrisse il suo primo reportage giornalistico sul Westliche Post, un quotidiano in lingua tedesca. L’articolo raccontava di una frode che aveva subito insieme ad altri lavoratori: un uomo aveva promesso di procurare loro un lavoro in una piantagione di zucchero della Louisiana in cambio di 5 dollari a testa; dopo aver pagato la cifra, però, i lavoratori erano stati trasportati in battello in un posto sperduto ed erano stati abbandonati lì, dove non c’era alcuna piantagione e alcun lavoro da svolgere.
In quegli anni a Saint Louis, frequentando la sede del Westliche Post, Pulitzer conobbe politici e avvocati, cominciò a lavorare per le ferrovie, studiò legge ed entrò in circoli culturali di letterati e filosofi. Quando aveva appena 22 anni si unì al partito Repubblicano e fu eletto nell’amministrazione dello stato del Missouri. Dopo qualche anno prese le distanze da alcuni colleghi del suo partito per avvicinarsi alle idee dei Democratici, che per molti versi erano più vicini alle sue idee ma che aveva inizialmente escluso in quanto partito favorevole alla schiavitù.
A 31 anni, Pulitzer comprò le società di due giornali locali ormai vicini al fallimento, il St. Louis Dispatch e il St. Louis Post: ne tirò fuori il St. Louis Post and Dispatch, detto anche Post-Dispatch, che è ancora oggi il quotidiano a maggior diffusione nella zona di Saint Louis. Gli diede una linea editoriale che oggi definiremmo populista e divenne una delle espressioni più note del giornalismo sensazionalistico dell’epoca e degli anni a seguire.
Nel giro di due anni la tiratura del giornale passò da 4mila a 8mila copie e in quattro anni superò le 22mila. Nel frattempo Pulitzer continuava la sua attività politica, sostenendo col suo giornale i candidati Democratici e candidandosi a sua volta per il Congresso ma senza riuscire a essere eletto.
Il 13 ottobre del 1882, l’avvocato Alonzo Slayback – socio di James Broadhead, candidato Repubblicano al Congresso – entrò nella redazione del Post-Dispatch con una pistola per sfidare il caporedattore del giornale, John Cockerill, che l’aveva definito un «codardo». In risposta, Cockerill gli sparò e l’uccise. Questo episodio attirò lo sdegno di molti lettori del Post-Dispatch: Pulitzer sostituì il suo caporedattore (che non fu mai processato per l’omicidio) ma da allora la sua reputazione e quella del giornale in città furono definitivamente compromesse.
Anche per questo, nel 1883 Pulitzer andò a New York e dopo qualche trattativa comprò il giornale locale New York World. Anche questa volta ne risollevò le sorti e nel 1890 la tiratura arrivò a diverse centinaia di migliaia di copie, la più grande in tutto il paese. Divenne il primo giornale della città a sostenere il partito Democratico e nel primo numero dopo il passaggio di proprietà Pulitzer scrisse che sarebbe stato un giornale «dedicato alla causa del popolo anziché a quella dei potenti».
Il World di Pulitzer raccontò cose che nessuno aveva mai raccontato, come le condizioni di vita e di lavoro della popolazione immigrata che viveva nella zona sud-orientale di Manhattan, e portò all’attenzione questioni sociali che divennero per la prima volta parte del dibattito politico nazionale.
La chiave del successo del New York World era la stessa che Pulitzer aveva già collaudato a Saint Louis: fare un giornale che fosse soprattutto di intrattenimento per i lavoratori, che volevano qualcosa di appassionante da leggere nel tempo libero. Incoraggiò i suoi giornalisti a scrivere come Charles Dickens, partendo dai fatti documentati e aggiungendo una dimensione drammatica, da romanzo. Usò la pubblicità non solo come fonte di guadagno, ma come servizio per i lettori che cercavano informazioni pratiche su cosa comprare. L’edizione domenicale del giornale conteneva racconti a puntate, modelli di sartoria, spartiti e per la prima volta pagine a colori.
David McGrath Morris, autore della biografia Pulitzer: A Life in Politics, Print, and Power, ha detto a BBC Mundo che «Pulitzer aveva la prospettiva unica degli immigrati sulla cultura e sulla società americane, che gli diede un vantaggio nei suoi reportage e gli permise di offrire qualcosa di diverso al lettore. I giornali di quel tempo erano molto monotoni e noiosi, quindi [Pulitzer] produsse un giornale con storie interessanti da comprare e leggere tornando a casa dal lavoro».
Il World ebbe talmente tanto successo che divenne un esempio importantissimo di giornalismo indipendente dai partiti politici e da altri finanziamenti e interessi. Nei suoi editoriali Pulitzer sfidava la classe politica chiedendo riforme che tutelassero i lavoratori e tassassero di più i più ricchi. In quegli anni Pulitzer assunse la giornalista investigativa Nellie Bly, che scriveva storie sotto copertura, e fece costruire il New York World Building, che allora era il più alto grattacielo tra quelli costruiti dai giornali della città.
Nel 1884 fu eletto alla Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, ma il suo impegno col giornale lo portò a dare le dimissioni appena due anni dopo.
Almeno all’inizio e almeno nella teoria, Pulitzer predicava un’attenzione ai principi giornalistici di fattualità e verifica delle fonti: questo approccio venne però sempre più compromesso dalla linea editoriale del giornale, che appunto voleva trasformare le notizie in una lettura di intrattenimento per la classe lavoratrice.
Tra le pagine a colori dell’edizione domenicale c’erano le strisce del fumetto The yellow kid, che il New York World condivideva col suo principale rivale, il New York Journal, dell’imprenditore ed editore William Randolph Hearst. Negli ultimi anni dell’Ottocento, proprio per via del fumetto, i giornali tradizionali cominciarono a riferirsi al giornalismo del World e del Journal col termine yellow journalism (“giornalismo giallo”): entrambi avevano un approccio sensazionalistico, basato su storie spesso parzialmente inventate, con titoli accattivanti e dettagli morbosi, che fu esasperato ancora di più dalla competizione tra i due. Nacque un movimento per vietare la diffusione dei due giornali nelle biblioteche pubbliche, ma intanto questo approccio – che funzionava e faceva vendere copie – aveva cominciato a diffondersi in molte altre testate nel resto del paese e nel mondo.
Oggi è l’approccio tipico dei tabloid e dei giornali di gossip, che però è presente anche in certe televisioni e media più “tradizionali”.
Quella tra il World e il Journal divenne una competizione accanita che si basava sul numero di copie vendute e che portò, nel 1899, a un famoso sciopero (a cui si ispira anche un film: Gli strilloni) dei giovani che distribuivano i giornali nelle case e che ottennero di poter restituire gli invenduti che fino a quel momento avevano dovuto pagare di tasca propria.
Uno dei momenti più imbarazzanti di questa competizione risale al 1898, durante la guerra tra Stati Uniti e Spagna per Cuba. Quando il Journal pubblicò un articolo su uno scoop che riguardava un colonnello dal curioso nome di Reflipe W. Thenuz, i giornalisti del World ripubblicarono la stessa storia il giorno successivo senza verificarla e Hearst denunciò il furto dello scoop rivelando che il nome del colonnello era in realtà inventato e nascondeva la frase “we pilfer the news” (rubiamo le notizie).
Il biografo McGrath Morris sostiene però che Pulitzer fosse in quel periodo poco coinvolto in queste cose, perché una delle figlie era morta da poco e lui si era allontanato da New York per affrontare il lutto, ma che quando tornò ripristinò almeno un po’ gli standard di qualità del giornale.
Nel 1892 Pulitzer propose alla Columbia University un finanziamento per l’istituzione della prima scuola di giornalismo degli Stati Uniti. Fino a quel momento infatti la professione del giornalista non era mai stata legata a un percorso di formazione e non aveva una buona fama. Il presidente di allora, Seth Low, rifiutò la proposta: un po’ perché Pulitzer era considerato un personaggio controverso, un po’ perché si pensava al giornalista come a un tecnico e non come a un professionista con una formazione universitaria umanistica come quella che dava ai suoi studenti la Columbia. Quello che arrivò dopo, Nicholas Murray Butler, si mostrò più ben disposto.
Pulitzer morì nel 1911 e lasciò 2 milioni di dollari per l’apertura della Columbia University Graduate School of Journalism, che però arrivò dopo la scuola di giornalismo dell’Università del Missouri, sempre voluta da Pulitzer. Entrambe sono ancora oggi tra le più prestigiose del mondo.
Fu la Columbia University a istituire, nel 1917, sei anni dopo la morte di Pulitzer, i premi in suo onore, che vengono assegnati ogni anno in 21 categorie che riguardano il giornalismo, la letteratura, la storia, la poesia e il teatro. Lo scopo dei premi è anche di proteggere il giornalismo indipendente e premiare soprattutto le organizzazioni giornalistiche più piccole, le cui inchieste funzionano da organo di controllo dei governi e dei potenti. «Il Pulitzer ha lo stesso effetto del Nobel quando viene dato ai dissidenti, li protegge e li premia: saranno sempre riconosciuti come vincitori. Questo ha una grande importanza» ha spiegato McGrath Morris.