Un Eurovision diverso dal solito
In Italia dopo oltre 30 anni, con una guerra in Europa e l'Ucraina già protagonista e favorita: ma la politica c'entra fino a un certo punto
Fra martedì 10 e sabato 14 maggio si terrà a Torino l’Eurovision Song Contest, il più famoso e seguito concorso musicale al mondo, a cui partecipano una quarantina di paesi e che ogni anno attira decine di milioni di spettatori sparsi nel mondo, specialmente in Europa ma anche in alcuni paesi di altri continenti che nel tempo si sono affezionati alla competizione. L’edizione di quest’anno si disputerà a Torino perché la scorsa, tenuta a Rotterdam, nei Paesi Bassi, era stata vinta dalla band italiana dei Måneskin: da regolamento, il paese vincitore è tenuto a ospitare l’edizione dell’anno successivo.
Sarà comunque un Eurovision un po’ diverso da quelli a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, in quanto il primo da una trentina d’anni a svolgersi durante una guerra in Europa: nel 1993 e nel 1994 si combatteva in Bosnia ed Erzegovina, oggi in Ucraina a causa dell’invasione della Russia. L’edizione di Torino sarà inoltre la prima a tornare alla quasi-normalità dopo la pandemia da coronavirus: nel 2020 l’Eurovision fu cancellato, mentre nel 2021 la campagna vaccinale era appena iniziata e l’edizione olandese prevedeva controlli scrupolosissimi e una presenza limitata. Infine, sarà il primo Eurovision gestito e organizzato dalla RAI da più di trent’anni: l’ultima edizione italiana si tenne a Roma nel 1991, fu presentata da Toto Cutugno e Gigliola Cinquetti e fu un discreto disastro.
La guerra in Ucraina ha avuto due principali conseguenze sull’Eurovision. La prima è stata l’espulsione della Russia dalla gara, arrivata dopo un primo tentennamento degli organizzatori, cioè l’Unione Europea di radiodiffusione (nonostante il nome, non è un organo dell’Unione Europea). La seconda è un inevitabile moto di simpatia e benevolenza nei confronti dei concorrenti ucraini: cioè la Kalush Orchestra, un terzetto che mescola l’hip hop alle melodie tradizionali della musica popolare ucraina e porta una canzone intitolata “Stefania”.
La canzone non contiene riferimenti espliciti alla guerra – è dedicata alla madre di uno dei componenti del gruppo – ma la Kalush Orchestra ha anticipato che ci saranno molte «sorprese» e simbologie sulla «situazione attuale» nella loro esibizione, prevista per la semifinale di martedì. Tutto questo, unito al fatto che “Stefania” ha un ritornello piuttosto orecchiabile, rende la Kalush Orchestra favoritissima per la vittoria finale. Ne sono certi sia le agenzie di scommesse sia la maggior parte degli addetti ai lavori. «Farò di tutto perché il nostro paese non vinca soltanto la guerra, ma anche l’Eurovision», ha detto di recente uno dei membri della band, Oleksandr Slobodianyk.
Non tutti però sono convinti che la Kalush Orchestra vincerà davvero l’edizione di quest’anno. «Il pubblico sta dimostrando grande supporto per l’Ucraina, ma non credo che arriveranno primi», ha detto ad Agence-France Presse Dean Vuletic, professore di storia contemporanea dell’Università di Vienna considerato uno dei massimi esperti mondiali di Eurovision. «Nel 1993 la Bosnia ed Erzegovina e la Croazia parteciparono all’Eurovision ma non finirono nemmeno nei primi posti», nonostante i due paesi fossero sotto attacco della Serbia.
Negli ultimi anni però il pubblico e le giurie nazionali dell’Eurovision hanno dimostrato più volte di sapere interpretare in maniera collettiva un certo spirito del tempo. L’edizione del 2013 fu vinta dall’austriaca Conchita Wurst, una drag queen e attivista per i diritti della comunità LGBT+, e negli anni successivi fu approvata in tutta Europa una serie di leggi che hanno legalizzato il matrimonio gay o le unioni civili. Nell’edizione del 2021 il concorrente britannico, il cantante James Newman, ottenne un totale di zero punti sia dalle giurie nazionali sia dal televoto: una cosa mai successa dall’applicazione del nuovo regolamento sul voto e da molti messa in relazione al fatto che pochi mesi prima il Regno Unito aveva completato l’uscita dall’Unione Europea. La canzone, a dirla tutta, era particolarmente dimenticabile.
Sui giornali britannici il caso di Newman rinnovò lo stereotipo assai radicato nel Regno Unito che i risultati all’Eurovision dipendano principalmente da fattori politici o geopolitici. E cioè che per esempio i paesi dell’Est Europa per vincere debbano cercare soprattutto i voti dei paesi vicini, più sensibili ai loro gusti e alla loro cultura, oppure che la Francia per attrarre una fetta ampia di pubblico debba smettere di cantare in francese o esibire ostentatamente la propria “francesità”, per così dire. In realtà è una tesi sempre meno vera, e lo hanno dimostrato gran parte delle vittorie degli ultimi vent’anni, andate tra le altre a paesi come la Lettonia, la Turchia, l’Azerbaijan e la Serbia, senza ragioni politiche ma per motivi essenzialmente legati al carisma del o della cantante in gara o all’efficacia della canzone proposta.
Nessuna ricerca ha mai dimostrato che negli ultimi anni il voto per blocchi sia stato decisivo per vincere, anzi. Uno degli studi più citati sui voti all’Eurovision, pubblicato nel 2014 dagli studiosi Marta Blangiardo e Gianluca Baio, ha concluso invece che sebbene «esistano delle particolari tendenze di voto che emergono in vari casi», «non è chiaro se questa possa essere considerata la prova definitiva di una parzialità, sia in termini di favoritismo sia in termini di discriminazione». Poi c’è da considerare il gusto sempre più uniforme del pubblico europeo e occidentale, plasmato dalla diffusione di Spotify e YouTube, ormai i principali canali con cui soprattutto i più giovani ascoltano musica.
Sempre più spesso all’Eurovision vincono quindi canzoni che hanno un tratto distintivo che rimane appiccicato alla stragrande maggioranza di spettatori e giurati nazionali. «Il segreto non è avere uno stile particolare ma portare qualcosa di differente e che cattura l’attenzione», ha scritto l’Economist qualche anno fa in un articolo intitolato «Come vincere l’Eurovision», ricco di pareri di artisti e addetti ai lavori.
È la ragione per cui dopo la Kalush Orchestra i favoriti per una eventuale vittoria finale sono i concorrenti italiani Mahmood e Blanco, che partecipano all’Eurovision dopo avere stravinto il Festival di Sanremo con “Brividi”, che porteranno anche a Torino. Rispetto alla stragrande maggioranza delle canzoni, spesso tanto tamarre quanto poco raffinate, “Brividi” è considerata di un altro campionato, per la contemporaneità dell’arrangiamento, il talento individuale di Mahmood e Blanco, e il modo intimo ma allo stesso tempo coinvolgente in cui i due interagiscono sul palco durante la canzone.
È plausibile che quest’anno in Italia ci si accorgerà dell’Eurovision più del solito sia per Mahmood e Blanco sia per il fatto che le tre serate si terranno al PalaOlimpico di Torino, i cui biglietti sono andati esauriti nel giro di pochi minuti. La settimana dell’Eurovision sarà un evento con pochi precedenti di attenzioni e curiosità, forse paragonabile soltanto alle ultime edizioni del Festival di Sanremo.
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Anche la Rai, che trasmetterà per intero tutta l’edizione, ha investito parecchio per evitare un’edizione con moltissimi inciampi e problemi tecnici come fu quella del 1991: le tre serate saranno trasmesse su Rai 1, cosa mai successa negli ultimi anni, e per gestire la serata sono stati coinvolti due cantanti famosi anche fuori dall’Italia come Laura Pausini e Mika, oltre a uno dei più brillanti e contemporanei conduttori italiani, Alessandro Cattelan.
Per quanto riguarda le precauzioni per la pandemia, il PalaOlimpico sarà aperto al cento per cento della capienza ma tutti gli spettatori saranno tenuti a indossare una mascherina, in base alle norme previste dal ministero della Salute per gli eventi al chiuso. I circa quattromila addetti ai lavori fra artisti, tecnici e giornalisti dovranno invece sottoporsi a un test che accerti la propria negatività ogni 72 ore.