Un tribunale bielorusso ha condannato a sei anni di carcere la dissidente Sofia Sapega
Un tribunale bielorusso ha condannato a sei anni di carcere Sofia Sapega, cittadina russa che era stata arrestata insieme al fidanzato, il giornalista d’opposizione bielorusso Roman Protasevich, dopo il dirottamento di un aereo Ryanair su cui stavano viaggiando il 23 maggio dello scorso anno. Sapega è stata condannata con l’accusa di incitamento all’odio sociale e per aver diffuso illegalmente informazioni sulla vita privata di altre persone senza il loro consenso: quest’ultima accusa si riferisce a informazioni personali di politici e funzionari bielorussi, che secondo il tribunale Sapega avrebbe diffuso su Internet. Il processo nei confronti di Protasevich deve invece ancora iniziare.
Il 23 maggio del 2021 Sapega e Protasevich stavano viaggiando su un aereo della compagnia Ryanair da Atene, dove si trovavano in vacanza, verso Vilnius, in Lituania, dove entrambi vivevano. L’aereo era quasi entrato nello spazio aereo della Lituania quando i controllori di volo bielorussi avevano avvisato i piloti di presunti esplosivi a bordo (esplosivi poi non trovati). L’aereo era stato così costretto a compiere una deviazione di circa 200 chilometri rispetto alla meta originale, e atterrare a Minsk, in Bielorussia. Una volta atterrati, Sapega e Protasevich erano stati arrestati.
Sapega, che ha 24 anni, prima del dirottamento studiava all’università in Lettonia, dove aveva conosciuto Protasevich alla fine del 2020. Protasevich è uno dei fondatori del principale organo di informazione indipendente della Bielorussia, Nexta, molto critico nei confronti del regime autoritario del presidente bielorusso Alexander Lukashenko. Viveva all’estero dal 2019 e pochi mesi prima del dirottamento era stato accusato dal regime bielorusso di «atti di terrorismo» per aver sostenuto le proteste contro Lukashenko, che governa dal 1994.
Dopo il loro arresto, sia Protasevich che Sapega erano comparsi in alcuni video diffusi dalle autorità bielorusse e in cui sembravano confessare le presunte attività illegali commesse, molto probabilmente forzati dal regime.
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