La restrizione del diritto all’aborto negli Stati Uniti è inevitabile?
Sembrano esserci poche opzioni per i Democratici americani che vogliono opporsi alle intenzioni della Corte Suprema
Lunedì Politico aveva pubblicato la bozza di una decisione della Corte Suprema che sembrava ribaltare la sentenza che dal 1973 garantisce l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza a livello federale negli Stati Uniti. Il presidente della Corte, John Roberts, ha poi confermato l’autenticità della bozza, certificando in sostanza che la Corte si prepara a restringere l’accesso all’aborto in tutto il paese. I Democratici e i principali gruppi che difendono il diritto all’interruzione di gravidanza stanno cercando di capire cosa possano fare a questo punto, ma le opzioni a loro disposizione sono pochissime.
Negli Stati Uniti l’aborto è legale a livello federale grazie alla storica sentenza “Roe v. Wade” del 1973, ma non c’è una legge unica che ne stabilisce le modalità. Ciascuno stato può regolarsi come ritiene, nei limiti della sentenza: è la ragione per cui ormai da anni l’aborto è teoricamente legale ma di fatto estremamente limitato in alcuni stati saldamente governati dai Repubblicani.
Sulla carta il modo più semplice per garantire il diritto all’aborto a livello federale sarebbe approvare una legge apposita. Martedì durante alcune manifestazioni di protesta spontanee davanti all’edificio della Corte Suprema ci sono stati diversi cori «fate qualcosa, Democratici!», per esortare il partito a prendere iniziativa.
“Do something, democrats!” chant outside the Supreme Court pic.twitter.com/Jx8GrelFy8
— philip lewis (@Phil_Lewis_) May 3, 2022
Il problema principale è che i Democratici non hanno i poteri necessari per farlo, nonostante controllino la Casa Bianca ed entrambe le Camere. Come per ogni riforma rilevante, al Senato servirebbero 60 voti sui 100 disponibili per approvare una nuova legge sull’aborto. I Democratici ne esprimono appena 50, e hanno la certezza sia di non poter contare sul sostegno di alcun senatore Repubblicano, sia di dover convincere, nel caso, il proprio senatore Joe Manchin, noto per le sue posizioni antiabortiste.
Parlando con i giornalisti martedì, Manchin ha ribadito di essere contrario a un eventuale tentativo di riforma portato avanti dal proprio partito: «non mi vergogno delle mie posizioni, e sul tema sono molto chiaro da quarant’anni a questa parte», ha detto a un gruppo di giornalisti. Appena tre mesi fa Manchin aveva votato assieme ai Repubblicani per evitare che il Senato anche solo esaminasse il Women’s Health Protection Act, una proposta di legge avanzata dei Democratici per proteggere a livello federale il diritto all’interruzione di gravidanza.
Politico spiega che finora i dirigenti del partito hanno preferito non presentare una strategia precisa per opporsi alla sentenza, forse perché consapevoli che non hanno molti strumenti per farlo, ma hanno invece sottolineato «la necessità di indirizzare questa ondata di indignazione per raccogliere voti in vista di novembre», cioè quando si terranno le elezioni di metà mandato per rinnovare tutti i seggi della Camera e un terzo dei seggi al Senato.
Al momento però una vittoria dei Democratici a novembre sembra una prospettiva assai remota. Le elezioni di metà mandato premiano storicamente il partito all’opposizione, cioè in questo momento i Repubblicani, e nonostante alcuni osservatori ritengano che una eventuale sentenza che ribalti la Roe v. Wade possa motivare i Democratici in vista del voto, è ancora molto presto per dirlo con certezza.
Anche a livello statale non c’è moltissimo che il partito possa fare per continuare a garantire il diritto all’aborto al di fuori degli stati in cui i Democratici governano.
In stati come Minnesota, Wisconsin, Michigan e Kansas i governatori Democratici convivono con un Congresso locale dove la maggioranza è Repubblicana, ed è poco interessata a collaborare per continuare a garantire il diritto all’aborto. E nonostante diversi governatori Democratici col mandato in scadenza si impegneranno verosimilmente anche sul diritto all’aborto, martedì diversi di loro hanno chiesto in una lettera aperta che siano i deputati e i senatori federali a condurre la campagna.
Mentre la politica cerca di trovare una sua direzione, scrive Politico, «il peso della risposta di chi intende proteggere il diritto all’aborto ricadrà sui gruppi di attivisti che stanno aprendo cliniche apposite nei pressi degli aeroporti e dei confini statali, creando canali per distribuire pillole abortive negli stati in cui sono state vietate o lo saranno, e raccogliendo milioni di dollari per aiutare le donne che sono obbligate a uscire dal proprio stato per abortire».