Le città dovranno diventare vivibili anche per le persone anziane
Ripensare la pianificazione, l'urbanistica e la mobilità sta diventando sempre più urgente a causa dell'invecchiamento della popolazione
Secondo le proiezioni delle Nazioni Unite, entro il 2050 quasi una persona su tre residente nei paesi dell’Unione Europea avrà più di 65 anni. Il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione è una questione che riguarda anche come sono pensate e costruite le città e come quelle stesse città risulteranno vivibili (o siano già oggi vivibili) per un’intera categoria di persone.
I dati
Le previsioni delle Nazioni Unite dicono che nel 2050 la popolazione dell’Unione diminuirà di circa 20 milioni e che, entro il 2100, le persone che avranno più di 80 anni passeranno dal 6 al 14,6 per cento del totale. Nel 2021, oltre il 20 per cento della popolazione europea aveva un’età pari o superiore ai 65 anni, ma nel 2050 la percentuale salirà a più del 28 per cento.
Le previsioni sul futuro demografico dell’Italia, paese catalogato come ad elevato processo di invecchiamento, sembrano essere in linea: l’Istat ha calcolato che nel 2050 il rapporto tra giovani e anziani sarà di 1 a 3, La popolazione di 65 anni e più rappresenta oggi il 23,2 per cento del totale, quella fino a 14 anni di età il 13 per cento, e quella nella fascia 15-64 anni il 63,8 per cento: l’età media è pari a circa 46 anni. Entro il 2050 le persone di 65 anni e più potrebbero però rappresentare il 35 per cento del totale.
Tra le varie conseguenze di queste previsioni ci sarà l’incremento delle persone sole:
gli uomini che vivono da soli (3,6 milioni nel 2020) diventeranno 4,3 milioni nel 2040 (+17 per cento). Le donne sole aumenteranno da 5 a 6,1 milioni (+23 per cento).
L’invecchiamento della popolazione avrà una ricaduta sociale significativa anche sulla vivibilità delle città che, per come sono pensate e costruite, non dispongono dei servizi e delle infrastrutture necessarie a soddisfare le esigenze di una popolazione sempre più anziana.
Le città non sono neutre
Nel suo recente libro “La città femminista”, la geografa Leslie Kern, prima di sviluppare il suo ragionamento in modo più approfondito sulle questioni di genere, fa un discorso più generale. Dice che la pianificazione, l’urbanistica o la mobilità vengono spesso considerati ambiti di studio e pratica oggettivi, razionali e scientifici: ambiti che sono orientati alla gestione, alla crescita e allo sviluppo e che hanno l’obiettivo di fornire servizi a un cittadino standard. Non vogliono, o almeno così si raccontano, privilegiare nessuno in particolare.
Invece, dice Kern, non sono materie neutre: la pianificazione, l’urbanistica e la mobilità stabiliscono le possibilità che i vari individui e gruppi hanno e quelle che non hanno. E ciascuna scelta e decisione che vengono fatte e prese in questi ambiti – dalla politica economica urbana alla progettazione degli alloggi, dalle panchine nei parchi ai posti a sedere sugli autobus, dalla sorveglianza alla pulizia delle strade – hanno delle conseguenze molto concrete sulla vita di ciascun individuo o gruppo.
Il mondo che abitiamo, prosegue Kern, è praticamente tutto progettato, testato e impostato su standard determinati dal corpo e dalle esigenze di un soggetto in particolare. Questo cittadino tipico, che rappresenta il modello dominante e che si presume essere neutro ma non lo è, è un uomo, è una persona normodotata, adulta, e ha un preciso posizionamento sociale: è un marito, che lavora e che è automunito.
Quando sono state fissate le regole della mobilità, più o meno trent’anni fa, a prendere le decisioni, dice Kern, erano uomini della classe media con un’auto.
Le città sono state dunque concepite da uomini affinché altri uomini le attraversassero in auto per andare al lavoro. Questo approccio ha innanzitutto escluso altri modelli di mobilità (quello femminile è più complesso, ad esempio: le donne usano mediamente più degli uomini i mezzi pubblici, camminano più spesso, fanno diversi viaggi al giorno, più brevi e con un maggior numero di soste). E ha poi creato una gerarchia degli spazi: dall’auto al pedone.
– Leggi anche: Un altro genere di mobilità
Mettere al centro del modello un uomo su una macchina porta a considerare le strade come luoghi di passaggio e non come spazi d’uso. Si pensi ad esempio ai programmi di pulizia delle strade in caso di neve. Nella maggior parte dei casi le città ripuliscono per prime le strade principali che portano verso il centro, lasciando per ultime quelle residenziali o i marciapiedi.
Alcune città hanno invece cominciato a utilizzare un’analisi differente per stabilire i programmi di pulizia. A Stoccolma, ad esempio, si è deciso di dare la priorità a marciapiedi, piste ciclabili, corsie degli autobus e aree vicine agli asilo nido, riconoscendo il fatto che le donne, i bambini e le persone anziane hanno maggiori probabilità di camminare, o muoversi con i passeggini. Inoltre, poiché i bambini devono essere lasciati a scuola prima dell’inizio del lavoro ha senso ripulire queste rotte prima di altre.
Città a misura di anziani e anziane
L’evoluzione demografica pone il problema di adattare le città al numero crescente di abitanti anziani, con ricadute positive anche su altre fasce di popolazione, quelle ad esempio con disabilità o che si muovono spingendo un passeggino.
Gli interventi più urgenti sono spesso anche i più banali e di facile realizzazione: rendere ad esempio i marciapiedi più curati e accessibili per limitare le cadute, o installare un maggior numero di panchine su cui potersi riposare durante le passeggiate.
Alcune città dell’Unione Europea, spiega Politico, stanno già attuando politiche innovative per rendere le strade più accoglienti e accessibili. Breda, nei Paesi Bassi, ha trovato una soluzione per mantenere l’estetica medievale del proprio centro storico, con le strade e i marciapiedi pavimentate con ciottoli, ma anche per rendere i percorsi accessibili: i ciottoli sono stati rimossi, levigati, capovolti e rimessi a terra. Il risultato è ora una superficie che risulta visivamente simile all’originale, ma che è piatta e adatta a chi ha problemi di mobilità.
– Leggi anche: L’architettura ostile
Soprattutto, gli specialisti consigliano di puntare sul miglioramento dei trasporti e dell’accesso ai trasporti per mantenere le persone anziane attive e impegnate nella vita pubblica: installando ad esempio scale mobili funzionanti in ogni stazione della metropolitana. Lisbona, per fare un altro esempio, ha poi annunciato che i residenti che hanno più di 65 anni non pagheranno per accedere alla metropolitana, agli autobus pubblici, alla maggior parte delle linee ferroviarie e alla rete di tram della città.
Invecchiamento attivo
La questione dell’invecchiamento della popolazione ha a che fare non solo con le questioni dell’accessibilità, ma anche con quella del cosiddetto “invecchiamento attivo”, che tiene conto del benessere fisico e mentale delle persone anziane, della loro indipendenza e della loro salute sociale, per evitare l’isolamento e favorire la loro partecipazione alla vita comunitaria.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità si è posta il problema dal 2006 attraverso il programma “Age-friendly Cities”. Secondo l’OMS, una città “amica delle persone anziane” deve considerare le esigenze legate al piano sociale, economico e all’ambiente fisico: le misure che consentono un facile accesso ai trasporti pubblici sono fondamentali, ad esempio, per mantenere le persone anziane attive e impegnate nella vita pubblica, così come le iniziative rivolte in modo specifico a questa categoria di persone per favorire la mobilità attiva e l’uso della bicicletta.
C’è poi la questione dell’alloggio delle persone che non vogliono trascorrere i loro ultimi anni nelle case di riposo ma che, restando a vivere in una casa, rischiano di rimanere isolate o di non potersela permettere.
A Lubiana, in Slovenia, si sta ad esempio cercando di risolvere il problema riservando le case di proprietà del comune agli anziani. Simona Topolinjak, che si occupa dei servizi sociali per l’amministrazione di Lubiana, ha spiegato che è stato anche istituito un programma in cui gli anziani possono vendere i loro appartamenti al comune, mantenendo il diritto di abitarci finché vivono e ricevendo dal comune un fisso mensile: «Vogliamo che gli anziani abbiano il diritto di prendere decisioni su dove e come vogliono vivere negli anni che gli restano».
– Leggi anche: Quante sono le strade intitolate a donne in Italia
Politico spiega anche che molte città europee stanno creando dei comitati consultivi composti da anziani, proprio per tener conto delle loro esigenze, e in modo che siano attivamente coinvolti nei processi decisionali di pianificazione urbana.