Il sabotaggio dei ferrovieri bielorussi nella prima fase della guerra in Ucraina
Hanno attaccato le linee ferroviarie di rifornimento russe da nord, rallentandone le operazioni e causando vari problemi
Nella prima fase di guerra in Ucraina, quella in cui la Russia puntava a conquistare Kiev e a destituire il governo, l’avanzata dell’esercito nel nord del paese aveva avuto vari problemi e rallentamenti, culminati nelle scorse settimane con la ritirata e il riposizionamento a est, dove ora si stanno concentrando gli sforzi dell’invasione russa. Ai vari problemi avuti dai russi hanno contribuito anche alcuni atti di sabotaggio portati avanti da ferrovieri e da membri dissidenti delle forze di sicurezza bielorusse, che attaccando le linee di rifornimento russe da nord hanno contribuito a lasciare le truppe russe senza cibo, carburante e munizioni.
È difficile stimare quanto questi atti di sabotaggio abbiano davvero messo in difficoltà le forze russe, ma molte analisi concordano che siano stati comunque un evento rilevante, sia dal punto di vista operativo che simbolico, e che abbiano contribuito, assieme a moltissimi altri fattori, al fallimento della “operazione lampo” della Russia sul fronte nord.
La Bielorussia confina a sud con l’Ucraina ed è governata dal dittatore Alexander Lukashenko, vicinissimo a Putin: sfruttando questa vicinanza (di fatto un rapporto di subalternità) nei mesi precedenti l’invasione Putin aveva sostanzialmente trasformato la Bielorussia in un deposito di armi e in una porta d’accesso all’Ucraina: a invasione iniziata, Putin contava di fare grande affidamento sulla rete ferroviaria bielorussa per portare in Ucraina rifornimenti e rinforzi con grande facilità. È un piano che le azioni di sabotaggio hanno almeno in parte reso molto più complicato.
I sabotaggi – ha detto al Washington Post Alexander Azarov, ex funzionario del ministero dell’Interno bielorusso che vi ha preso parte – sono stati organizzati sostanzialmente da tre gruppi di persone: gli addetti alle linee ferroviarie bielorusse, alcuni funzionari dissidenti della sicurezza bielorussa e i “Cyber Partigiani”, un gruppo ben organizzato di hacker bielorussi che avevano già compiuto diversi attacchi contro il governo durante le grosse proteste del 2020, represse violentemente da Lukashenko con l’aiuto di Putin.
I primi attacchi sarebbero stati compiuti nei giorni immediatamente precedenti all’invasione ucraina proprio dai Cyber Partigiani, che avrebbero hackerato la rete informatica delle ferrovie bielorusse, sabotando le attività di controllo e gestione del traffico ferroviario. Yuliana Shemetovets, membro del gruppo che vive a New York, ha detto che è stato relativamente facile riuscirci perché le ferrovie bielorusse hanno sistemi informatici piuttosto obsoleti e vulnerabili.
Gli attacchi sono proseguiti anche nei giorni immediatamente successivi all’invasione, e a quelli informatici se ne sono aggiunti altri: alcuni impiegati delle ferrovie bielorusse che simpatizzavano con i sabotatori hanno fatto trapelare informazioni sulla posizione e i movimenti delle attrezzature russe, inviandoli soprattutto alla “Comunità dei lavoratori ferroviari della Bielorussia”, un gruppo di attivisti che li condivideva sul proprio canale Telegram, attirando attacchi da parte di altri sostenitori. Questi ultimi hanno agito in modo piuttosto spontaneo e autoorganizzato, «senza una qualche catena di comando» o un «leader della resistenza», ha detto Azarov.
Non ci sono state vittime o attacchi gravi, per esempio con l’esplosione di bombe: i sabotatori hanno più che altro danneggiato le attrezzature in transito e ostacolato il funzionamento delle ferrovie, ottenendo comunque buoni risultati.
È difficile, in mancanza di fonti indipendenti, quantificare questi risultati con precisione: Sergey Voitekhovich, ex dipendente delle ferrovie che ora vive in Polonia e che ha collaborato agli attacchi, ha parlato di «un arresto quasi completo» dei trasporti sulle linee ferroviarie interessate dagli attacchi. Emily Ferris, ricercatrice del Royal United Services Institute di Londra, ha usato toni più cauti, e al Washington Post ha detto che è ragionevole pensare che gli attacchi abbiano contribuito ai rallentamenti dell’avanzata russa nella prima fase dell’invasione. Anche perché, dice Ferris, i russi avevano puntato molto sulle ferrovie per l’invio di rifornimenti e rinforzi in Ucraina.
Il fatto che i treni rallentassero o funzionassero peggio del previsto ha costretto i russi a ripiegare almeno in parte su mezzi su ruota, con tempi e risorse molto diverse da quelle calcolate in precedenza. Nelle prime settimane di guerra si era parlato in più occasioni di come in molti casi i mezzi su ruota usati dai russi non erano stati sottoposti alla necessaria manutenzione, con pneumatici e cingoli di bassa qualità. Il che aveva ostacolato le manovre fuori dalle strade principali, e permesso alle forze ucraine di attaccare i mezzi ai lati, muovendosi nei boschi e nei campi fuori dalle strade, dove i mezzi militari russi non potevano arrivare.
Il rallentamento dei trasporti ferroviari, infine, ha dato tempo alle forze ucraine di riorganizzarsi e pianificare più facilmente almeno parte delle proprie controffensive.
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I sabotaggi dei bielorussi sono stati accolti con molta gratitudine dagli ucraini: già a metà marzo Oleksiy Arestovych, consigliere del presidente Volodymyr Zelensky, aveva esortato i civili a condurre una «guerra ferroviaria» contro la Russia, distruggendo non solo le attrezzature dell’esercito russo ma anche le sue linee di rifornimento, nel sud, nell’est e nel nord dell’Ucraina, quindi anche al confine con la Bielorussia.
A fine marzo Oleksandr Kamyshin, a capo dell’azienda pubblica ucraina che gestisce i trasporti ferroviari (Ukrzaliznytsya, praticamente le Ferrovie dello Stato ucraine), aveva ringraziato i bielorussi, dicendo di essere «grato» agli «onesti» addetti delle ferrovie bielorusse per il sabotaggio che stavano portando avanti, rifiutandosi di obbedire a ordini «criminali» che avrebbero permesso alle forze militari russe di invadere più agevolmente l’Ucraina.
In Bielorussia non è la prima volta che attivisti e dissidenti usano le linee ferroviarie come strumento di sabotaggio e protesta: era già successo durante la Seconda guerra mondiale, in quel caso contro i nazisti, con azioni ancora oggi ricordate e celebrate in Bielorussia, scrive il Washington Post, come esempio di resistenza.
I sabotaggi, comunque, non sono rimasti senza conseguenze per chi li ha compiuti: l’organizzazione per i diritti umani Viasna dice che dall’inizio della guerra sono stati arrestati 52 cittadini bielorussi, 30 dei quali addetti alle ferrovie, con accuse di tradimento, terrorismo e spionaggio per aver tentato di interrompere il movimento dei rinforzi militari russi verso l’Ucraina. In alcuni casi pare che ci siano state anche punizioni esemplari, come quelle dei tre presunti sabotatori arrestati a Bobruisk, nella Bielorussia orientale, a cui la polizia avrebbe sparato alle gambe: la televisione di stato, scrive il Washington Post, avrebbe poi trasmesso alcuni filmati di loro sanguinanti, con le ginocchia fasciate, probabilmente per scoraggiare altri potenziali atti di ribellione.