La Chiesa vuole sempre meno padrini e madrine
La loro figura è appena stata rimossa nella diocesi di Ventimiglia, ma negli ultimi anni sono state prese decisioni simili in varie città italiane
Martedì il vescovo di Ventimiglia e Sanremo (Liguria), Antonio Suetta, ha emanato un decreto che rimuove la presenza di padrini e madrine in battesimi e cresime della propria diocesi. Le ragioni citate da Suetta sono piuttosto stringate e non particolarmente illuminanti, ma la sua decisione è soltanto l’ultima di una lunga serie.
Negli ultimi anni in Italia hanno rimosso la figura del padrino le diocesi di Viterbo, Cosenza, Sulmona e Grosseto, fra le più importanti. In Sicilia e Calabria è da tempo in corso un dibattito sull’opportunità di vietare la figura di madrine e padrini per evitare di legittimare alleanze di potere strette in questo modo dalla criminalità organizzata. Non è una questione che riguarda solo l’Italia: in tutto il mondo cristiano, anche nella Chiesa protestante, ormai da qualche anno si discute della progressiva perdita di centralità della figura del padrino e della madrina, e di come gestirla.
Secondo il canone 872 del codice del diritto canonico, il principale codice di leggi della Chiesa cattolica, il compito di una persona nominata padrino o una madrina nell’ambito di un battesimo è quella di «cooperare affinché il battezzato conduca una vita cristiana». Il canone 892 prevede un obbligo simile per chi diventa madrina o padrino nella cerimonia della cresima. In teoria, quindi, dovrebbe essere una specie di accompagnatore spirituale della persona che riceve il battesimo o la cresima, per tutta la vita.
Una figura di questo tipo non esiste né nell’Islam né nell’Ebraismo, cioè le altre due principali religioni monoteiste della storia umana, e neppure nell’Induismo: ed era quindi inevitabile che in un’epoca sempre più secolarizzata e meno religiosa questa figura entrasse in crisi.
«La loro evoluzione-involuzione è sotto gli occhi di tutti: si scelgono spesso persone per ragioni affettive, di parentela, di convenienza sociale che poco hanno a che fare con la formazione cristiana che invece viene impartita da altri», ha scritto per esempio Giovanni Roncari, teologo e vescovo di Grosseto, sintetizzando efficacemente le lamentele di molti vescovi e parroci.
In Sicilia e Calabria la questione è diversa. Benché il vicario generale della diocesi di Catania, Salvatore Genchi, abbia cercato di smentire il New York Times sostenendo che la Chiesa «non ha mai ricevuto pressioni di tipo mafioso» sulla questione di madrine e padrini, è noto che la criminalità organizzata siciliana e calabrese utilizzi la figura del padrino o della madrina per rafforzare legami fra le famiglie.
Già nel 2014 l’allora arcivescovo di Reggio Calabria Giuseppe Fiorini Morosini propose di sospendere per dieci anni la figura del padrino e della madrina giustificandola come un’operazione di «contrasto alla ‘ndrangheta», mentre nel 2017 l’arcivescovo di Monreale, in provincia di Palermo, stabilì per decreto che non potevano diventare padrini o madrine «coloro che appartengono ad associazioni di stampo mafioso».
I vescovi hanno effettivamente l’autorità di sospendere la figura della madrina o del padrino perché il diritto canonico non contiene norme che prevedano l’obbligo di averne uno. Negli ultimi anni, quindi, diversi vescovi hanno emesso provvedimenti simili a quelli dei propri colleghi calabresi o siciliani pur non avendo gli stessi gravi problemi di rapporto con la criminalità organizzata.
Quando la Chiesa italiana si trova ad affrontare problemi che riguardano la progressiva secolarizzazione della società, gli approcci prevalenti sono due: l’ala più conservatrice tende ad adottare una interpretazione più restrittiva delle norme, con l’obiettivo di eliminare ogni traccia di laicizzazione delle pratiche e delle consuetudini religiose. I membri dell’ala più progressista tendono invece a una interpretazione più flessibile ed elastica delle norme, per venire incontro alle nuove esigenze dei fedeli.
Che il provvedimento del vescovo di Sanremo e Ventimiglia abbia una connotazione conservatrice si nota anche dal fatto che il recente decreto sull’eliminazione di padrini e madrine non riguarda «il battesimo dei bambini affidati o dati in adozione a persone dello stesso sesso unite di fatto o civilmente», come si legge nel testo ufficiale.
Il messaggio implicito è che i figli delle coppie omosessuali possono avere padrini o madrine che li guidino nella propria vita spirituale perché i genitori non sono in grado di farlo a pieno titolo. L’ala conservatrice della Chiesa cattolica considera le persone omosessuali come responsabili di un peccato insanabile, per via di un’interpretazione controversa e restrittiva dei testi cristiani.
Altri membri della Chiesa si stanno chiedendo da tempo se cancellare del tutto la figura del padrino e della madrina non sia un provvedimento troppo netto e che non risolve i problemi di cui è un sintomo. «Mi chiedo se abbia senso concentrarsi sulla poca fede di padrini e madrine», si è chiesto per esempio il teologo Neil Xavier O’Donoghue sul blog Pray Tell: «se per ragioni pastorali battezziamo spesso bambini di persone che non prendono sul serio la propria fede, in che modo questo problema viene affrontato abolendo la figura di padrini e madrine?».
Qualche tempo fa su Church Times, un settimanale della Chiesa anglicana, il vescovo e storico della Chiesa Robert Beaken ha proposto invece di inventare una nuova figura, quella del “testimone” o del “compagno”, che affianchi quella del padrino o della madrina e sia riservata a persone non battezzate oppure che non vogliono essere coinvolte nella vita spirituale del battezzato o della battezzata, ma semplicemente stare loro vicino negli anni successivi.
Beaken ammette che una proposta del genere non risolverebbe il problema più grande della crisi della religiosità, ma al contempo sostiene che «per fare un primo passo serve prendere atto in maniera franca del divario sempre più ampio fra gli impegni previsti per padrini e madrine dal diritto canonico e la realtà di tutti i giorni».