La razza non influisce sulla personalità dei cani
Almeno secondo una nuova ricerca su larga scala, che ha esaminato comportamento e caratteristiche genetiche di migliaia di cani
Una ricerca condotta negli Stati Uniti che ha coinvolto oltre 18mila padroni di cani ha rilevato che le razze canine non influiscono sul comportamento dei singoli esemplari, a differenza di quanto assunto nel tempo dal senso comune; lo studio ha suscitato molto interesse tra gli esperti, che hanno comunque segnalato la necessità di nuovi approfondimenti. Il gruppo di ricerca ha riscontrato comunque qualche influenza sul comportamento dei singoli cani legata alla loro discendenza, concludendo che buona parte delle abitudini e degli atteggiamenti di ogni cane dipenda soprattutto dal modo in cui è stato allevato e cresciuto.
Molte persone quando scelgono un cane badano alla sua razza soprattutto per la taglia e l’aspetto fisico, ma durante la scelta vengono spesso consigliati dagli allevatori sulle presunte caratteristiche comportamentali e talvolta caratteriali proprio a seconda della razza canina di appartenenza. In base all’appartenenza alle varie razze, i cani sono spesso descritti come più obbedienti, dinamici, tranquilli o irrequieti, solo per fare qualche esempio.
Elinor Karlsson, una delle ricercatrici che hanno lavorato al nuovo studio da poco pubblicato sulla rivista Science, dice che approcci di questo tipo dovrebbero essere visti con una certa diffidenza: «Quando adotti un cane sulla base della sua razza, ottieni un cane con una determinata apparenza fisica. Ma per quanto riguarda il comportamento, è praticamente questione di fortuna: come tirare una monetina».
La ricerca è stata svolta coinvolgendo oltre 18mila padroni di cani, ai quali è stato chiesto di compilare vari questionari non solo sulle caratteristiche dei loro cani, ma anche sulla loro provenienza e quando possibile sulle caratteristiche dei loro avi. I questionari contenevano un po’ di tutto, da richieste di informazioni sulle caratteristiche fisiche dei cani ad altre sulle loro abitudini, come rincorrere una pallina, le modalità con cui mangiano e fanno i loro bisogni.
Karlsson e colleghi hanno selezionato un sottogruppo di cani i cui padroni avevano partecipato al questionario, raccogliendo campioni per svolgere esami genetici in modo da farsi più chiaramente un’idea su eventuali influenze nel comportamento legate alla loro discendenza. La raccolta dei dati ha permesso di fare valutazioni più accurate, e soprattutto di trovare un metodo di analisi ripetibile in futuro da altri gruppi di ricerca per approfondire il tema o contestare i risultati dell’esperimento. Lo studio ha inoltre portato alla pubblicazione di un sito, per visualizzarne meglio i risultati e le implicazioni.
Dalle analisi, è emerso che alcuni tratti comportamentali ricorrono con maggiore frequenza in alcune razze, ma non in modo così distintivo e significativo. I pastori tedeschi sono lievemente più facili da addestrare rispetto ad altre razze, mentre le cose si complicano se vengono presi in considerazione i cani di razza mista. Esemplari di questo tipo con una discendenza da un cane San Bernardo, per esempio, si sono dimostrati più affettuosi rispetto ad altri.
Il gruppo di ricerca ha poi calcolato quanto la razza possa incidere sul comportamento dei cani, arrivando a stimare una percentuale di circa il 9 per cento, un risultato molto inferiore rispetto a quanto si aspettassero autrici e autori dello studio, proprio basandosi sul senso comune e ciò che dicono spesso allevatori e padroni di cani.
Dalle analisi non è stato trovato nemmeno un forte legame tra la razza e segni di comportamento aggressivo, a conferma di quanto l’aggressività attribuita ad alcune razze sia solo percepita o derivante dal modo in cui sono stati allevati singoli esemplari.
Dal punto di vista genetico sono state identificate alcune caratteristiche riconducibili a particolari comportamenti. Un’area del genoma (tutte le informazioni genetiche di un individuo) aiuta a predire una certa disposizione ad abbaiare, con alcune somiglianze con l’area del genoma umano associata alla capacità di parlare. Altri punti del genoma sono stati ricondotti alle capacità cognitive, anche in questo caso con qualche analogia con quelle umane.
Questi tratti genetici hanno comunque una storia molto più antica delle razze canine per come le conosciamo oggi, ed è probabilmente questa una delle chiavi per spiegare lo scarso rapporto tra razza e comportamento, dice il gruppo di ricerca.
La domesticazione dei cani da parte degli esseri umani è relativamente recente. Si stima che avvenne tra i 20mila e i 10mila anni fa, quando alcuni lupi più docili di altri furono via via inseriti nelle pratiche quotidiane, rivelandosi soprattutto utili per assistere la caccia. L’impiego degli esemplari più docili e obbedienti fece sì che, di generazione in generazione, fossero selezionati alcuni tratti genetici legati al comportamento rispetto ad altri, ponendo le basi per le successive evoluzioni di questi animali.
Per millenni, le razze di cani esistenti non furono definite perché rispetto alla forma ciò che contava era la loro funzione: aiutare i pastori a tenere il bestiame, sorvegliare gli accampamenti e assistere i cacciatori nelle loro attività. Le cose cambiarono durante l’epoca Vittoriana, nella prima metà dell’Ottocento: le società stavano cambiando con i fenomeni di urbanizzazione e nascevano nuove necessità, comprese quelle di avere animali il cui scopo principale fosse offrire compagnia.
Vari allevatori si diedero quindi da fare per selezionare nuove razze, ottenendo in questo modo nuovi incroci con forme particolari e secondo le loro speranze anche inclinazioni e comportamenti diversi. Fu nell’Ottocento che il concetto stesso di razza canina assunse un nuovo significato, molto diverso da quello impiegato in senso più pratico in passato.
Nel Regno Unito e in altre zone d’Europa iniziarono ad avere grande successo le competizioni canine, dove gli espositori cercavano di vincere premi e altri riconoscimenti esponendo cani di razza purissima, frutto delle varie selezioni. Proprio per definire le caratteristiche delle singole razze furono decisi veri e propri standard, legati soprattutto all’aspetto fisico e in via più marginale alla funzione di ogni razza canina.
Uno dei principali punti di riferimento per allevatori e proprietari divenne nella seconda metà dell’Ottocento il Kennel Club del Regno Unito, fondato nel 1873 proprio allo scopo di tenere traccia delle varie tipologie di razze. A inizio Novecento fu poi fondata la Federazione cinologica internazionale (FCI), che raccoglie le più importanti associazioni di allevatori canini. Nel corso del tempo la FCI ha riconosciuto oltre 340 razze distinte, suddivise in dieci gruppi che vanno dai cani da pastore ai levrieri, passando per i bassotti.
Per una singola specie, Canis lupus familiaris, il processo di differenziazione avvenuto negli ultimi due secoli è stato notevole e guidato fortemente dalla selezione umana. Ogni razza ha un proprio aspetto, probabilmente perché selezionare e allevare cani fatti esteticamente in un certo modo è più facile che lavorare su eventuali tratti genetici legati al loro comportamento. Le differenze cognitive sono molto più sottili e difficili da cogliere, così come sono poco prevedibili gli esiti nel momento in cui si mettono insieme razze canine diverse.