Pio La Torre e la legge sull’associazione mafiosa
40 anni fa a Palermo fu ucciso il deputato comunista autore della legge che permise di colpire la mafia su ciò che più riteneva importante: i soldi
Il parlamentare del partito comunista Pio La Torre fu ucciso a Palermo il 30 aprile del 1982, quando da un anno era anche segretario regionale del partito in Sicilia. Erano da poco passate le 9, La Torre era a bordo di una Fiat 132 e al volante c’era il suo collaboratore e compagno di partito Rosario Di Salvo. L’auto stava percorrendo piazza Generale Turba, quando due moto che erano uscite da un cortile poco distante la affiancarono: due assassini, seduti dietro sulle moto, spararono con una pistola e un fucile mitragliatore Thompson, arma utilizzata durante la guerra del Vietnam dalle forze militari americane.
La Torre, che aveva 55 anni, morì sul colpo; Di Salvo, 36 anni, riuscì a estrarre una pistola ma non a sparare, e morì poco dopo. Il collaboratore di La Torre aveva comprato da poco due pistole Smith & Wesson: entrambi sapevano che La Torre era un obiettivo della mafia. Quelle pistole però non servirono a nulla.
Un’impressionante fotografia ritrae, poche ore dopo l’agguato mafioso, tre persone vicine all’auto del deputato comunista assassinato. Sono Giovanni Falcone, il commissario Ninni Cassarà e il consigliere istruttore Rocco Chinnici. Nel giro di dieci anni sarebbero stati assassinati tutti e tre, come La Torre. Chinnici, che aveva avuto l’idea di istituire il pool antimafia di Palermo, fu ucciso il 19 luglio 1983: una Fiat 126 piena di tritolo fu fatta saltare in aria davanti alla sua abitazione. Cassarà fu assassinato il 6 agosto 1985 mentre stava scendendo dall’Alfetta della Polizia che l’aveva accompagnato a casa. Nove persone spararono dalle finestre e dai balconi dell’edificio di fronte a casa sua. Falcone morì il 23 maggio 1992, nell’attentato di Capaci.
Due anni prima della morte, La Torre aveva presentato alla Camera un disegno di legge per l’introduzione del reato di associazione di tipo mafioso e per il sequestro del patrimonio dei condannati per delitti di mafia. Era il disegno di legge 1581: «Norme di prevenzione e di repressione del fenomeno della mafia e costituzione di una commissione parlamentare permanente di vigilanza e di controllo».
La legge, conosciuta come Rognoni-La Torre (Virginio Rognoni era allora il ministro dell’Interno, della Democrazia cristiana) venne approvata qualche mese dopo l’agguato mafioso, il 13 settembre 1982. Dieci giorni prima dell’approvazione della legge, sempre a Palermo, fu assassinato il prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Prima dell’introduzione della legge Rognoni-La Torre, contro le persone accusate di appartenere alla mafia si faceva ricorso all’articolo 416 del codice penale, cioè l’associazione per delinquere. Con l’approvazione della legge 646/82 si riconobbe invece un’altra fattispecie di reato:
«L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali».
L’articolo 416 bis del codice penale inoltre stabiliva che «chiunque fa parte di un’associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone, è punito con la reclusione da dieci a quindici anni. Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l’associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da dodici a diciotto anni». Lo stesso articolo stabiliva la confisca dei beni per i mafiosi. Per la prima volta la mafia poteva essere colpita in ciò che considerava più importante: i soldi.
La Torre era nato in un quartiere di Palermo, Altarello, in una famiglia di origine contadina. Si iscrisse al Partito comunista nel 1945. Nel 1947 fu alla guida, come sindacalista della Cgil, delle proteste dei contadini siciliani contro i latifondisti. Venne arrestato e passò un anno e mezzo nel carcere palermitano dell’Ucciardone. Uscito dal carcere divenne consigliere comunale a Palermo, segretario regionale della Cgil, deputato all’assemblea regionale e, dal 1973 e per tre legislature, parlamentare del Partito comunista italiano.
Si occupava di mafia, ma non solo. Nel 1981 chiese al Partito di tornare in Sicilia anche per combattere la battaglia contro l’installazione dei missili nucleari Cruise nella base NATO di Comiso. La Torre raccolse in Sicilia e presentò al governo un milione di firme contro l’installazione dei missili.
Il funerale fu il 2 maggio: parteciparono in piazza Politeama a Palermo 100mila persone. Intanto l’omicidio era stato rivendicato dai Gruppi proletari organizzati, ma era un tentativo di depistaggio. Nel 1984 vennero emessi dodici mandati di cattura nei confronti dei capi della mafia dei corleonesi. Tra loro c’erano Totò Riina, Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca, Giuseppe Calò. Era stato il pentito Tommaso Buscetta a indicare i dodici come componenti della cosiddetta “cupola” che decideva e ordinava tutti gli omicidi di mafia. Il procedimento per l’omicidio di Pio La Torre venne prima unito a quello principale nato dalle dichiarazioni di Buscetta, che si concretizzò con il maxiprocesso del 1986, ma poi venne accantonato assieme a quello sull’omicidio del presidente della regione Sicilia Piersanti Mattarella, avvenuto il 6 gennaio 1980.
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Nel 1991 i membri della cupola mafiosa vennero rinviati a giudizio sulla base delle confessioni di Buscetta, secondo cui nessun delitto poteva essere deciso senza l’assenso della cupola. Il processo iniziò nell’aprile del 1992 e si concluse con la condanna all’ergastolo di Totò Riina, Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca, Michele Greco, Giuseppe Calò, Francesco Madonia e Nenè Geraci. La moglie di Pio La Torre, Giuseppina Zacco, decise di non costituirsi parte civile perché giudicò l’indagine «povera e riduttiva».
Nel 1996 fu arrestato Salvatore Cucuzza, reggente (cioè capo) del mandamento (cioè della zona di influenza mafiosa) di Porta Nuova, a Palermo. Divenuto collaboratore di giustizia, raccontò di essere stato autore materiale dell’omicidio assieme ad Antonio Madonia, Giuseppe Lucchese e Giuseppe Greco «Scarpuzzedda». Cucuzza disse che quest’ultimo gli aveva confidato che erano stati uomini politici a dire ai corleonesi che l’eliminazione di Pio La Torre avrebbe impedito che venisse approvata la legge sul sequestro dei beni. La Torre in realtà venne assassinato perché era uno dei pochi, tra i politici, a conoscere veramente la mafia, le sue regole, i suoi modelli di comportamento. Sapeva tradurre la mafia per i politici romani e sapeva dove intervenire per colpirla. Aveva detto: «Voi pensate che la mafia sia inarrestabile. Non è così e la fermeremo».
Nel 2004 Cucuzza venne condannato a otto anni con il rito abbreviato, gli vennero riconosciuti gli sconti di pena previsti per i collaboratori di giustizia. Madonia e Lucchese furono condannati all’ergastolo mentre Giuseppe Greco era morto, assassinato nel 1985. Nel 2014 l’ex aeroporto militare di Comiso, aperto al traffico civile da un anno, fu intitolato a Pio La Torre.