«Amore, narcisismo e gatti»
Sono le tre cose che fanno ottenere più like sui social secondo la protagonista di "Il profilo dell'altra", romanzo di Irene Graziosi, che come lei lavora con un'influencer
Finora è ancora poco lo spazio che i social network hanno trovato nei romanzi, specialmente italiani, rispetto a quello che hanno nella vita delle persone da circa quindici anni a questa parte. Oggi è uscito nelle librerie un libro che fa eccezione: Il profilo dell’altra, esordio di Irene Graziosi, pubblicato da E/O. Dal 2018 Graziosi lavora con l’influencer Sofia Viscardi come autrice e responsabile editoriale del progetto Venti, che pubblica contenuti di approfondimento rivolti a persone giovani su Instagram e YouTube. Anche la protagonista e voce narrante del Profilo dell’altra lavora insieme a un’influencer, Gloria Linares, oltre che come cameriera in un bar: nell’estratto del romanzo che pubblichiamo l’ha appena conosciuta e riflette su ciò che ottiene maggiore attenzione sui social. (Filippo, un personaggio citato a un certo punto, è il compagno della protagonista.)
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Nei giorni successivi al colloquio Gloria aveva iniziato a seguirmi sui social. Era stato strano, anche perché dopo il suo follow me ne erano arrivati molti altri, di ragazzine che evidentemente spiavano tutte le sue mosse. Leggere due milioni, anzi 2mln, sul suo profilo mi aveva fatto salire un po’ d’ansia, forse più per lei che per me. Ero tornata sul mio profilo sforzandomi di guardarlo con gli occhi di una sconosciuta. Qualche volta sento le persone dire che non si devono giudicare gli altri dai social. Tipo le mie colleghe del bar, che non sono delle cime e che parlano in continuazione di cose lontanissime dal mio universo: la depilazione con il filo, la skin care, programmi televisivi di cui non saprei dire neanche la collocazione spazio-temporale. Seguono le influencer, ne parlano come se fossero amiche loro. Una volta una di queste ragazze, una sarda di nome Giulia, stava passando il telefono a tutte noi per mostrarci un tizio con cui sarebbe dovuta uscire il giorno successivo. La bio che l’uomo aveva inserito nell’app di incontri sulla quale l’aveva pescato enumerava le sue passioni: viaggiare, mangiare, Netflix&Couch.
«Originale» avevo osservato. Loro si erano tutte indispettite e avevano iniziato a dirmi che io giudico troppo, che le persone su internet appaiono diverse da come sono nella vita reale.
«Il nostro cervello è fatto apposta per giudicare, questa cretinata per cui una persona può osservare qualcuno senza trarne delle conclusioni è inverosimile» avevo risposto.
Nei giorni seguenti la tipa sarda aveva cercato di esimersi dai giudizi per provare il suo punto. Il risultato era stato comico: a fine turno era venuta da me in fibrillazione per raccontarmi che il nuovo fidanzato di un’altra ragazza era un idiota, ma poi si era ricordata che non poteva giudicare, e quindi si era messa a raccontarmi che l’uomo in questione parlava a voce altissima interrompendo di continuo la sua ragazza. «Allora è un coglione» le avevo detto. «No, io ti ho solo raccontato cosa ha fatto». Avevo sorriso e Giulia si era offesa. Giulia si offende sempre, a onor del vero. Tranne quando beve. Quando beve diventa logorroica e, come tutti i sardi, vuole solo parlare della
sua terra. La mia terra di qua, la mia terra di là. Non la descrive mai, la Sardegna a sentir lei è solo una grossa porzione di terra che emerge dal mare.
In ogni caso, per come la vedo io i social mostrano ancora più vividamente della realtà come sono fatte le persone. Mi basta guardare l’instagram di Filippo, pieno di gente famosa. Sui social le persone si mostrano per come vorrebbero essere viste dagli altri. Ciò che emerge non è ciò che si è, ma ciò che si desidererebbe essere. Non c’è niente di più intimo dei propri desideri, eppure mi ritrovo quelli altrui spiattellati ovunque.
Tra le mie foto compaiono molti libri, alcuni gatti, alcuni palazzi brutalisti che mi ipnotizzano, dei peluche abbandonati per strada. Ho tentato la strada dei selfie, ma sono bruttina. Quindi ho tentato quella dei filtri estetici incapsulati nelle opzioni del social, ma dopo averli usati mi vergogno perché immagino che tutti quelli che vedranno quelle foto penseranno che non sono veramente così. Penosa: sia per questi ragionamenti, sia per la convinzione che qualcuno guardi i miei social.
Posto molte foto di Filippo o con Filippo (lui invece le mie non le posta mai), in cui cerco di coprirmi il volto con i capelli o di far vedere solo gli occhi. Una delle ultime che ho caricato è anche una delle poche in cui compaio. Risale a qualche settimana prima, quando lo avevo accompagnato a Trapani per un convegno e poi da lì eravamo andati a Marettimo. Ho una felpa con il cappuccio e i jeans, perché è quasi sera e fa fresco.
Pare che Marettimo sia piena di foche monache, ma io non ne ho vista neanche una. Ogni giorno, più o meno al tramonto, mi avvio verso l’osservatorio delle foche monache dove, appunto, non c’è una foca neanche a pagarla. Allora torno indietro e qualche volta stacco i gambi di quelle piante di cui non conosco il nome che sembrano spighe giganti e mi ricordo di quando io e mia sorella da piccole fingevamo fossero barboncini al guinzaglio. Bevo una bottiglia di vino (in realtà due), mi addormento subito e sospetto che il vino rimanga poggiato sui miei organi interni sciogliendoli
piano piano, perché alle quattro mi sveglio con la sensazione di avere la pancia che va a fuoco. Allora mi alzo, vado nel cortile della pensione in cui alloggiamo e vedo che c’è ancora il fusto della pianta abbandonato in un angolo, solo che al mattino non sembra un barboncino ma un vegetale morto o in procinto di morire.
Ho sempre sonno, vorrei dormire.
Sono tornata sul profilo di Gloria. Lei con delle sue coetanee a un evento. Sono vestite eleganti e ridono toccandosi, centoventimila like, 370 commenti. Le ragazze nella foto hanno tutte la spunta blu di chi è stato certificato come VIP. Gloria con sua nonna, abbracciate su un divano. La didascalia recita: sei la mia vita. Duecentomila like, 780 commenti. Un selfie in cui è più bella di quanto non sia dal vivo, centoundicimila like, 870 commenti. Una foto in cui ha un gatto in braccio, ottantamila like, 160 commenti. L’affetto tra umani genera più like. Poi ci sono i selfie, poi gli animali. La gerarchia è riassumibile con: amore, narcisismo e gatti. No, c’è un post che ha duecentotrentamila like, duemila commenti. È composto da tre foto, una di Gloria con un cane di razza piccolo e brutto, e una di lei da bambina con il medesimo sgorbio e poi una di lei che piange. La didascalia è troppo lunga e troppo poco interessante da leggere per intero, ma il sunto è che il cane è morto. Il dolore per gli animali morti sui social va forte, naturalmente. È un dolore prevedibile quando compi la scelta di prenderti un animale, è un dolore trasversale alla società, non conosce classi, generi e orientamenti, è universale e non mette a disagio chi lo incrocia sui social. Ecco chi scala la classifica, gli animali morti.
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