Il gas russo dividerà l’Europa?
Dopo il blocco in Polonia e Bulgaria, c'è il rischio che i paesi europei vadano in ordine sparso per mantenere le forniture, indebolendo il fronte contro la Russia
I paesi dell’Unione Europea stanno valutando come rispondere alla decisione della Russia di interrompere le forniture di gas alla Polonia e alla Bulgaria, in seguito al loro rifiuto di pagare in rubli come richiesto dal governo russo. La Commissione europea ha invitato gli stati membri a non cedere alla richiesta, ricordando che potrebbe costituire una violazione delle sanzioni emesse contro la Russia in seguito all’invasione militare dell’Ucraina. Secondo fonti consultate da giornali e agenzie di stampa internazionali, però, c’è un concreto rischio che ogni paese europeo decida per conto proprio, facendo il gioco del presidente russo Vladimir Putin che mira a dividere l’Europa, dopo due mesi in cui l’Unione Europea si era mostrata abbastanza unita nel sanzionare l’economia russa.
Complici i minori consumi con l’arrivo della stagione calda, al momento non c’è un’emergenza data dalla riduzione delle forniture di gas, ma una sospensione su larga scala potrebbe comunque avere effetti negativi per buona parte dell’Europa.
Alcuni paesi europei dipendono fortemente dal gas russo e hanno necessità di ripristinare le proprie riserve, in vista della prossima stagione fredda. La riduzione delle forniture potrebbe inoltre far aumentare il prezzo del gas, come del resto già avvenuto nelle ultime settimane, complicando ulteriormente la crisi energetica iniziata alla fine della scorsa estate con prezzi molto alti e spesso insostenibili, soprattutto per le aziende con alti consumi energetici.
Verso la fine di marzo, Putin aveva deciso che i paesi definiti “ostili”, cioè quelli che avevano imposto sanzioni, avrebbero dovuto pagare in rubli le forniture di gas nonostante i contratti prevedessero espressamente pagamenti in euro o in dollari. In seguito, la Russia aveva approvato un decreto che obbligava Gazprombank, la banca con sede in Svizzera attraverso cui passano i pagamenti per il gas dei paesi europei, a convertire in rubli ogni versamento. La decisione era derivata dalla necessità di superare alcune sanzioni economiche, che avrebbero di fatto reso non accessibili i versamenti in euro effettuati sui conti di Gazprombank.
In senso stretto, il sistema consente a chi compra il gas – cioè i paesi europei – di continuare a farlo pagando in euro e dollari, a patto di avere a disposizione un secondo conto presso Gazprombank, in modo che la banca possa effettuare un successivo trasferimento di denaro convertendolo in rubli e passandolo infine sui conti di Gazprom. Il meccanismo consente in questo modo alla società controllata dal governo russo di ricevere i pagamenti in rubli, anche se i versamenti erano stati effettuati inizialmente in euro o dollari da parte dei compratori.
La Polonia, tra i paesi più critici nei confronti dell’invasione russa dell’Ucraina, anche perché direttamente confinante con il paese, aveva da subito rifiutato la possibilità di effettuare pagamenti in rubli, ricordando che i contratti stipulati con Gazprom prevedevano i pagamenti in euro o dollari. Alla fine della scorsa settimana il gestore delle forniture di gas in Polonia, PGNiG, non aveva raggiunto un accordo e mercoledì 27 aprile Gazprom ha interrotto le forniture. Qualcosa di analogo è successo nelle stesse giornate con la Bulgaria.
Diversi altri paesi europei stanno ancora valutando come comportarsi e potranno permettersi di farlo per qualche settimana, considerato che i prossimi versamenti per le importazioni del gas russo dovranno essere effettuati entro la fine di maggio. I governi dei paesi interessati hanno per ora mantenuto posizioni caute o fatto dichiarazioni sull’importanza di mantenere una linea comune tra partner europei, ma dopo la chiusura delle forniture in Polonia e Bulgaria sembra che diverse grandi aziende di combustibili dipendenti dal gas russo abbiano iniziato a valutare la possibilità di aderire al meccanismo per pagare in rubli.
Secondo le fonti consultate dal Financial Times, i gestori in Germania, Austria, Ungheria e Slovacchia si stanno preparando ad aprire i conti secondari presso Gazprombank. La presenza di Germania e Austria non è da poco, considerato che i due paesi sono tra i maggiori importatori di gas russo in Europa. I contatti con i responsabili di Gazprom sono diventati più fitti del solito, proprio in vista delle prossime scadenze per i pagamenti.
Per quanto riguarda l’Italia, Eni sta valutando come gestire la situazione, ma non ha ancora assunto una decisione considerato che i prossimi pagamenti per il gas russo sono previsti alla fine di maggio.
La società è privata, ma ha comunque forti e storici rapporti con il governo italiano che continua a essere l’azionista di riferimento, e per questo sarà importante vedere quale sarà l’orientamento da parte governativa. Al momento il ministro degli Esteri, Luigi di Maio, ha detto: «La richiesta russa di pagare il gas in rubli è una violazione del contratto. I nostri contatti prevedono il pagamento in euro e noi vogliamo pagare in euro».
Vari osservatori hanno fatto notare che, al di là delle attuali valutazioni e degli orientamenti, le prossime indicazioni della Commissione europea potrebbero determinare la tenuta o meno dell’unità di intenti contro la Russia mostrata finora dagli stati membri. Al momento le indicazioni sono infatti piuttosto ambigue e necessitano di alcuni chiarimenti.
A inizio aprile, la Commissione aveva diffuso linee guida nelle quali diceva che le aziende importatrici di gas avrebbero potuto aprire un conto presso Gazprombank per emettere pagamenti in euro o dollari, come previsto dai contratti, producendo in seguito una dichiarazione nella quale indicavano che i loro vincoli finivano al momento del versamento. In questo modo, la successiva conversione in rubli sarebbe stata gestita da parte russa e senza un coinvolgimento diretto dei paesi europei interessati. Il decreto russo sui pagamenti prevede però che il pagamento sia considerato terminato solo al momento della conversione in rubli e non prima, cosa che implicherebbe quindi un coinvolgimento del compratore fino all’ultimo passaggio.
Il decreto russo prevede comunque alcune eccezioni, e queste potrebbero essere sfruttate dai paesi europei per acquistare il gas venendo incontro solo parzialmente alle richieste della Russia, senza al tempo stesso violare le sanzioni europee contro il paese. Il sistema presenta però diverse ambiguità e per questo sono arrivate alla Commissione numerose richieste per un chiarimento, che dovrebbe essere reso disponibile nei primi giorni della prossima settimana.
Questo punto potrebbe essere determinante nel mantenimento o meno di un approccio comune europeo contro la Russia, secondo diversi analisti. Molto dipenderà anche dagli approcci dei paesi con maggiore dipendenza dal gas russo, come la Germania, che nel caso di una chiusura delle forniture potrebbero subire grandi danni alle loro economie. Per ora il governo tedesco ha comunque confermato di voler mantenere il pagamento in euro o dollari come previsto dai contratti con Gazprom, anche se non ha fornito dettagli sull’ipotesi dei conti secondari in rubli presso Gazprombank. Dichiarazioni simili sono state diffuse anche dal governo austriaco e da quello dei Paesi Bassi.
Alcuni esponenti politici hanno parlato di «ricatto» da parte della Russia, ma al di là delle decisioni nel breve periodo, nel medio-lungo termine le scelte del governo russo potrebbero rivelarsi controproducenti. Non rispettando i propri contratti sulle modalità di pagamento, Gazprom si sta esponendo sensibilmente e sta mettendo a rischio la propria credibilità come fornitore. Man mano che si presenteranno nuove alternative, i paesi europei potrebbero ridurre le loro importazioni, accogliendo anche le sollecitazioni da parte degli Stati Uniti che propongono nuovi accordi energetici, con l’obiettivo di escludere il più possibile la Russia.
Ogni paese sta infatti valutando quali politiche adottare per ridurre la propria dipendenza dal gas russo, accelerando il passaggio alle rinnovabili (che comunque richiede tempo) e valutando nell’immediato la riapertura di centrali a carbone, molto inquinanti e con un grande impatto sull’emissione di gas serra. Per i principali importatori ridurre drasticamente o rinunciare alle importazioni di gas russo nel breve termine sarebbe comunque impensabile, e da questa circostanza derivano le pressioni che rischiano di dividere la linea comune contro la Russia.