Venezia ha un problema di affitti brevi
Nella città storica, dove i turisti sono tornati quelli di prima della pandemia, ci sono sempre meno residenti e sempre più appartamenti su Airbnb
di Gabriele Gargantini
Nel marzo 2008 l’associazione Venessia posizionò nella vetrina della farmacia Morelli, in campo San Bortolomio, vicino al Ponte di Rialto, un contatore elettronico: il contaveneziani. Aggiornato ogni settimana e ancora attivo, il contatore tiene traccia del numero di abitanti del centro storico di Venezia, così da misurarne lo spopolamento. Gli abitanti, infatti, sono da tempo sempre meno. Nel 2008, il contatore diceva che erano poco più di 60mila. Ora il numero sta per scendere sotto i 50mila.
In parte causa e in parte conseguenza di questo spopolamento è il parallelo aumento degli affitti brevi disponibili a Venezia, quelli offerti attraverso servizi come Airbnb, che iniziò le sue attività nell’estate 2008, anno della grande recessione globale.
«Per ogni veneziano che se ne va, per ogni appartamento lasciato libero», scriveva qualche mese fa La Nuova, «il voracissimo mercato immobiliare destinato ai turisti si è spinto fin dove poteva, occupando palazzi sul Canal Grande, edifici alle Zattere, alla Giudecca, scegliendo con eguale bramosia abitazioni in zone caratteristiche, affacciate sui canali di Cannaregio, alla Misericordia, così come a San Giovanni e Paolo».
Secondo i dati di Ocio – che vuol dire “occhio” in veneziano, ma è anche la sigla dell’Osservatorio CIvicO sulla casa e la residenza, un gruppo che dal 2018 monitora la situazione abitativa di Venezia – nella Venezia insulare (la città storica e le vicine isole come Murano e Burano) i posti letto nelle strutture ricettive del settore non alberghiero erano meno di 12mila nel 2008. Nel 2019 erano diventati quasi 40mila.
I dati, elaborati a partire da quelli resi disponibili dalla regione Veneto e dal comune di Venezia (di cui fanno parte anche Mestre e Marghera e che ha oltre 250mila abitanti), dicono inoltre che, già nel 2019 e sempre nella Venezia insulare, il numero totale di posti letto sul mercato turistico aveva praticamente raggiunto il numero di residenti.
Vent’anni fa, sempre nella Venezia insulare, gli alloggi privati per turisti rappresentavano il 28 per cento delle strutture e mettevano a disposizione meno di un letto su dieci tra quelli totali. Citando dati relativi al 2018, Ocio dice invece: «gli alloggi privati costituiscono ormai quasi la totalità delle strutture ricettive di Venezia (insulare), il 92 per cento». E aggiunge: «sebbene ogni singolo alloggio privato abbia una capacità ricettiva decisamente inferiore a un albergo, tutti gli alloggi privati coprono comunque la maggior parte (il 56 per cento) dei posti letto dell’offerta ricettiva complessiva».
Sul sito del progetto c’è anche una mappa che mostra come in certe zone di Venezia, in particolare in quelle del sestiere di San Marco, uno dei sei quartieri in cui è divisa la città, ci siano più di venti posti letto turistici per ogni abitante.
I dati che raccontano questo fenomeno sono molti: ce ne sono sull’apposito “geoPortale” del Comune, su cui si possono anche segnalare le strutture abusive; quelli più specifici su Airbnb si trovano invece su Inside Airbnb, un progetto indipendente dall’azienda.
I tanti dati e il fatto che non sempre, quando si parla di Venezia, si capisce di cosa geograficamente si stia parlando, fanno sì che ci siano variazioni e che spesso si citino numeri un po’ diversi tra loro. C’entrano le recenti oscillazioni nell’offerta dovute alla pandemia, ma anche il fatto che i posti letto turistici a Venezia sono senz’altro più di quelli rilevati dai dati, per via della sicura presenza di strutture abusive. A sua volta, un altro rilevante problema.
Secondo la Smart Control Room, un avanzatissimo sistema di monitoraggio che tra le altre cose sfrutta i dati dei cellulari per monitorare flussi e presenze in città, solo a Pasqua ci sono stati almeno 20mila turisti che hanno pernottato nel comune di Venezia, senza però risultare registrati in nessuna struttura.
Insieme a quello dell’acqua, il turismo è il più grande problema della Venezia insulare. E per via delle evidenti peculiarità veneziane, lo è ancor più che in molti altri centri storici italiani. Da diversi anni si parla infatti della cosiddetta disneyzzazione di Venezia, della trasformazione di calli, campi e canali in un parco a tema, a uso e consumo dei turisti.
Il sabato prima di Pasqua i turisti a Venezia sono stati 160mila, a Pasqua 140mila. Il comandante della polizia locale ha detto che è stato «un delirio» e il Gazzettino ha parlato di un «trasporto pubblico in forte difficoltà» e di «residenti spazientiti che non riescono a rincasare e si trovano imbottigliati in una morsa che è tornata ai livelli del pre-covid».
Per cercare di mettere ordine al problema, già da questa estate dovrebbe diventare attiva una piattaforma per prenotare l’accesso a Venezia. È prevista invece per il 2023 (dopo essere stata rinviata causa pandemia) l’introduzione di un “ticket d’accesso” per turisti, anche solo giornalieri, quindi diverso dalla già presente “tassa di soggiorno”.
Strettamente collegato al problema della disneyzzazione, o comunque dell’eccessiva preponderanza del turismo su ogni altra cosa, c’è poi il problema della airbnbizzazione.
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Da qualche mese, però, sembra che qualcosa si stia muovendo anche in questo senso. Diversi gruppi e associazioni (tra cui anche Ocio) si sono infatti uniti nel progetto “Alta Tensione Abitativa”, i cui eventi principali sono fin qui stati legati a due proiezioni di Welcome Venice, film del regista veneto Andrea Segre. La proiezione più recente è stata nel marzo di quest’anno al teatro Toniolo di Mestre, davanti a circa 500 persone.
Gli eventi di Alta Tensione Abitativa sono stati associati al film per l’interesse di Segre nei confronti della questione e perché Welcome Venice parla proprio di quello: una casa della Giudecca, l’isola che si affaccia sull’omonimo canale, e due fratelli con diverse idee su cosa farne. Uno vorrebbe continuare a viverci, l’altro vorrebbe affittarla ai turisti.
A marzo, a Mestre, dopo la proiezione gratuita del film, Alta Tensione Abitativa ha presentato una proposta di legge che ha lo scopo di contrastare «la diffusione delle locazioni brevi turistiche», che secondo il gruppo è stata «favorita dall’avvento di alcune note piattaforme digitali» e «ha portato alla conversione di moltissime abitazioni in attività sostanzialmente ricettive, modificando il tessuto sociale ed economico di molte città italiane», Venezia compresa.
«La nostra proposta di legge», spiega Alta Tensione Abitativa, «intende colmare un vuoto normativo con una regolamentazione nazionale che consegni ai comuni uno strumento concreto per limitare la diffusione incontrollata delle locazioni brevi, al fine di salvaguardare la residenzialità».
In sintesi, la proposta di legge chiede che i comuni italiani possano scegliere quali e quante autorizzazioni dare per gli affitti brevi, che lo facciano per periodi limitati di tempo (si parla di cinque anni, poi eventualmente rinnovabili) e che abbiano strumenti per impedire che un singolo proprietario possa affittare più appartamenti. Ora invece, secondo i dati di Ocio, ricavati da quelli di Inside Airbnb, poco più del 20 per cento degli host di Airbnb attivi a Venezia gestisce non meno del 60 per cento degli annunci, con addirittura il 5 per cento degli host che ha tra le mani oltre il 30 per cento degli annunci.
La proposta di legge prevede inoltre che il numero di posti letto offerti attraverso affitti brevi non superi il 20 per cento del numero dei residenti di una determinata area. In altre parole, se nel centro storico di Venezia ci sono 50mila residenti, non dovrebbero esserci più di 10mila posti letto offerti attraverso affitti brevi. Ora sono circa il doppio.
Alta Tensione Abitativa parla poi della necessità di «garantire comunque l’esercizio», al di fuori dei regimi di autorizzazione, delle attività che «possono ricondursi alla nozione originaria di sharing economy», cioè quelle in cui si affittano locali per condividere una stanza per guadagnarci qualcosa.
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La proposta sembra essere stata ben accolta dall’amministrazione cittadina. Dopo l’incontro di marzo al teatro Toniolo, Luigi Brugnaro, sindaco di Venezia e del partito Coraggio Italia (centro), aveva detto: «c’è stata una interessante assemblea e sono state dette cose interessanti sul tema degli affitti brevi. Se mi invitavano, ci andavo volentieri». Aveva poi aggiunto: «o la sinistra ha scoperto il mio programma o sono diventato io di sinistra».
Già nel 2019 Brugnaro aveva parlato del «problema» della «residenza affittata ai turisti», proponendo allora un tetto massimo di 100 giorni all’anno durante i quali affittare su Airbnb. Aveva aggiunto: «a quel punto conviene l’affitto fisso al libero mercato e le case tornerebbero ad uso residenziale, basterebbe poco».
Intervistato dal Corriere della Sera dopo la proiezione-assemblea al Toniolo, Segre aveva detto: «la risposta di Brugnaro denota che c’è attenzione. Per arrivare a far discutere la legge in Parlamento dobbiamo arrivare a creare una convinzione».
Secondo Sarah Gainsforth – autrice dei libri Airbnb città merce. Storie di resistenza alla gentrificazione digitale e Oltre il turismo. Esiste un turismo sostenibile? – la proposta di Alta Tensione Abitativa è interessante perché, oltre ad arrivare «dalla città più colpita», si concentra sulle due cose più importanti: il limite al numero degli alloggi e al numero di notti per alloggio. Nel farlo, prova a «bypassare» un «impianto completamente anacronistico». Gainsforth spiega infatti che in Italia in molti casi «si fa ancora distinzione tra attività occasionali e imprenditoriali sulla base dei servizi offerti». Secondo lei, «una cosa ridicola»: perché non è affatto detto che «se non offri la colazione allora non sei un’attività imprenditoriale».
Resta comunque, dice ancora Gainsforth, la difficoltà di trovarsi «a danni già fatti» a dover «regolamentare un fenomeno che è difficile regolamentare». Perché, anche con una legge statale, servirebbe «un apparato di controllo che i Comuni non hanno».
In altre parole, bisognerebbe controllare chi, in un’ottica più propria della sharing economy, affitta solo stanze, e chi invece affitta un intero appartamento (secondo Ocio sono di questo tipo l’82 per cento degli annunci Airbnb relativi alla Venezia insulare). Servirebbero inoltre informazioni chiare su quanti alloggi siano riconducibili a un proprietario e se, nel caso di Venezia, quel proprietario sia davvero residente in laguna.
Dentro ad Airbnb – e ad altri servizi simili, seppur meno noti – ci sono infatti molte realtà diverse, da chi possiede e gestisce professionalmente decine di appartamenti a chi arrotonda uno stipendio sfruttando una stanza in più. Oltre ad Airbnb esistono peraltro realtà più piccole e meno note come Ecobnb e Fairbnb, il cui cofondatore Emanuele Dal Carlo aveva detto, intervistato dalla Nuova: «chiediamo che gli host siano locali, ci assicuriamo che non sia fatto nulla in nero e come regola un host può avere al massimo una seconda casa da affittare. Applichiamo una commissione del 15 per cento a chi prenota e la metà viene donata» a un progetto locale, scelto dal turista.
Jan van der Borg, professore di economia del turismo all’Università Ca’ Foscari di Venezia, ritiene però che sia comunque sbagliato prendersela troppo con Airbnb.
Van der Borg, autore alcuni anni fa di uno studio secondo cui Venezia poteva sostenere al massimo 52mila turisti al giorno, si dice «preoccupato dall’idea di «suburbanizzazione» delle città, a cominciare da Venezia, e dal fatto che la pressione turistica «conduce a una evidente monocultura che dagli anni Ottanta ha portato all’aumento del volume e ha contribuito all’esodo degli abitanti».
Dice tuttavia di essere «un po’ meno preoccupato dal fenomeno bed and breakfast», e aggiunge: «Airbnb è un portale, un broker tra domanda e offerta, sono i singoli gestori che anziché rivolgersi al mercato normale si rivolgono a quello turistico». Secondo lui, c’è senz’altro un problema di «strutture abusive che non rispettano le regole, non pagano le tasse e non si registrano», cosa che rappresenta «un fattore distorsivo del mercato residenziale». Secondo Van der Borg, Airbnb non è di per sé il vero problema.
«Non credo sia corretto dare la colpa dei problemi ai bed and breakfast» dice Van der Borg, che ritiene «controproducente» imporre un limite al numero di posti letto messi a disposizione attraverso strutture non alberghiere. «Non lo farei mai», prosegue, perché «non c’è dubbio che il cliente cerca strutture ricettive vicine al concetto di live like a local, e gli alberghi non hanno saputo né cogliere né soddisfare queste esigenze».
«Non credo che sia sbagliato pensare addirittura anche ad un aumento, specie con alloggi più economici, del mercato della ricettività turistica», e aggiunge: «se avessi una struttura alberghiera, farei una riflessione sulla bontà e competitività di un tre stelle con le stanze Ikea».
Secondo Van der Borg, molte proposte per regolamentare l’offerta di affitti brevi per turisti «vanno nella direzione giusta, ma rischiano di demonizzare troppo sia i portali che i proprietari». Bisognerebbe invece «riconoscere bontà e utilità delle attività che, nel rispetto delle regole, danno un’impronta nuova al concetto di ospitalità e accoglienza». Anche perché, prosegue, «chi sta in bed and breakfast spende di più pro capite per giornata di chi sta in un 2-3 stelle, e sta anche più a lungo».
Inoltre, dato che lo spopolamento della città storica di Venezia (così come di altre città in Italia e in Europa) era iniziato ben prima dell’arrivo di Airbnb, le soluzioni a questo problema vanno cercate anche altrove. Gainsforth parla, per l’Italia, dell’assenza di «una visione alternativa a una economia urbana basata sul turismo» e dà la colpa, tra gli altri, a «una politica che continua a raccontare che il turismo è la più grande risorsa dell’Italia, mentre in realtà la risorsa sono i territori e il turismo è uno strumento per estrarre quella ricchezza».
Per Van der Borg, quando si parla di turismo e spopolamento Venezia è senza dubbio «un caso estremo, unico per l’intensità e la storia del fenomeno», che però ha anche «meccanismi, problemi, cause e conseguenze che sono identiche a quelle di San Gimignano, Bruges, Amsterdam o Barcellona». In questo senso, «tutte le ricette veneziane possono essere applicate in altri posti, ovviamente personalizzando, e viceversa molte cose che stanno sperimentando da molto tempo Venezia le può imparare e copiare».
L’obiettivo è trovare un difficile punto di incontro ed equilibrio tra gli abitanti che diminuiscono e i turisti che aumentano, e che già sono tornati tanti quanti prima della pandemia.
In una scena di Welcome Venice, ambientato in una Venezia svuotata della pandemia, il personaggio di Alvise (interpretato da Andrea Pennacchi) passeggia con la figlia e i due si fermano a guardare il Ponte dei Sospiri: «una volta era impossibile fermarsi» dice lei «ti investivano». Al che lui risponde: «infatti non mi ero mai fermato». Poi si guarda attorno e dice: «che poi sarebbe bella anche così, è che fa anche paura».
Dopodiché lei gli dice di aver preso, in una delle case che affittano, «dodici spagnoli dal venti al trenta: tre famiglie con anche i nonni, 300 euro a testa».