Le forze militari potranno avere i loro sindacati
Il parlamento ha approvato una legge che cambia una tradizione che durava da sempre, tra molte perplessità soprattutto tra i militari
di Alessandra Pellegrini De Luca
Mercoledì il parlamento ha approvato una legge per permettere alle forze armate e alle forze di polizia a ordinamento militare di formare dei sindacati: quindi a Carabinieri, Guardia di Finanza, Esercito, Marina e Aeronautica militare. La legge è importante, e in qualche modo storica. Fino a quattro anni fa ai militari era infatti vietato iscriversi a un sindacato, e le cose sono cambiate solo con una sentenza della Corte Costituzionale: definendo questo divieto illegittimo, la Corte ha aperto la strada a un processo di “democratizzazione” dei corpi militari, tradizionalmente molto gerarchici.
La legge sta comunque suscitando parecchie perplessità negli ambienti militari: c’è chi la ritiene inutile e «grottesca», ma anche chi la considera largamente insufficiente rispetto ai suoi obiettivi di partenza, al punto da poter produrre effetti contrari a quelli desiderati.
La proposta era stata presentata a luglio del 2018. Il suo principale sostenitore era stato il Movimento 5 Stelle, che aveva già cercato di legalizzare i sindacati per i militari nel 2014. A differenza di allora, però, quattro anni fa una legge era stata resa più urgente dalla sentenza della Corte Costituzionale: ad essere dichiarato illegittimo era la parte dell’articolo del Codice dell’ordinamento militare (articolo 1475 comma 2) che vietava ai militari di avere al proprio interno delle associazioni a carattere sindacale.
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Secondo la Corte – che aveva accolto una questione di legittimità costituzionale presentata l’anno prima dal Consiglio di Stato – quel divieto era incompatibile con l’articolo 11 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: quello che riguarda la libertà di riunione e associazione.
Fu una sentenza estremamente rilevante, perché il divieto per le forze militari di aderire ai sindacati ha una lunga tradizione.
Tra il Diciannovesimo e il Ventesimo secolo, in molti paesi i sindacati erano visti praticamente come organizzazioni di estrema sinistra, sovversive e pericolose, del tutto incompatibili con strutture gerarchiche, verticali e accorpate alle istituzioni come quelle dei militari. Per i compiti che hanno di difesa e mantenimento della sicurezza, ai militari si richiede infatti di essere il più possibile obbedienti e compatti. In Italia, tra l’altro, militari sono anche i Carabinieri, ai quali spetta anche il compito di tutela dell’ordine pubblico: questo ha comportato spesso anche il controllo delle manifestazioni organizzate dai sindacati.
Per i militari la cosa più simile a un sindacato sono state per decenni le cosiddette “rappresentanze militari”, istituite nel 1978: servivano a garantire forme di tutela giuridica, economica e previdenziale, in modo simile a quanto fa un sindacato, ma l’organizzazione interna era molto più gerarchica e comprendeva una serie di divieti, tra cui quello di organizzare scioperi.
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Tra le forze militari, la proposta di fare una legge sui sindacati era stata accolta in maniera non univoca.
Da una parte i più progressisti l’avevano considerata una specie di conquista, un modo per poter finalmente beneficiare di maggiori tutele, permettendo per esempio di aumentare il potere contrattuale. As.so.di.pro, l’associazione di promozione sociale che aveva proposto il ricorso del Consiglio di Stato alla Corte Costituzionale, aveva detto che la sentenza era il frutto di anni di battaglie, arrivate finalmente a stabilire che «ciò che vale per un cittadino vale anche per un cittadino militare».
Un’altra parte dell’ambiente militare, invece, si era mostrata fin da subito molto scettica all’idea di una legge che permettesse di fare dei sindacati: intervistato dal Foglio nel 2019, l’ex capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Leonardo Tricarico aveva detto per esempio che le pretese sindacali degli stessi militari erano «inconcepibili» e aveva aggiunto di avere «dubbi sul fatto che il diritto sindacale comunemente inteso sia davvero conciliabile con gli oneri e le prerogative» delle forze armate. Altri avevano definito la legge una proposta politica «imposta» dall’alto, e non una conquista attesa e cercata.
Per come è stata formulata, la legge ha scontentato sia i più conservatori, secondo cui i futuri sindacati militari saranno nel migliore dei casi una cosa inutile, sia i più progressisti, secondo cui non verrebbero garantite sufficienti tutele e abbastanza potere contrattuale (questa seconda categoria ha definito la proposta una «farsa» e un «passo indietro di oltre 40 anni»).
Anzitutto va specificato che alcuni grossi limiti ai futuri sindacati militari in un certo senso erano già stati previsti e imposti dalla sentenza della Corte Costituzionale.
Il limite più evidente era il mantenimento del divieto per i sindacati militari di organizzare scioperi (come peraltro accade in altri paesi europei), una cosa che potrebbe sembrare un po’ un controsenso. Inoltre, la sentenza della Corte aveva confermato i limiti alla libertà sindacale dei singoli militari, mantenendo il divieto di aderire ad altre associazioni sindacali: in altre parole, escludeva che un carabiniere avrebbe potuto iscriversi alla CGIL, per esempio (un passaggio della sentenza, questo, criticato da diversi analisti).
Proponendo la legge, il Movimento 5 Stelle sperava comunque di poter rendere i sindacati dei militari quanto più possibile simili a quelli di altre categorie di lavoratori, attuando una specie di «rivoluzione gentile». Le cose però sono andate diversamente.
La legge è stata osteggiata in diversi suoi punti in particolare dal centrodestra e dalla destra: la Lega e Forza Italia hanno contribuito a modificare il testo in senso sempre più restrittivo, presentando emendamenti che hanno progressivamente limitato la possibilità dei militari di ricorrere alle tutele dei sindacati, e in molti casi il centrosinistra li ha approvati senza fare molto clamore.
Uno degli aspetti più controversi e discussi di questa legge, per esempio, è quello che prevede che le controversie sui rapporti di lavoro siano gestite non da un tribunale ordinario, come avviene per altre categorie di lavoratori, ma da un tribunale amministrativo: secondo il Movimento 5 Stelle e gli stessi militari, la procedura seguita da questo tipo di tribunale è molto meno conveniente per i lavoratori.
Un altro aspetto criticato è stata la definizione, nella legge, del potere contrattuale concesso ai sindacati militari: esattamente come nel caso delle “rappresentanze militari”, dalle contrattazioni è escluso ciò che riguarda i rapporti gerarchici tra militari e i modi in cui il personale viene impiegato e addestrato. In altre parole, su chi comanda e su cosa viene deciso non c’è alcun margine di discussione.
Per capire esattamente come questo condizionerà le contrattazioni bisognerà certamente aspettare l’istituzione dei sindacati, ma secondo Cleto Iafrate, membro dell’esecutivo nazionale di SIBAS Finanzieri – un sindacato della Guardia di Finanza nato dopo la sentenza del 2018, come altri sindacati che ora saranno regolamentati dalla nuova legge –, riproporre queste limitazioni è «come chiedere ai sindacati di prendersi cura dei frutti di un albero, senza però avere la possibilità di occuparsi dei rami, della pianta e delle radici»: quindi occuparsi solo di temi superficiali e secondari e non poter mettere bocca sulle questioni centrali.
La legge prevede poi altre limitazioni, per esempio su quali militari possano e non possano aderire ai sindacati (gli allievi di certe categorie di militari, per esempio, non possono), sulla neutralità politica, sul divieto di promuovere manifestazioni indossando l’uniforme o di usare nomi che anche solo assomiglino a quelli di organizzazioni sindacali già esistenti.
Secondo gli osservatori più critici, i sindacati militari regolamentati da questa legge avranno due grossi problemi. Anzitutto pochissimo margine d’azione: i divieti di sciopero o di organizzare manifestazioni, da questo punto di vista, sono le limitazioni più evidenti.
Inoltre saranno entità isolate e separate dagli altri sindacati. A questo, secondo i più critici, contribuirà almeno in parte il divieto per i singoli militari di aderire ad altre associazioni. Si teme anche che i nuovi sindacati diventino corporazioni chiuse, difensive e potenzialmente aggressive: un problema che riguarda soprattutto le forze di polizia a ordinamento militare (in particolare i Carabinieri, più che l’Esercito o l’Aeronautica, perché hanno compiti di mantenimento dell’ordine pubblico, e quindi si potrebbero trovare a gestire proteste o manifestazioni sindacali).
Michele Di Giorgio è un esperto di storia della polizia all’Università di Siena ed è autore di Per una polizia nuova, un libro che tra le altre cose parla della sindacalizzazione della Polizia di Stato: secondo Di Giorgio, la legge «ripropone un vecchio problema delle forze dell’ordine italiane, quello della “separatezza”, cioè della distanza delle polizie dalla sfera collettiva e civile che queste dovrebbero proteggere». È una separatezza, dice Di Giorgio, che ne potrebbe favorire un uso distorto e repressivo, contro le manifestazioni di dissenso o la diversità.
Il parere di Di Giorgio è condiviso anche da Cleto Iafrate del SIBAS. Secondo Iafrate, il rischio di corporativismo (in parte intrinseco agli stessi sindacati) è problematico soprattutto per i militari coinvolti nel comparto sicurezza: «nel caso di entità come i Carabinieri, il rischio di corporativismo di sindacati pensati in questo modo, abbinato ad una cultura di obbedienza spesso cieca, adesiva e acritica, può essere molto problematico».
Da questo punto di vista, esempi di sindacati delle forze dell’ordine che di fatto sono diventati corporazioni difensive e pronte a difendere abusi non mancano: in Italia succede già con alcuni sindacati di polizia, all’estero succede in Francia o per citare un esempio molto più noto negli Stati Uniti, dove i sindacati sono un problema noto e molto noto e commentato, dato che si sono spesso opposti a tentativi di riforma e che difendono gli agenti sempre e comunque, anche di fronte a comportamenti violenti e ingiustificati.
Proprio per questo, secondo Iafrate, sarebbe utile distinguere – anche quando si fanno leggi – le forze a ordinamento militare come i Carabinieri e la Guardia di Finanza dai militari impegnati in operazioni di difesa, come l’Esercito, l’Aeronautica e la Marina.