Storia dei Casamonica, il clan più potente di Roma
L'organizzazione, di origine sinti, accetta solo membri della famiglia e continua a essere forte e temuta nonostante i molti arresti
La sera di Pasqua, a Roma, dopo una lite stradale, un cittadino egiziano è stato prima minacciato, poi picchiato e con un coltello gli è stato tagliato il lobo di un orecchio. L’attacco è avvenuto nella zona della Romanina, nel sudest di Roma. Gli aggressori del cittadino egiziano, mentre lo colpivano, gli hanno urlato: «Bastardo, noi siamo i Casamonica». Non è la prima volta che succede: quello dei Casamonica è diventato una sorta di “brand”, un marchio di fabbrica.
I Casamonica sono temuti in tutta Roma e controllano molti degli affari criminali che si svolgono nella capitale. La loro attività non si limita però solo a Roma: sono presenti, con le loro ramificazioni, in molte zone del Sud, organizzati come le ‘ndrine calabresi, e come le ‘ndrine sono a “tenuta stagna”, con l’alleanza tra i vari esponenti cementata da legami familiari. Nel 2020, nell’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di membri del clan, la giudice per le indagini preliminari, Zsuzsa Mendola, scrisse che i Casamonica rappresentavano «un’organizzazione orizzontale e non verticistica» e che erano «dediti a numerose attività criminali. Pur essendo autonomi, sono sempre pronti a unirsi qualora vi sia necessità di far fronte a pericoli o minacce provenienti dall’esterno, in quanto legati da un comune senso di appartenenza alla medesima famiglia».
C’è un aspetto particolare che sembra accomunare tutti i membri del clan: l’ostentazione del lusso.
Nelle loro ville, spesso abusive, alcune delle quali sono state abbattute negli ultimi anni, (celebre la distruzione a colpi di ruspa di una villa alla Romanina, avvenuta nel novembre 2018, a cui partecipò l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini), vengono esibiti oro e gioielli che spuntano dappertutto, enormi letti a baldacchino, statue di animali, scalinate imponenti, mobili e oggetti da film americano sulla mafia.
Nel 2010 sfilarono con Porsche e Ferrari sul Grande Raccordo Anulare di Roma diretti verso l’abitazione di un giovane appartenente al clan che stava per sposarsi. A bordo di una delle auto un cantante neomelodico cantava serenate lungo la strada, diffuse grazie a potenti altoparlanti.
I Casamonica sono una famiglia di origine sinti, ancora oggi parlano, mischiato a espressioni romanesche, il romanes: secondo i linguisti deriva dalle lingue parlate nell’India settentrionale, e molti termini vengono dal persiano, dal curdo, dal greco, dall’armeno. I primi esponenti del clan arrivarono a Roma alla fine degli anni Trenta, da Tortoreto, in provincia di Teramo. Altri giunsero poi da Pescara e da Venafro, in Molise. Il nucleo principale si formò nella zona sud e sudest di Roma: Romanina, Anagnina, Porta Furba, Tuscolano, Spinaceto fino a uscire dalla capitale, verso Frascati.
La loro attività, allora, era il commercio dei cavalli, muli, somari. Nel Secondo dopoguerra lasciavano i cavalli al pascolo su terreni di cui si erano impossessati, se nessuno li aveva reclamati. Iniziarono così a costruire case e poi, in un secondo momento, le ville simbolo di potere. Passarono alle rapine dei tir che bloccavano sul Grande Raccordo Anulare, all’usura praticata con tassi al 200 o 300% e che ancora oggi è una delle maggiori fonti di entrata del gruppo. E poi racket, traffico di droga, prostituzione, scommesse clandestine.
Ancora oggi il denaro delle attività illegali viene reinvestito e ripulito in attività immobiliari e nella gestione di autoconcessionarie. Nell’ultima relazione della Direzione investigativa antimafia (Dia), riferita al primo semestre 2021, vengono citate alleanze dei Casamonica con famiglie mafiose siciliane. È tra l’altro scritto che il clan è stato qualificato, nel corso di vari processi, come un’associazione criminale di tipo mafioso. Sempre secondo la Dia, i Casamonica rappresentano la struttura criminale più potente e radicata del Lazio, con un patrimonio stimato di 90 milioni di euro.
Oggi le loro attività sono diverse: estorsione, spaccio, corruzione, racket, riciclaggio di denaro, sfruttamento della prostituzione, appalti, usura, scommesse sportive, gioco d’azzardo, oltre che omicidi, furti, rapine.
Prima di diventare il clan più potente di Roma, i Casamonica hanno fatto un lungo “apprendistato” al servizio di alcuni esponenti della banda della Magliana, organizzazione criminale mafiosa che operò nella capitale tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Novanta. In quel periodo Vittorio Casamonica fu a lungo un “soldato” di Renatino De Pedis, il boss della banda della Magliana che alla sua morte (fu ucciso il 2 febbraio 1990) venne sepolto nella Basilica di Sant’Apollinare tra cardinali e benefattori della Chiesa. Quindi, Vittorio Casamonica divenne addetto al recupero crediti di Enrico Nicoletti, considerato il cassiere della banda.
Fu con Vittorio Casamonica che il clan si arricchì e divenne molto potente. Era considerato, dalla polizia di Roma, un personaggio minore, una sorta di piccolo delinquente. Nel 1990, quando per il fisco era nullatenente, aveva invece un patrimonio miliardario. Quando venne interrogato dai magistrati nel corso di un’inchiesta, disse: «Ma io sono uno zingaro, vendo macchine». In realtà, con lui, il clan era diventato potentissimo: se ne accorsero tutti alla sua morte.
Al suo funerale, il 20 agosto 2015, il feretro venne accompagnato dalle note del Padrino che risuonavano attorno al sagrato della basilica Don Bosco, al quartiere Tuscolano. La bara era arrivata su una carrozza nera, trainata da cavalli neri con cocchieri in divisa. Dietro, c’era la famiglia a bordo di Rolls Royce d’epoca. Intanto, dal cielo, un elicottero faceva cadere petali di rose rosse. C’erano manifesti ovunque: ritraevano Vittorio Casamonica con il Colosseo e la Basilica di San Pietro sullo sfondo e la scritta «Re di Roma». Su altri c’era scritto: «Hai conquistato Roma ora conquisterai il paradiso».
Ci furono molte polemiche: si discusse su chi avesse dato il permesso a un elicottero privato di sorvolare quella zona di Roma. Inoltre, la basilica Don Bosco era la stessa che nel dicembre 2006 aveva negato i funerali a Piergiorgio Welby, co-presidente dell’associazione Luca Coscioni impegnato nella lotta per l’eutanasia legale e per il diritto al rifiuto dell’accanimento terapeutico, e morto per le conseguenze della malattia da cui era affetto, la distrofia muscolare. Ora invece quella stessa basilica accoglieva un boss criminale.
Disse Massimiliano Fazzari, pentito di ‘ndrangheta che ha vissuto a lungo a Roma:
«Quando Vittorio Casamonica era in vita, quello che diceva era. Se diceva A era A. Casa sua era importante come il santuario della Madonna di Polsi (nel comune di San Luca, in provincia di Reggio Calabria, ndr) […]. Nella zona della Tuscolana, soprattutto in prossimità del vicolo di Porta Furba, i Casamonica hanno un controllo equiparabile a quello che può avere una locale (una ramificazione del clan, ndr) della ‘ndrangheta in un paese calabrese»
Dopo la morte di Vittorio, la reggenza passò al cugino Luciano Casamonica, anche se le inchieste hanno sempre sottolineato che non esiste un boss assoluto ma tante ramificazioni della famiglia che si coordinano tra loro.
Con i Casamonica ci sono i loro parenti: Di Silvio, Di Rocco, Bevilacqua, Spinelli, De Rosa, Spada. Fu un esponente degli Spada, Roberto, ad aggredire nel 2017 a Ostia Daniele Piervincenzi, giornalista della trasmissione Nemo, della Rai: Piervincenzi stava facendo domande sui rapporti tra gli Spada e l’organizzazione neofascista CasaPound.
Il clan ha sempre cercato di avere rapporti con la politica romana. Nel 2013 molti giornali pubblicarono una foto del sindaco uscente, e ricandidato, Gianni Alemanno, con Luciano Casamonica, cugino del boss Vittorio. Nel 2015, un altro esponente della famiglia, Victor Casamonica, intervistato a La Zanzara disse: «Di solito voto a sinistra, per il PD, ma non sono un uomo di sinistra, sono di centro». Domenico Spada invece spiegò: «Ho votato il Movimento 5 Stelle, ma ora non li voto più». In un’altra intervista, Guerino Casamonica disse: «A noi la politica ha sempre chiesto voti, abbiamo votato Andreotti, Craxi, Berlusconi. Tutti».
I Casamonica non hanno mai disdegnato le interviste. Fu celebre una partecipazione di Vera e Vittorino, figlia e nipote del capoclan Vittorio, a una puntata di Porta a Porta nel settembre del 2015, un mese dopo la morte del boss. Le polemiche furono forti e numerose. Vittorino Casamonica disse all’agenzia di stampa Agi:
«Voglio ringraziare la Rai e Bruno Vespa, che ci hanno dato la possibilità di smentire tutte le calunnie su di noi e dimostrare che siamo persone oneste. La redazione di Porta a Porta ci ha invitato giorni fa per darci modo di dire le cose come stanno, e siamo andati volentieri. Su mio nonno hanno detto tante bugie, tante calunnie, ma non era un boss, era una persona normale».
Le inchieste iniziarono a colpire i Casamonica già nel 2012 quando vennero arrestate 39 persone del clan in un’operazione contro lo spaccio di stupefacenti nella zona sud di Roma. Nel 2018 quattro Casamonica vennero arrestati per aver picchiato duramente il gestore di un negozio, cittadino rumeno, alla Romanina. Il motivo era stato che il gestore del negozio aveva servito altri clienti prima di loro. Venne anche picchiata una ragazza, disabile, che aveva tentato di difendere l’uomo. I quattro vennero arrestati per violenza privata e lesioni personali pluriaggravate dall’aver agito in concorso, dai futili motivi, dall’aver ostacolato la privata difesa, e dall’utilizzo di un’arma impropria, con l’aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso. Secondo il magistrato che si occupò dell’indagine, l’aggressione era avvenuta per «riaffermare la titolarità sul territorio».
Dalle inchieste i Casamonica si sono sempre difesi sfruttando ogni possibile mezzo. Lo dimostra la vicenda che ha riguardato Consiglio Casamonica, detto Tony il Meraviglioso, e un pubblico ministero romano, Roberto Staffa. Consiglio Casamonica era stato arrestato: la sua compagna, una donna di 40 anni, telefonò al magistrato e chiese un appuntamento. Staffa la accolse nel suo studio, lei offrì sesso in cambio della liberazione di Tony il Meraviglioso.
Nel 2018 un’altra operazione dei carabinieri, denominata Gramigna, si concluse con l’arresto di 31 persone, di cui 16 con il cognome Casamonica. Quasi tutti gli arrestati vivevano a Porta Furba, considerata la “roccaforte” del clan. Altre 23 persone furono arrestate un anno dopo, nell’operazione Gramigna bis. Vennero sequestrati conti correnti, auto, orologi, gioielli e anche una cappella funeraria gentilizia all’interno del cimitero di Ciampino.
Nel 2020, nel corso dell’indagine Tom Hagen (il nome del Consigliori interpretato da Robert Duvall nel film Il padrino), fu scoperto che era stato stretto un accordo di pace tra la banda di Fabrizio Piscitelli, detto Diabolik, capo degli ultras della Lazio e pregiudicato per traffico di droga, ucciso il 7 agosto 2019, e Salvatore Casamonica. I due rappresentavano clan rivali che si stavano fronteggiando a Ostia e che in quell’occasione decisero di mettere in atto una sorta di “pax mafiosa”.
Quello che le indagini hanno evidenziato è la forte capacità del clan di stringere alleanze, anche con la ‘ndrangheta, e l’alto livello di impermeabilità dell’organizzazione: i Casamonica cercano di non mischiarsi con chi non fa parte della famiglia o con altre famiglie di origine sinti considerate però inferiori. Ancora meno vedono di buon occhio il matrimonio con donne gagè, cioè non di origine rom.
Viene citato l’esempio di Debora Cerreoni, moglie gagè di Massimiliano Casamonica, che dopo essere stata per dieci anni interna al clan è diventata collaboratrice di giustizia. Cerreoni raccontò di aver vissuto a lungo segregata in casa, in uno stato di totale assoggettamento imposto soprattutto da Liliana Casamonica, diventata la reggente del clan dopo l’arresto del boss, Giuseppe. Disse Cerreoni ai magistrati:
«Quando abitavo in vicolo di Porta Furba vivevo in una situazione di totale soggezione, ero obbligata a rispettare tutte le disposizioni dei Casamonica, non solo di Massimiliano ma anche dei fratelli. Dovevo vestirmi come dicevano loro e non potevo fiatare. Le poche volte che ho tentato di fare di testa mia sono stata minacciata, picchiata e addirittura sequestrata. Lo stato di soggezione in cui mi trovavo diventava poi insopportabile quando Massimiliano era detenuto, perché io per i Casamonica ero una gaggia e per questo avevo, ai loro occhi, meno diritti di una donna di etnia rom».
Le rivelazioni di Debora Cerreoni hanno anche fatto capire alle autorità come il clan Casamonica si sia adattato a logiche “moderne”, così come la camorra e la ‘ndrangheta: quando un boss viene arrestato a prendere il suo posto non è un altro uomo ma la moglie, o compagna. È lei a gestire gli affari. Per sancire l’investitura di solito viene organizzata una grande festa. È stato scritto in una relazione dell’Osservatorio per la Sicurezza e la Legalità della Regione Lazio e dell’Osservatorio sulla Criminalità Organizzata dell’Università degli Studi di Milano:
«Sia le mogli che le amanti partecipano alle attività illecite della famiglia. Le prime sono più frequentemente impegnate nelle attività di cessione degli stupefacenti, poiché lo spaccio si svolge principalmente intorno alle abitazioni familiari, mentre entrambe possono essere coinvolte nella riscossione dei prestiti usurai, che portano avanti anche ricorrendo ad atteggiamenti violenti. Le amanti, poi, non essendo direttamente riconducibili alla famiglia possono anche svolgere il ruolo di prestanome per le attività lecite utilizzate per il riciclaggio».
Nonostante i molti arresti, i Casamonica continuano a essere forti e a sentirsi tali. In un’intercettazione del 2020, dopo un’operazione di polizia, Guido Casamonica disse al suo interlocutore che gli arresti erano finalizzati «a far entrare organizzazioni forti a Roma, ecco perché ce devono distrugge’ a noi! La camorra e la ‘ndrangheta. Noi proteggemo Roma! Devono fa’ entra’ i napoletani e i calabresi che mangiano. Je dà fastidio perché noi proteggemo Roma».