I porti cinesi ingolfati dai lockdown
Soprattutto a Shanghai centinaia di portacontainer attendono giorni per attraccare, con conseguenze globali sul trasporto delle merci
Il lockdown a Shanghai e in altre aree della Cina, il più rigido finora applicato nel paese dall’inizio della pandemia, sta mettendo sempre più in difficoltà il trasporto marittimo delle merci da una delle aree più produttive del mondo. Secondo le ultime stime, nel porto di Shanghai i container contenenti merci da esportare o importare in Cina rimangono fino a due settimane fermi prima di iniziare il loro viaggio verso le destinazioni finali.
In media, un container che arriva a Shanghai attende una dozzina di giorni prima di essere caricato su un camion e trasportato a destinazione nella Cina continentale. Alla fine di marzo, quando la città aveva avviato le prime limitazioni, i tempi di attesa erano di poco inferiori ai cinque giorni.
Il porto di Shanghai continua a essere attivo, anche grazie alla creazione di alcune “bolle” di operai che lavorano e vivono nel porto, in modo da ridurre i rischi di contagio con le persone all’esterno. I rallentamenti sono causati soprattutto dalla scarsa disponibilità di camion, che hanno il compito di trasportare i container da e verso il porto a seconda delle spedizioni. I camion disponibili sono pochi e spesso gli autisti faticano a raggiungere Shanghai a causa delle limitazioni per accedere alla città e alle restrizioni imposte in altre province, dove con i lockdown si sta provando a ridurre la quantità di contagi.
La mancanza di camion comporta forti rallentamenti nelle attività portuali e di recente ha causato la formazione di lunghe code di navi, che attendono giorni prima di poter attraccare al porto di Shanghai. Le autorità cinesi da qualche settimana smistano il traffico marittimo in altri porti non interessati dalle limitazioni, ma Shanghai è tra le destinazioni e punti di partenza più importanti per le navi mercantili e ha capacità e infrastrutture più avanzate rispetto a quelle di altre aree portuali.
Secondo la società di analisi della logistica Windward, circa il 20 per cento delle 9mila navi portacontainer attive nel mondo è attualmente bloccato in attesa di entrare in un porto. Il dato è riferito a tutto il mondo, ma si stima che almeno un terzo di queste navi si trovi lungo le coste della Cina. Il dato è circa il doppio rispetto a quello che si era registrato a febbraio, quando era in corso in molti paesi un’ondata causata dalla variante omicron.
Si stima che i lockdown in Cina delle ultime settimane abbiano causato un raddoppio nel numero di navi portacontainer in attesa di poter entrare nei porti cinesi. All’inizio di questa settimana, Windward aveva rilevato 506 navi mercantili in attesa di entrare in uno dei porti cinesi, quasi il doppio rispetto alle 260 che erano state rilevate in attesa lo scorso febbraio, quando le ondate da variante omicron stavano interessando soprattutto i paesi occidentali.
Tra fine marzo e inizio aprile, le interruzioni avevano riguardato per lo più il mercato interno della Cina, ma il prolungarsi dei lockdown e la loro estensione in altre zone del paese iniziano ad avere ripercussioni a livello internazionale, considerato il grande volume e la varietà di esportazioni derivanti dalle imprese cinesi. La riduzione dell’attività industriale in numerosi distretti produttivi cinesi potrà avere ulteriori effetti, specialmente in alcuni settori come quello tecnologico, visto che la Cina produce enormi quantità di microchip, batterie e dispositivi elettronici anche per conto di numerose aziende occidentali.
Nelle ultime 24 ore la Cina ha confermato di avere rilevato 18.502 nuovi casi positivi, quasi tutti nella zona di Shanghai dove i lockdown proseguono da quasi un mese. Le autorità locali hanno da poco deciso di effettuare un nuovo giro di test di massa, in modo da identificare le persone contagiate e sottoporle a isolamento in centri dedicati.
Nonostante alcune parziali revisioni, il governo della Cina ha per ora deciso di mantenere la cosiddetta strategia “zero COVID” per provare a contenere i contagi. Il sistema prevede l’impiego di lockdown molto rigidi nelle aree dove si sviluppano focolai di COVID-19 e test di massa per la popolazione, in modo da identificare il maggior numero possibile di casi anche asintomatici, isolandoli poi dal resto della popolazione. Fino ai primi mesi del 2022, questo approccio aveva consentito alla Cina di contenere enormemente i nuovi contagi, ma si sta mostrando poco adeguato per contrastare la diffusione della variante omicron, molto più contagiosa.
A Shanghai, città di oltre 26 milioni di abitanti, la situazione è diventata critica in diversi quartieri sottoposti ai lockdown, con segnalazioni e richieste di aiuto da parte della popolazione, che fatica a procurarsi cibo e altri generi di conforto. Molti centri di isolamento sono inoltre pieni e non possono offrire un’assistenza adeguata alle numerose persone che vengono obbligate a trascorrervi diversi giorni in attesa di diventare negative al coronavirus. I problemi organizzativi hanno portato a proteste e a un crescente malcontento, con segnalazioni sui social network cinesi spesso censurate dal governo, che continua a sostenere di avere la situazione sotto controllo.