La macchina degli aiuti umanitari in Moldavia e Ucraina
Include organizzazioni internazionali e autorità locali, e funziona facendo girare bene gli ingranaggi messi a punto nelle crisi passate
di Mario Macchioni
La stazione degli autobus di Palanca, città al confine tra Moldavia e Ucraina, si trova in un piazzale circondato da terreni brulli e pianeggianti, su cui soffia spesso un vento fortissimo proveniente dal mare. Circa una settimana dopo l’inizio dell’invasione russa, le organizzazioni umanitarie internazionali e le autorità moldave hanno scelto questo piazzale, a poche centinaia di metri dalla frontiera, come punto di raccolta per gli autobus messi a disposizione delle migliaia di profughi in arrivo dall’Ucraina.
Oggi la stazione è più attrezzata rispetto a inizio marzo, ma i lavori per allargarla continuano, ci sono camion, ruspe e mucchi di terra al limitare del piazzale. È un buon punto per guardare come viene gestito l’enorme sforzo umanitario in corso per affrontare la crisi generata dalla guerra in Ucraina, con tutti i problemi organizzativi e logistici che ne conseguono.
La risposta delle associazioni si è infatti strutturata giorno dopo giorno, insieme all’aggravarsi della crisi umanitaria, attraverso prassi consolidate dall’esperienza accumulata in altri contesti, per esempio nelle crisi ad Haiti, in Iraq, in Siria e in Yemen. Secondo diverse associazioni umanitarie, la crisi ucraina avrebbe però una sua specificità e sarebbe in continua evoluzione, con flussi di profughi mutevoli, anche a causa dell’imprevedibilità dell’offensiva militare russa. Nelle ultime settimane la risposta umanitaria si è quindi sviluppata per rimanere flessibile.
La flessibilità è un concetto citato anche da Chloe Mandelbaum, project manager della ong francese ACTED, che è una delle associazioni presenti in Moldavia insieme a Intersos, l’Alto commissariato per i rifugiati dell’ONU (UNHCR), l’UNICEF, la Croce rossa internazionale, People in need (PIN), l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (IOM) e altre ancora. ACTED è incaricata per esempio di organizzare i convogli di autobus che dalla stazione raccolgono i profughi e li portano verso la capitale moldava, Chișinău. Da lì molte persone proseguono il viaggio verso altri paesi, altre si stabiliscono nei centri di accoglienza.
Attualmente i profughi arrivati in Moldavia sono quasi 430mila, di cui circa il 70 per cento non si è fermato e si è diretto altrove.
«La cosa che giornalisti e altre organizzazioni ci chiedono più spesso è quanti altri profughi ci aspettiamo» dice Mandelbaum. «Ma noi non siamo in grado di fare previsioni. La maggior parte delle volte devo chiamare gli autobus con un preavviso di quindici minuti, ed è per questo che la capacità deve essere alta, abbiamo mezzi per trasportare fino a duemila persone in un giorno».
I profughi che arrivano alla stazione di Palanca dalla frontiera vicina trovano un punto ristoro che distribuisce pasti e bevande calde, container riscaldati dove possono riposarsi, beni di prima necessità come spazzolini e altro che possono aver lasciato indietro nella fretta di partire. Le organizzazioni distribuiscono anche una SIM con cui si può navigare e telefonare dalla Moldavia, oltre a giochi per bambini e bambine, che qui arrivano in gran quantità, di solito accompagnati dalle madri e dalle nonne.
«Visto che i profughi qui sono perlopiù persone vulnerabili vogliamo costruire un recinto intorno al piazzale, con un servizio di guardiania non armata» prosegue Mandelbaum. «Il nostro compito principale è proteggere queste persone, farle sentire al sicuro, quindi per prevenire qualsiasi eventualità meglio delimitare lo spazio».
Mettere restrizioni all’accesso serve anche a monitorare e gestire meglio gli aiuti che arrivano dall’esterno, talvolta incontrollati. Mandelbaum ricorda per esempio che un giorno si è presentato al piazzale un ragazzo partito da Parigi con la macchina per portare personalmente un carico di vestiti, che però non era né richiesto né necessario.
Anche su questo aspetto le associazioni umanitarie insistono molto. In una crisi è molto facile che certi aiuti arrivino in eccesso, o che altri in teoria necessari non arrivino affatto. Negli anni le associazioni umanitarie hanno sviluppato e perfezionato un sistema definito cluster, secondo cui una singola organizzazione guida e coordina le operazioni, e tutte le altre intorno ricevono istruzioni operando in uno specifico ambito e formando dei gruppi (cluster) in modo da non duplicare gli sforzi disperdendo risorse inutilmente.
Gli ambiti possono essere vari a seconda delle caratteristiche della crisi: dall’educazione alla costruzione dei campi profughi, passando per la logistica e le telecomunicazioni. Nella crisi ucraina è l’UNHCR a guidare le operazioni, poiché si tratta di una crisi principalmente di rifugiati.
Dal punto di vista logistico, le associazioni umanitarie incontrano due principali ostacoli in Ucraina: il primo ovviamente è raggiungere le aree occupate dall’esercito russo, che in queste settimane ha sistematicamente impedito l’accesso degli aiuti umanitari e la formazione di corridoi per i civili. «A Mariupol ci appoggiamo alla Croce rossa internazionale e all’ONU che tentano di negoziare un accesso alla città, purtroppo non riuscendoci» racconta Georgiana Cremene di People in need (PIN), ong che ha sede in Repubblica Ceca. «A Sumy invece siamo riusciti a entrare con due grossi convogli dell’ONU, ma ne servirebbero molti altri, la situazione è critica anche lì».
L’altro ostacolo, continua Cremene, è muoversi sui territori che sono stati a lungo occupati dai russi, e che ora sono disseminati di mine e ordigni inesplosi. «Ma gradualmente stiamo riuscendo ad aumentare il flusso di beni alimentari e kit igienici anche lì. In molte altre zone invece riusciamo ad arrivare con relativa facilità, consegniamo regolarmente nelle aree di Kharkiv, Zaporizhzhia e nelle regioni di Donetsk e Luhansk».
Finora gli aiuti di PIN sono arrivati via treno, con 12 convogli cargo provenienti dalla Repubblica Ceca. ACTED invece ha un centro logistico in Polonia, da cui distribuisce gli aiuti verso Leopoli e verso punti di raccolta e magazzini in varie città ucraine.
Ma il grosso degli sforzi economici non è impiegato nella fornitura di beni di prima necessità. Lo strumento principale su cui si sta investendo è l’assistenza finanziaria, attraverso un sistema messo a punto con i governi locali, sia in Ucraina che in Moldavia, per mettere a disposizione dei rifugiati una somma di denaro mensile. Per molti motivi questa viene ritenuta la misura più efficace e anche più dignitosa per gli stessi rifugiati, i quali possono decidere senza restrizioni come spendere i soldi che ricevono.
L’erogazione del denaro può avvenire in vari modi: in Moldavia ci si può registrare online o presso i centri di accoglienza, dopodiché si riceve una carta con cui si possono prelevare i soldi in tutti gli sportelli della banca nazionale (ma solo in Moldavia). In Ucraina invece la misura è rivolta ai profughi interni, che sono oltre 7 milioni di persone. Le associazioni umanitarie stanno lavorando insieme alle autorità locali per registrarle e fornire loro una somma mensile direttamente sui conti correnti.
«L’Ucraina è un paese molto digitalizzato e tecnologicamente avanzato» spiega Yorgos Kapranis, coordinatore degli aiuti umanitari per l’Unione Europea in Ucraina. «A parte le zone più colpite dal conflitto, per esempio Mariupol e Kharkiv, nella maggior parte del paese l’economia continua a girare, i bancomat funzionano. L’assistenza finanziaria è il modo più rapido e meno dispendioso dal punto di vista logistico per aiutare chi ne ha bisogno».
Kapranis si trova a Kiev in questo momento, e dice che la scorsa settimana i treni verso la città erano pieni di gente, c’era un’aria di ritorno alla normalità, per quanto possibile.
Sia il sistema di assistenza in Ucraina che quello in Moldavia sono finanziati dalle agenzie dell’ONU e dalla Commissione Europea, attraverso il ramo che si occupa degli aiuti umanitari (DG ECHO, acronimo che sta per Direzione generale per la protezione civile e le operazioni di aiuto umanitario europee). In totale l’Unione Europea ha stanziato 143 milioni di euro per fronteggiare la crisi ucraina, di cui 50 annunciati questa settimana: 45 destinati all’Ucraina e 5 alla Moldavia.
Sono soldi che servono a fornire assistenza medica, a portare approvvigionamento idrico dove non c’è, a dare sostegno alle donne che hanno subìto abusi e violenze. Ma soprattutto, servono a contribuire all’assistenza finanziaria per i profughi. Per quanto riguarda l’Ucraina, la somma messa a disposizione è di circa 70 euro mensili per persona (2200 grivnie ucraine), sia che siano bambini o adulti; in Moldavia i profughi ricevono invece circa 110 euro per persona (2200 lei moldavi).
Le due somme sono state concordate con i governi locali sulla base del costo della vita e dei servizi nei rispettivi paesi, in modo tale da non creare squilibri in particolare in Moldavia, che ospita un numero molto alto di rifugiati in rapporto alla popolazione.
Questo punto è ripetuto spesso dalle associazioni umanitarie. Quando ci sono crisi umanitarie capita che un primo slancio di solidarietà venga seguito da una fase di stanchezza, durante la quale possono nascere malumori nella popolazione locale. In Moldavia c’è stata una grande disponibilità da parte della comunità locale, la maggior parte dei rifugiati viene ospitata in case private. Ma le associazioni umanitarie temono che questa solidarietà possa mostrare fisiologici segni di cedimento sul lungo periodo, ed è per questo che anche chi ospita rifugiati per più di una settimana viene sostenuto con un aiuto finanziario, equivalente a circa 190 euro una tantum.
«Una caratteristica molto specifica di questa crisi è il suo legame diretto con lo sviluppo economico e sociale della comunità» dice Francesca Bonelli, responsabile dell’UNHCR per la Moldavia, mentre mostra come si è attrezzato uno dei centri di accoglienza più grandi di Chișinău, Moldexpo, uno spazio fieristico riconvertito. «Le famiglie moldave sono state incredibilmente solidali, hanno aperto le loro case. Però il contesto economico è difficoltoso, la Moldavia è un paese povero. I soldi che diamo alle persone che scappano dall’Ucraina sono anche un modo per sostenere l’economia locale, perché i rifugiati diventano clienti, vanno nei negozi del posto, spendono».
Anche Bonelli parla della risposta umanitaria in termini di flessibilità e velocità di adattamento. Racconta che si sta cercando di aumentare la capienza dei centri di accoglienza sparsi per la Moldavia, perché in caso di un attacco a Odessa ci si aspetta l’arrivo di circa 500mila profughi nel giro di poco più di una settimana. «Il piano è di trasportarli il più in fretta possibile, quindi stiamo intensificando gli autobus, ma la rete stradale del paese non è comunque adatta a permettere uno spostamento di così tante persone in poco tempo, non c’è un’autostrada. Quindi stiamo lavorando anche sull’ampliamento delle strutture di accoglienza».
Moldexpo è costituito da un padiglione dove i rifugiati possono registrarsi per ricevere la carta con i soldi da spendere, e un altro padiglione ancora più grande, un ex magazzino, in cui sono state ricavate decine di alloggi per chi vuole stabilirsi lì.
Tuttavia non sempre i centri di accoglienza moldavi sono ben attrezzati come quello di Moldexpo. A circa un’ora da Chișinău, nella piccola città di Anenii Noi, c’è un centro di accoglienza che prima era un asilo nido e poi ha ospitato uffici, composto da un paio di bassi caseggiati circondati da un giardino incolto. Da circa un mese la struttura ospita rifugiati ucraini: oggi sono circa 30, di cui 13 donne e 7 bambini, ma ci sono solo due docce e la struttura è in attesa di ricevere un frigorifero.
Quanto siano attrezzati i centri di accoglienza non dipende tanto dalla posizione, spiega Emily Beadle di ACTED, ma da altri fattori.
«Ci sono centri in aree rurali con standard molto migliori di alcuni nei centri urbani, e viceversa. Piuttosto, dipende dall’uso a cui era destinata la struttura prima di essere convertita». Beadle dice che comunque ciascun centro può fare richiesta al governo o direttamente alle associazioni umanitarie per ricevere assistenza o forniture di servizi che mancano, motivo per cui le ong vanno spesso a fare visita ai centri dove non sono fisicamente presenti, in modo da valutare eventuali necessità.
Il fatto che il centro di Anenii Noi sia più spartano rispetto ad altri ha portato alcuni rifugiati ucraini a fermarsi poco, non più di qualche giorno, per poi spostarsi in altre strutture. Ma anche sotto questo aspetto il comportamento delle persone non è prevedibile e varia moltissimo. Le prime rifugiate che ha ospitato il centro, per esempio, sono Olga e Lyudmyla, due donne settantenni provenienti da Odessa. Si trovano molto bene qui e lo preferiscono al centro di Moldexpo dove sono rimaste per un breve periodo: secondo loro è troppo dispersivo e soprattutto è più lontano dalla loro città.
A metà marzo le due donne sono scappate da Odessa insieme – sono amiche di lunga data – perché non ce la facevano più a convivere con il pensiero di poter essere attaccate da un momento all’altro, sentendo il rumore delle esplosioni. Vivevano vicino al mare e anche solo la vista delle navi russe all’orizzonte le impauriva. «Mi ricordo l’estate dello scorso anno che passeggiavamo sul lungomare, al sole» racconta Olga. «Ci dicemmo che la vita era bella e che eravamo fortunate a goderci la pensione in una città meravigliosa come la nostra. Ci manca moltissimo».