Il controverso parco delle statue sovietiche in Lituania
Lo creò un imprenditore recuperandole in tutto il paese, raccogliendole in un posto nostalgico, affascinante e molto criticato
di Eugenio Cau
Sulla carta il parco di Grutas, nel sud della Lituania, non è un luogo del tutto insolito per un paese che è stato sottoposto per decenni a una brutale dittatura. Conserva decine di statue del regime sovietico: enormi raffigurazioni di Lenin, Stalin, Karl Marx e dei leader dell’Unione Sovietica, che un tempo si trovavano nelle piazze delle città lituane e che dopo l’indipendenza del paese, nel 1991, furono abbattute o rimosse.
Luoghi che accolgono le statue delle dittature decadute si trovano in varie parti del mondo. Per rimanere in tema sovietico, un parco simile esiste in Ungheria, a Budapest. A Taiwan invece c’è un parco che ospita centinaia di statue di una sola persona, il dittatore Chiang Kai-shek, che tra il 1949 e il 1975 governò l’isola con estrema durezza. Il parco di Grutas, però, ha alcune caratteristiche che lo rendono unico.
Mentre solitamente posti di questo genere sono istituiti per iniziativa pubblica, il parco di Grutas è nato per volontà di un imprenditore privato, Viliumas Malinauskas, che negli anni Novanta divenne ricco grazie al commercio di funghi (in Lituania è ancora ricordato come “il re dei funghi”). Malinauskas impiegò fondi propri per comprare il terreno e si impegnò in prima persona per recuperare le statue dei leader sovietici, che negli anni Novanta erano state abbattute e si trovavano in gran parte in scantinati o in depositi locali.
Il parco di Grutas aprì nel 2001, e provocò subito grosse polemiche: la ragione principale è che Malinauskas, anziché creare un luogo di raccoglimento e memoria, costruì una specie di parco dei divertimenti a tema sovietico, tanto che è stato definito dai media come “Stalinland”, o “Leninland”.
L’attrazione principale di Grutas sono ovviamente le statue dei leader sovietici: sistemate lungo un percorso creato all’interno di un bosco, spesso appartate in piccole radure circondate da alberi, sono piuttosto maestose. Il personaggio di gran lunga più rappresentato è Lenin, seguito da Stalin. Ci sono anche varie figure più o meno celebri della mitologia comunista, come soldati e contadine, molti dirigenti del Partito comunista lituano e sporadici Karl Marx. Le statue, nel loro complesso, sono imponenti e la sistemazione nel bosco le rende impressionanti.
Lungo il percorso, alcuni edifici di legno accolgono una specie di pinacoteca sovietica, con i ritratti dei grandi leader, una biblioteca comunista con una sala conferenze e una raccolta di cimeli dell’occupazione della Lituania, tutto piuttosto polveroso.
In Occidente, il dibattito su cosa fare delle statue controverse è piuttosto recente. Cominciò negli Stati Uniti, quando in seguito all’espansione del movimento Black Lives Matter molti attivisti chiesero di rimuovere dalle città americane i monumenti dedicati a personaggi storici che durante la Guerra civile americana combatterono sul fronte sudista, cioè quello degli stati favorevoli allo schiavismo. La questione si allargò poi al Regno Unito e ad alcuni altri paesi europei, come il Belgio: in questi luoghi varie statue controverse, come quella dell’imperatore belga Leopoldo II, uno dei sovrani più brutali della storia moderna, sono state abbattute dagli attivisti. L’Italia è stata soltanto sfiorata da queste polemiche, le più rilevanti delle quali hanno riguardato la statua di Indro Montanelli a Milano.
Negli stati ex sovietici sono invece decenni che si discute di cosa fare delle statue che rappresentano un passato considerato oggi doloroso e da ripudiare. Il regime sovietico fu particolarmente attivo nella creazione di un’iconografia riconoscibile, nell’architettura quanto nelle arti figurative. Le statue in particolare furono una delle manifestazioni di maggiore successo di questa politica: i busti di Lenin si moltiplicarono in tutta l’Unione Sovietica e anche oltre, tanto che oggi ce ne sono dall’Antartide alle Svalbard, dagli Stati Uniti all’Emilia.
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Anche per questo, all’inizio degli anni Novanta una delle caratteristiche dei movimenti di liberazione nei paesi dell’Europa orientale fu l’iconoclastia: i popoli che si liberavano dall’oppressione sovietica abbatterono e distrussero le statue e altri simboli del vecchio regime, perché farlo significava rivendicare la propria libertà e indipendenza.
Relegare le statue superstiti in musei o altri luoghi appositi fu una soluzione adottata in molti paesi ex sovietici. Parchi come quello di Grutas esistono anche in Ungheria e Polonia, mentre in altri paesi dell’Europa dell’est alcune importanti statue furono ricollocate fuori dal centro delle città.
Molte decisioni furono contestate, e in alcuni casi lo spostamento creò polemiche e disordini: successe per esempio a Tallinn, la capitale dell’Estonia, dove nel 2007 il governo decise di spostare un famoso monumento sovietico ai caduti della Seconda guerra mondiale dal centro città a un più periferico cimitero militare. La decisione provocò enormi proteste soprattutto tra la minoranza russa della città: per due notti ci furono rivolte violente, e il governo estone subì perfino ritorsioni diplomatiche da parte della Russia.
In questo contesto complicato e pieno di contraddizioni, il parco di Grutas si colloca in maniera decisamente peculiare, appunto perché è stato pensato soltanto in parte come un luogo di memoria e commemorazione, ed è anche – forse soprattutto – un luogo di divertimento e svago.
Le attrattive del parco infatti non si limitano alle statue e ai cimeli comunisti: c’è anche uno zoo pieno di animali come canguri (compreso uno bianco, albino), orsi, struzzi, emù, pavoni, cammelli e una gran varietà di volatili. Gli animali non sono sempre tenuti in condizioni ideali: le gabbie sono piccole e non sembrano sempre adeguate. I pappagalli, per esempio, sono in una serra riscaldata con caloriferi elettrici.
Sul piazzale principale di Grutas c’è poi un parco giochi per bambini, anche questo a tema: le giostre e i giochi risalgono agli anni della dominazione sovietica e sono decrepite e semi arrugginite. Ma si possono ancora usare, e aggiungono un certo fascino alla struttura.
In alcuni casi, il tentativo di trasformare i cimeli sovietici in un’attrazione turistica finisce per rasentare la nostalgia, ed è questa la ragione principale per cui il parco di Grutas viene spesso criticato. Sul piazzale principale, vicino alle giostre, c’è un palco da cui vengono trasmesse a ripetizione musiche di epoca sovietica: in alta stagione, vi si tengono rappresentazioni a tema (il giorno dell’apertura del parco, nel 2001, era presente un imitatore di Lenin).
I negozi di souvenir vendono matrioske e piccoli busti di Lenin e Stalin; i bambini che lo desiderano possono farsi una foto dietro a un cartonato vestiti come “Pionieri” sovietici, cioè come membri di una delle associazioni giovanili del Partito comunista. E l’unico ristorante di tutto il parco propone un menù chiamato proprio “Nostalgia”, che offre quelli che presenta come piatti tipici dell’Unione Sovietica.
Nel corso degli anni, Malinauskas è stato accusato di aver voluto spettacolarizzare il passato comunista e, nel peggiore dei casi, di aver giocato volutamente con la nostalgia della dittatura.
La nostalgia, almeno esplicitamente, non è il messaggio che vuole dare l’organizzazione del parco: sul sito ufficiale, si legge che «l’obiettivo di questa esposizione è di dare al popolo lituano, ai visitatori del paese e alle generazioni future l’opportunità di vedere a nudo l’ideologia sovietica, che soppresse e danneggiò lo spirito della nostra nazione per molti decenni». Non è nemmeno l’impressione di alcuni dei visitatori, che a fine marzo sono ancora pochi: benché sia una bella giornata di sole, la temperatura è vicina a zero gradi, e c’è un forte vento freddo. «Non sentiamo nessuna nostalgia: siamo qui per vedere quello che ci raccontavano i nostri nonni e genitori», dice una giovane coppia davanti a un grosso ritratto dell’ex presidente sovietico Leonid Brezhnev.
Ma nonostante questo, le polemiche contro il parco sono state notevoli, soprattutto negli anni passati: al momento dell’apertura, tra le altre cose, un gruppo di ex prigionieri politici dell’era sovietica organizzò perfino uno sciopero della fame, in segno di protesta.
Lo spirito imprenditoriale di Malinauskas ha spesso peggiorato i problemi: a un certo punto, avrebbe voluto costruire nel parco un trenino per i visitatori simile a quello che portava i deportati nei gulag, ma il ministero della Cultura vietò il progetto. Nel corso degli anni, le polemiche si sono via via rinnovate, per ragioni diverse, anche se negli ultimi tempi il parco di Grutas, con le sue statue enormi e impressionanti, viene visto in maniera leggermente più benevola.