La procura di Istanbul vuole sciogliere il più importante movimento femminista turco
Agirebbe «contro la legge e la moralità», dicono i pubblici ministeri: accuse che le femministe hanno definito illegittime e intimidatorie
La procura di Istanbul ha chiesto lo scioglimento del più grande movimento femminista della Turchia accusandolo formalmente di «agire contro la legge e la moralità». I pubblici ministeri hanno sostenuto, per ora in modo piuttosto vago, che il gruppo avrebbe agito con l’obiettivo di «disintegrare la struttura familiare» con il «pretesto di difendere i diritti delle donne». Le femministe hanno invece parlato di guerra alle donne, di accuse illegittime e infondate, e di un attacco intimidatorio che rientra nella strategia politica di repressione del dissenso portata avanti dal presidente Recep Tayyip Erdoğan in vista delle presidenziali che si terranno nel 2023.
Il movimento femminista preso di mira dalla procura si chiama Kadin Cinayetlerini Durduracagiz Platformu (KCDP), “Piattaforma Noi Fermeremo il Femminicidio”, spesso citato fuori dalla Turchia come We Will Stop Femicide Platform (WWSF). Ha circa 750 membri attivi ed è nato nel 2010 in risposta al femminicidio di una studentessa di 17 anni.
Nel tempo si è strutturato su tutto il territorio con assemblee e gruppi di azione fornendo appoggio legale alle donne vittime di violenza domestica, prendendo parte attiva ai processi nei tribunali, organizzando manifestazioni (il loro colore distintivo è il viola) e raccogliendo i dati sui femminicidi del paese.
Il KCDP – che ha connessioni con i movimenti femministi di tutto il mondo – è stato protagonista, nel 2021 e già nel 2020, delle grandi proteste organizzate in Turchia contro la decisione di Erdoğan di ritirare il paese dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, nota come Convenzione di Istanbul, proprio perché fu ratificata nella città turca e perché la Turchia fu la prima a firmarla, quando Erdoğan era già presidente.
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Secondo Fidan Ataselim, di KCDP e che da tempo si oppone al regime autoritario di Erdoğan, dopo il ritiro dalla Turchia dalla Convenzione di Istanbul la società turca «ha reagito in modo molto forte». Per questo i pubblici ministeri ora starebbero cercando «di polarizzare la società stessa, di emarginare il nostro movimento, ma non saranno in grado di farlo, perché siamo un’organizzazione che trae forza dalla società». In una nota il movimento ha poi aggiunto che «questa denuncia non è un attacco solo alla nostra lotta, è un attacco all’intero sistema democratico» e «un attacco a tutte le donne della Turchia».
Diverse politiche dell’opposizione, alcune intellettuali turche e molti altri movimenti femministi fuori dal paese si sono schierati a loro volta a sostegno del KCDP.
Secondo alcune attiviste turche, l’azione della procura rientrerebbe nella strategia politica ed elettorale di Erdoğan per emarginare le attiviste e dividerle dalle donne più conservatrici, considerate solidali con il governo. Il prossimo anno si terranno le elezioni presidenziali e l’attuale presidente, già in difficoltà per la grave crisi economica del paese, vorrebbe ridurre la crescente opposizione alle sue politiche.
«In definitiva» ha detto Emma Sinclair-Webb, responsabile di Human Rights Watch Turchia, «questo è un atto di divisione inteso a mettere le donne l’una contro l’altra. Erdoğan sta contrapponendo donne ad altre donne nel tentativo di ottenere il sostegno delle donne religiose, pie e conservatrici. Sta cercando di trasformare la questione in una guerra culturale».
Il KCDP ha calcolato che lo scorso anno, nel paese, sono state uccise 280 donne, la maggior parte delle quali a casa propria, dai mariti: nel report si dice che il numero effettivo potrebbe però essere molto più alto, con almeno altri 217 casi non confermati dalle autorità.
Da gennaio a marzo 2022 le donne uccise sono state 72. Nel frattempo, lo scorso marzo, il partito del presidente Erdoğan ha inviato al parlamento un disegno di legge contro la violenza di genere, molto criticato dai movimenti femministi perché giudicato insufficiente e inefficace: tra le altre cose, non contiene nemmeno la definizione di che cosa sia la violenza contro le donne.