Alcune città vogliono una “gemella digitale”
Sembrano città da videogioco con una grafica peggiore, ma c'è chi pensa di usarle per pianificare l'urbanistica e risolvere i problemi di quelle reali
SimCity è una famosa serie di videogiochi – il cui primo capitolo uscì già nel 1989 – che permette di simulare crescita e gestione di città immaginarie i cui abitanti pagano tasse e hanno esigenze varie, le cui strade possono avere buche o problemi di traffico e i cui edifici necessitano anzitutto di acqua ed energia.
I digital twin, o gemelli digitali, sono minuziose e avanzatissime repliche di oggetti, corpi, strumenti, macchinari o sistemi industriali: servono a ricreare virtualmente un corpo umano per capire che taglia di maglietta è più giusta per il corpo reale di cui è copia, oppure ad analizzare, testare e migliorare interi processi produttivi.
Le digital twin cities – le città digitali gemelle, di cui si parla da qualche anno e delle quali esistono già decine di ambiziose seppur ancora parzialissime applicazioni – sono, in essenza, versioni parecchio più grandi e complesse dei digital twin e, nell’aspetto, qualcosa di molto simile alle città di SimCity o ai modelli virtuali e tridimensionali di certi film o serie di fantascienza, in cui anziché guardare una mappa, un plastico o uno schermo, qualcuno osserva futuristiche e interattive rappresentazioni tridimensionali.
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Le digital twin (quando se ne parla al femminile si tende a dare per scontato che si parli di città) sono viste da chi crede in loro, e ovviamente da chi propone software e sistemi per la loro creazione, come una grande opportunità per unire tutta una serie di concetti e parole chiave della tecnologia degli ultimi anni e ottenere repliche quasi perfette di tutto ciò che succede in una città, o di quello che potrebbe succederci se si cambiasse qualche suo aspetto.
Nelle più rosee – e per qualcuno utopistiche – aspettative, le gemelle digitali potranno sfruttare intelligenze artificiali e internet delle cose per ricevere, ricreare e se necessario rielaborare in tempo reale informazioni di ogni genere sulle città reali di cui sono una simulazione, presentando tutte le informazioni possibili in un unico contesto tridimensionale. «Questa nuova tecnologia» ha scritto City Lab, sezione di Bloomberg dedicata all’urbanistica presente e futura, «potrebbe cambiare il modo in cui si progettano le città».
Nella realtà dei fatti, c’è però ancora moltissima strada da fare. Perché le città sono ingarbugliati e complicatissimi sistemi di cose, e perché la condizione imprescindibile perché una digital twin possa funzionare davvero è che i dati che la compongono siano tantissimi, precisissimi e aggiornatissimi. Su tutto: dal meteo al traffico, dalla qualità dell’aria all’orario in cui finiscono le lezioni in ogni scuola, da quali zone sono illuminate in ogni momento a quanto un certo evento sportivo congestiona certe aree o influenza, a seconda del risultato, gli spostamenti di chi era andato a vederlo.
In teoria una città gemella fatta come si deve dovrebbe permettere di capire come, cambiando i tempi di certi semafori o facendo qualche modifica alla viabilità, si potrebbe decongestionare una strada trafficata; ma anche come e quanto la costruzione di un nuovo palazzo di quindici piani cambierebbe il giro del vento o il battere del sole su un certo quartiere.
Nella pratica, ancor più che l’integrazione tra l’immensità di dati necessari, il problema resta sempre lo stesso: raccoglierli, attraverso sensori e dispositivi di ogni tipo, e fidarsi del fatto che siano tutti giusti. Senza sapere quanta acqua può entrare, ed entra, in un dato momento in un tombino, e quanto sta piovendo, ha piovuto e potrebbe piovere, difficilmente si può sapere se e quando la strada in cui si trova quel tombino si allagherà. Le simulazioni sono, al massimo, tanto buone quanto i dati che hanno, di più non possono fare.
È il motivo per cui, come ha notato City Lab, «molti usi possibili delle città gemelle sono per ora solo una speranza», non qualcosa di concreto.
Al momento, inoltre, non sembra essersi affermato un unico e principale software, programma o sistema per permettere alle città di farsi una gemella digitale. Come ha scritto City Lab, Orlando, in Florida, sta lavorando a un progetto del genere con la società di videogiochi Unity e punta a ricreare la sua gemella digitale in una grande stanza circolare con al centro un’immagine olografica. Progetti simili, ognuno a un diverso grado di avanzamento e con differenti ambizioni, ci sono anche a Phoenix, Las Vegas, Los Angeles e New York. Ma anche in città meno note (per esempio Chattanooga, in Tennessee) o più vicine all’Italia, come Rotterdam, Helsinki, Rennes e Zurigo. C’è anche, come raccontato da un recente articolo di un sito dedicato alla geomatica, un progetto per gemellare digitalmente l’intera Germania.
Il progetto più ambizioso, avanzato e raccontato è però quello di Singapore, una città stato di oltre cinque milioni di abitanti, che vivono su una superficie di circa 800 chilometri quadrati. Come ha scritto City Lab, la città ha già realizzato un modello fatto partendo da oltre 160mila immagini aeree, cui ha unito miliardi di dati che occupano più di 100 terabytes. Victor Khoo, che se ne occupa per conto dell’agenzia topografica del paese, ha parlato della replica digitale di Singapore come di qualcosa che è già ora «smart, accurato, affidabile e coerente».
Già ora il modello, che può distinguere tra strade e marciapiedi, e che nei diversi edifici distingue per esempio facciate e finestre, è usato, ha detto Khoo, per capire l’impatto su vari livelli di ogni nuovo ipotetico edificio. Per il futuro, l’obiettivo è di usarlo per ricostruire cause di incidenti, o anche di sfruttare la sua mappatura – che deve essere costantemente aggiornata per non diventare irrilevante – per ipotizzare eventuali percorso per le auto a guida autonoma.
Per la sua gemella digitale, Singapore usa 3DEXPERIENCE, una piattaforma dell’azienda francese Dassault Systèmes, che è quotata in borsa e si occupa di progettazione e simulazione tridimensionale: fa insomma anche molto altro. È invece molto più concentrata sulle città la statunitense Cityzenith, che alle amministrazioni cittadine offre l’apposito SmartWorldOS, il suo «sistema operativo urbano».
Oltre ai problemi di ottenimento e gestione dei dati – «servono ecosistemi tecnologici adeguati», ha detto Khoo, «e per farlo nel tempo, in modo sostenibile» – e ai dubbi sulla loro praticità e convenienza, le città gemelle digitali presentano anche problemi di altro tipo. A proposito delle aziende, per esempio, quanto è giusto o conveniente che paesi o città offrano ad aziende private la possibilità di maneggiare tutti quei dati? C’è la possibilità che, avendo repliche digitali, le città possano diventare più vulnerabili?
Tra chi vede possibili integrazioni e parziali sovrapposizioni tra città digitali e metaverso, e chi vede nelle città gemelle digitali solo un’altra irrealistica promessa tecnologica, c’è comunque anche chi pensa che potrebbero più realisticamente servire a gestire singoli problemi in singole aree, o magari a creare versioni quanto più realistiche possibili delle città reali, col fine di mostrare o spiegare ai cittadini gli effetti di certe scelte. Ma anche qui – sebbene dai tempi del SimCity del 1989 i miglioramenti siano stati notevolissimi – la strada sembra essere ancora lunga.
Come ha detto a City Lab Ray Gastil, direttore del Remaking Cities Institute: «la mole di dati che serve a ricreare una visualizzazione realistica, nella quale le persone si possano davvero identificare, è straordinariamente alta», e dovrebbe essere quantomeno al livello di quella – costosissima – ottenuta nei migliori film e videogiochi.
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