Nelle scuole italiane arriveranno sempre più studenti ucraini
Per ora sono 15mila, ma nei prossimi mesi le iscrizioni saliranno: servono finanziamenti, mediatori linguistici e sostegno psicologico
Dei quasi 90mila profughi arrivati in Italia da quando è iniziata la guerra in Ucraina, più di 33mila sono minori di 18 anni a cui la legge italiana garantisce il diritto all’istruzione. Il 4 marzo il governo aveva stanziato un milione di euro per le scuole che li avrebbero accolti, ma da allora oltre 15mila bambini e ragazzi ucraini hanno iniziato ad andare a scuola in Italia e quei soldi potrebbero già essere troppo pochi per gestire tutti gli inserimenti, che a settembre potrebbero superare i 40mila.
In vista dell’estate e delle iscrizioni previste nei prossimi mesi, alle scuole serviranno soprattutto materiali didattici adeguati e professionisti che si occupino di supporto psicologico e mediazione linguistica, allo scopo delicato di dare stabilità e continuità a una situazione che non si sa quanto durerà. Uno dei problemi più grossi da affrontare infatti riguarda l’incertezza della guerra, che più passa il tempo più sembra potersi trasformare in un conflitto che potrebbe durare mesi, forse anni.
Angelica Villa, che nelle ultime settimane si è occupata dell’accoglienza di profughi ucraini nelle famiglie italiane per l’associazione Refugees Welcome, ha detto che «l’iscrizione a scuola è un tema molto importante da un punto di vista emotivo e può essere vissuta in modo diverso a seconda delle persone: per alcune famiglie ha un valore molto positivo perché stimola i bambini a incontrarsi con i coetanei, per altri è soprattutto un segno del fatto che la permanenza in Italia sarà più lunga di quello che avrebbero voluto».
A fine marzo i bambini ucraini iscritti a scuola in Italia erano 8.500: negli ultimi dieci giorni sono diventati 15mila. Sono comunque solo una parte degli oltre 30mila arrivati dall’inizio della guerra. Alcuni bambini non sono stati inseriti a scuola perché le famiglie vivono in situazioni precarie, oppure perché sono ancora in una fase burocratica di passaggio (per esempio perché devono far fare le vaccinazioni obbligatorie ai figli).
«Le famiglie impiegano solitamente un paio di settimane prima di occuparsi delle iscrizioni a scuola» ha spiegato Villa, «quelle che sono state accolte 3 o 4 settimane fa hanno in larga parte inserito i minori a scuola, quelle arrivate dopo lo stanno facendo ora». Trattandosi di un’emergenza umanitaria, le istituzioni scolastiche hanno abbreviato i tempi solitamente necessari per l’iscrizione: per le elementari ora bastano 2 o 4 giorni dalla presentazione della richiesta. Per le medie e le superiori invece la procedura è un po’ più lunga perché sono richiesti documenti che attestino il grado di scolarità pregresso.
Inoltre, una buona fetta non si è ancora iscritta perché preferisce continuare a fare didattica a distanza. Fin dai primi giorni di guerra, infatti, molti insegnanti ucraini hanno preso l’iniziativa di continuare a tenere lezioni online per gli studenti sparpagliati per l’Europa. È il caso soprattutto degli studenti più grandi, delle medie o delle superiori, che preferiscono continuare col proprio programma scolastico anziché iniziare da zero con una lingua nuova. «Il lato negativo della didattica a distanza è che si combina con la tendenza di alcuni ragazzini a stare chiusi in casa tutto il giorno davanti a uno schermo», ha commentato Villa, «è vero che permette la continuità didattica, ma rischia di alimentare la chiusura e la difficoltà a creare contatti con gli altri».
Per i più piccoli, le scuole stanno attrezzando spazi di laboratorio e di gioco dove la conoscenza della lingua italiana non sia un vincolo. «Abbiamo riflettuto molto sulle attività da proporre», ha raccontato Fabio Rocco, insegnante della scuola elementare Giovanni XXIII di Padova. «Ci stiamo concentrando sui laboratori creativi, manuali e digitali, che usano linguaggi universali, e stiamo proponendo un uso intensivo della lingua inglese, che è un buon modo per capirsi ma anche per incentivare un’abilità che sarebbe importante a prescindere dall’emergenza».
Rocco è il referente scolastico di un progetto promosso dalla fondazione Mission Bambini, che da vent’anni si occupa di promuovere attività per l’infanzia in difficoltà in varie zone del territorio nazionale. A Padova, la collaborazione tra l’associazione e la scuola era già attiva prima dell’emergenza, ma è stata rapidamente convertita a spazio di accoglienza con psicologi e mediatori linguistici, ed estesa ad altre 6 scuole della città per un totale di 30 bambini che potrebbero presto diventare di più.
«In carenza di mediatori di lingua ucraina abbiamo avuto l’idea di chiedere agli studenti universitari ucraini o bilingue di mettersi a disposizione», ha continuato Rocco. «L’Università di Padova è frequentata da persone di tutto il mondo e sono stati 40 quelli che hanno dato la propria disponibilità. Ma possiamo fare affidamento sul volontariato solo fino a un certo punto: il tema delle risorse a disposizione si porrà necessariamente a settembre, se non prima».
Milano è una delle città che nelle ultime settimane hanno accolto più profughi, insieme a Bologna, Napoli e Roma: i minori iscritti a scuola venerdì scorso erano 1150. Nell’Istituto comprensivo Rinnovata Pizzigoni di Milano, che comprende due scuole elementari e una media, gli studenti ucraini appena arrivati sono 4. La preside, Anna Ferri, ha raccontato che, oltre agli ultimi arrivati, in questa situazione la scuola deve occuparsi anche dei bambini che vivono in Italia da un po’ ma hanno origini e affetti in Ucraina, così come in Russia, e favorire nelle classi un dialogo costruttivo sulla guerra. Alcuni studenti delle medie che hanno origini ucraine e parlano la lingua hanno proposto di organizzare attività per coinvolgere i più piccoli appena arrivati.
Per molte scuole i bambini ucraini non sono i primi alunni con una storia di migrazione e difficoltà nella lingua, ma Ferri ha spiegato che «qui l’attenzione maggiore deve essere quella di costruire un contenitore emotivo, perché hanno vissuto un’esperienza non facile». Alla Rinnovata Pizzigoni, insieme all’associazione Terre des Hommes, è stato creato uno spazio interno alla scuola per far parlare ai bambini la loro lingua madre: «bisogna considerare che non sono venuti in Italia per restare e che il loro obiettivo non è imparare l’italiano. Cerchiamo di fare in modo di dedicare una parte della settimana ad attività solo per loro, poi il resto lo passano con gli altri bambini».
Anche Rocco ha confermato che «la volontà degli alunni di tornare in Ucraina è molto forte e man mano che cresce l’età la tendenza aumenta e la volontà di imparare l’italiano diminuisce: alle medie non riescono a seguire le lezioni e pensano molto al rientro, gli alunni delle superiori dicono che vogliono tornare e alcuni ci hanno fatto capire che si sentono chiamati a combattere».
I minori ucraini inseriti fin qui nelle scuole italiane sono soprattutto quelli della “prima ondata” e fanno parte di famiglie generalmente benestanti che hanno avuto l’opportunità di lasciare subito l’Ucraina, magari perché avevano parenti o conoscenti in Italia pronti ad accoglierli. «Per ora non ho casi di immigrazione più recente, che sono quelli che hanno subito maggiormente gli effetti della guerra», racconta Ferri, «ma sappiamo che i bambini che arriveranno nelle prossime settimane potrebbero avere traumi più profondi».
Anche Villa conferma che gli inserimenti che andranno fatti da qui in avanti saranno più difficili perché «ora la situazione emotiva è molto peggiorata».
Per ora bambini e ragazzi sono arrivati nelle scuole uno alla volta e delle famiglie arrivate da poco alcune potrebbero decidere di aspettare il nuovo anno scolastico per iscrivere i figli a scuola. La previsione, quindi, è che dopo la pausa estiva, a settembre, i nuovi studenti ucraini saranno molti di più e andranno accolti in modo più strutturato. Una soluzione potrebbe essere quella di raggrupparli in “classi ponte”, cioè delle classi di passaggio che permettano agli alunni di stare insieme per un breve periodo, per avvicinarli alla lingua e fornire supporto psicologico, prima di inserirli nelle classi con tutti gli altri.
Il ministero dell’Istruzione sta lavorando al cosiddetto “Piano Estate” che era già stato proposto nel 2021, dopo un anno di pandemia e didattica a distanza, per dare continuità alla socialità e alle attività scolastiche anche durante l’estate e che probabilmente quest’anno terrà conto anche degli effetti dell’emergenza in Ucraina. In più ha fatto sapere di avere a disposizione 50 milioni di euro di fondi europei che verranno investiti, tra le altre cose, negli interventi per favorire l’inserimento scolastico dei giovani profughi ucraini.