La “politicizzazione” degli influencer russi
Con l'inizio della guerra in Ucraina e il rafforzamento della censura alcuni se ne sono andati, ma molti altri si sono trasferiti sulle piattaforme approvate dal governo russo
Nelle ultime settimane, per controllare l’informazione sulla guerra in Ucraina, il governo russo ha rafforzato la censura sui siti di news che non si adeguavano alla versione governativa dei fatti e ha bloccato l’accesso a diversi social network. Le misure non hanno solo costretto diversi giornali russi a chiudere, su ordine dell’agenzia statale delle comunicazioni Roskomnadzor o in applicazione di una legge recente che definisce “fake news” tutto ciò che non è approvato dal governo; hanno anche costretto molti blogger e influencer russi, che con i social e le piattaforme online lavoravano e guadagnavano, a riorganizzarsi per non perdere i propri follower e limitare i danni economici.
Alcuni hanno deciso di lasciare il paese e puntare su un pubblico internazionale, iniziando a creare contenuti in inglese. Tantissimi altri stanno migrando in massa verso le piattaforme alternative approvate dal governo, che ha tutto l’interesse a controllare la circolazione dei contenuti online e a usare gli influencer come strumento di propaganda.
I blocchi imposti dal governo russo sui social network più usati e diffusi si sono concretizzati soprattutto a marzo. All’inizio del mese Roskomnadzor aveva bloccato prima Facebook e Twitter, e poi anche Instagram, in parte rispondendo alle misure introdotte dalle piattaforme per limitare la disinformazione russa sulla guerra in Ucraina. Il 21 marzo un tribunale russo aveva poi dichiarato Meta, l’azienda statunitense che controlla Instagram e Facebook, illegale in quanto colpevole di «attività estremiste».
Si erano aggiunte altre restrizioni imposte dalle piattaforme nei confronti degli utenti russi: sempre a marzo, per esempio, YouTube aveva sospeso i propri programmi di monetizzazione per moltissimi utenti russi, cioè la possibilità di guadagnare coi propri contenuti.
Tra gli influencer e i creatori di contenuti che di fronte a queste misure hanno deciso di andarsene, ha raccontato il magazine Nieman Lab, c’è Greg Mustreader, un blogger russo che fino a prima che iniziasse la guerra usava i suoi canali (YouTube, Twitter, Instagram) soprattutto per trattare temi culturali di vario tipo. Con l’inizio della guerra, Mustreader aveva però iniziato a criticare il governo per le sue azioni in Ucraina. A un certo punto aveva deciso di andarsene, per il timore di incorrere nelle sanzioni del governo, e si era rifugiato a Istanbul, in Turchia, dove ha iniziato a produrre contenuti in inglese anche su TikTok, raggiungendo presto i 100mila follower.
Molti altri influencer, blogger e creatori di contenuti hanno scelto però di restare in Russia e di trasferirsi sulle piattaforme approvate dal governo russo.
Le più usate sono VKontakte (VK), che è praticamente la versione russa di Facebook, RuTube, quella di YouTube, o Yandex Zen, una specie di aggregatore di notizie simile a Flipboard che, diversamente da Flipboard, consente anche di postare contenuti. Molti continuano anche a usare Telegram, che il governo russo non ha ancora bloccato. Da poco esiste inoltre Rossgram, una specie di copia russa di Instagram.
I dati sembrano confermare l’esistenza di quella che Nieman Lab ha definito una «migrazione di massa» verso le piattaforme approvate dal governo russo. Secondo un sondaggio svolto dall’azienda di comunicazioni indipendente russa Twiga, a metà marzo su circa 500 blogger e creatori di contenuti online russi, il 69 per cento aveva detto di avere intenzione di trasferire follower e contenuti sulle piattaforme approvate dal governo, nonostante qualche rischio: per esempio la perdita di parte del proprio pubblico, l’uso di piattaforme meno avanzate di quelle occidentali e la mancanza di programmi di monetizzazione.
Una delle conseguenze di questo processo è che diversi influencer russi si sono progressivamente “politicizzati” allineandosi con la propaganda del governo. Alcune inchieste giornalistiche hanno inoltre mostrato come molti di loro siano stati pagati per sostenere la versione russa dei fatti sulla guerra in Ucraina.
La diffusione di messaggi filogovernativi da parte degli influencer russi, comunque, sembra continuare anche sui canali tradizionali: in questi giorni diversi giornali hanno ripreso la serie di video in cui alcune note influencer facevano a pezzi in diretta alcune borse di Chanel sul proprio canale Instagram, probabilmente aggirando il blocco del social con l’uso di una rete privata (VPN), per protestare contro la sospensione delle vendite di prodotti Chanel in Russia. Le influencer, in particolare, protestavano contro la scelta di alcuni punti vendita Chanel di non vendere i propri prodotti a persone che avevano intenzione di portarli in Russia.
A iniziare la serie di video era stata la presentatrice televisiva russa Marina Ermoshkina in un video in cui accusava Chanel di «discriminazione» e «russofobia».
Visualizza questo post su Instagram
– Leggi anche: Si può escludere la Russia da Internet?