Disneyland Paris ha trent’anni
Il parco a tema, che allora ancora si chiamava Euro Disney, fu presentato con una cerimonia trasmessa in prima serata su Rai Uno, ma i primi mesi furono parecchio problematici
Trent’anni fa, domenica 12 aprile 1992, a circa trenta chilometri da Parigi, fu inaugurato Euro Disney, il primo parco a tema aperto in Europa dalla Disney. Arrivò dopo il grande successo nei cinema di La bella e la bestia, alcuni mesi prima dell’uscita di Aladdin e un paio d’anni prima del Re leone e di Toy Story. L’obiettivo era di replicare i successi che Disney aveva avuto prima con Disneyland, inaugurato – da Walt Disney in persona – nel 1955 in California e poi con altri parchi in Florida e Giappone.
È stato senz’altro raggiunto, visto che Euro Disney, nel frattempo rinominato Disneyland Paris, ha avuto quasi 400 milioni di visitatori e, prima della pandemia, ne aveva ogni anno più della reggia di Versailles, della Tour Eiffel e del Louvre. Ma non è stato facile: l’apertura, così come era stato per Disneyland, fu parecchio problematica. E i primi mesi furono non poco turbolenti: perché parte dell’opinione pubblica francese non vedeva di buon occhio il parco e quel che significava, ma anche perché, più semplicemente, il parco ebbe meno visitatori del previsto, e quindi conti in rosso. Nei primi anni Novanta ci fu chi ne ipotizzò perfino l’imminente e clamorosa chiusura.
La Disney iniziò a pensare a un parco a tema europeo già negli anni Settanta. Il primo problema fu decidere dove, in Europa. Furono prese in considerazione centinaia di possibili sedi, alcune delle quali anche in Italia, che, così come Spagna e Portogallo, garantiva un clima più mite, simile a quello dei parchi Disney in Florida e California, rispetto ad altre sedi dell’Europa centro-occidentale. Il Regno Unito, freddo e uggioso, aveva l’evidente vantaggio dell’inglese.
Nonostante il clima non propriamente mite e l’ostacolo della lingua si scelse una sede vicino a Parigi ritenendola un luogo comodo per essere raggiunto, in un paio d’ore di volo, da almeno 300 milioni di persone. Non furono certo di ostacolo una serie di incentivi offerti da parte del governo francese guidato da François Mitterrand, che tra le altre cose si impegnò a realizzare le infrastrutture necessarie a raggiungere il parco.
L’accordo tra la Disney e il governo francese fu firmato nel 1987, e poco dopo iniziarono i lavori, che si stima costarono qualcosa come 20 miliardi di franchi, pari a circa tre miliardi di euro. A gestire il tutto fu la nuova società per azioni Euro Disneyland, controllata per metà dalla Walt Disney Company e per l’altra metà da investitori privati.
Durante i lavori filò tutto in maniera abbastanza liscia, e il 12 aprile 1992 il parco era pronto, con le sue 29 attrazioni divise tra cinque diverse aree tematiche (Main Street U.S.A., Frontierland, Adventureland, Fantasyland e Discoveryland) e con quasi seimila stanze divise in sette alberghi, ognuno progettato per richiamare una specifica parte degli Stati Uniti. L’area, grande più di mille ettari, ospitava anche decine di negozi e una trentina di ristoranti.
Come notò al tempo il giornale francese Les Échos, per adattare il parco al contesto europeo furono apportati alcuni piccoli cambiamenti: «I riferimenti al vecchio mondo delle favole sono più marcati, le decorazioni di Discoveryland richiamano i romanzi di Jules Verne, le proposte della ristorazione sono più varie». Les Échos notò anche come, visto il clima e in virtù del fatto che il parco doveva restare aperto tutto l’anno, molte attrazioni e sezioni del parco erano al coperto. Un biglietto costava 225 franchi per un adulto (circa 50mila lire) e 150 per i bambini tra i tre e gli undici anni.
Per evitare problemi, già prima, a marzo, il parco era parzialmente stato aperto ai dipendenti e alle loro famiglie per una sorta di prova generale. E per evitare troppe cose tutte insieme, l’11 aprile fu organizzata una sorta di anteprima stampa del parco, seguita da dirette televisive serali in ogni parte del mondo: in l’Italia, la diretta andò in onda dalle 20.40 su Rai Uno, presentata da Milly Carlucci e Fabrizio Frizzi.
Queste piccole precauzioni erano frutto dell’esperienza: Disneyland, il parco divertimenti aperto nel luglio 1955 ad Anaheim, in California (di fatto il primo parco tematico di sempre, che a parchi meccanici fatti di giostre, chioschi e attrazioni aggiungeva la volontà di creare un mondo a parte) era infatti partito malissimo. In un giorno che divenne presto noto come “Black Sunday”, la domenica nera della storia Disney, ci furono problemi di vario genere, perché Walt Disney aveva accelerato i tempi dei lavori di completamento del parco, che avrebbero in realtà richiesto più mesi: la vernice di molti edifici era ancora troppo fresca, non tutte le attrazioni erano pronte, in una saltò la corrente, una barca-attrazione si allagò, i chioschi e i ristoranti finirono anzitempo cibo e bevande e gli ospiti assetati e accaldati non trovarono nemmeno una fontanella d’acqua potabile.
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Nonostante le precauzioni dettate dall’esperienza, anche il parco parigino, che allora ancora si chiamava Euro Disney Resort, partì piuttosto male. Quel 12 aprile 1992 fu infatti un giorno ventoso e particolarmente freddo, segnato tra l’altro da uno sciopero ferroviario che complicò l’arrivo al parco dei primi visitatori paganti. A differenza di Anaheim, la vernice non era fresca e le attrazioni funzionarono tutte, anche a Parigi ci fu però un problema di corrente che tolse elettricità agli alberghi della struttura e ci furono visitatori che si lamentarono di certe macchinosità del parco, oltre che dall’assenza – dettata da una scelta della Disney – di ogni tipo di alcolico dai bar e dai ristoranti.
A parte i semplici problemi da debutto, Euro Disney dovette fare i conti con alcuni articoli che raccontarono come molti suoi dipendenti fossero delusi dalle pessime condizioni di lavoro cui erano sottoposti, con l’essere diventato l’obiettivo simbolico scelto da alcuni agricoltori in protesta e il bersaglio di alcuni intellettuali che vedevano nel parco un esempio di imperialismo culturale statunitense, un caso di deprecabile americanizzazione della Francia. Ci fu addirittura chi parlò, in relazione alla sua apertura, di «Chernobyl culturale».
Il problema principale, tuttavia, era molto più semplice: nei primi mesi i visitatori furono meno del previsto, e meno di un terzo di loro era francese. In particolare, fu ritenuto preoccupante il fatto che – sebbene fossero stranieri – molti visitatori sceglievano di andare a Euro Disney in giornata, pernottando altrove e quindi lasciando spesso libere gran parte delle migliaia di stanze costruite da quelle parti. Più in generale, il parco perdeva tantissimo soldi, mese dopo mese. A inizio 1993 Michael Eisner, presidente e amministratore delegato della Disney, parlò della possibilità che il parco potesse chiudere.
Tra il 1993 e il 1994 la Disney cambiò alcune cose, piccole e grandi: decise per esempio di mettere gli alcolici nei ristoranti («è per andare incontro ai nostri ospiti non francesi» disse un portavoce del parco, argomentando poi: «tedeschi e inglesi volevano bere vino come parte dell’esperienza francese»). Un’altra decisione, funzionale a un cambio di passo nel racconto e nella promozione del parco, fu di cambiare il suo nome in Disneyland Paris, ritenuto più romantico e sognante rispetto al più freddo Euro Disney, tra l’altro in un periodo storico in cui la parola “euro” faceva pensare ai mercati, e alla finanza, più che a un parco tematico con personaggi Disney e montagne russe.
Fu senz’altro rilevante anche la tenacia con cui – nonostante i conti in perdita e la svalutazione della società per azioni che controllava il parco – Disney continuò a investire nel parco e puntare sulla sua crescita: per esempio inaugurando nel 1995 l’attrazione Space Mountain: de la Terre à la Lune, costata circa 100 milioni di dollari e inaugurata alla presenza di Elton John, Claudia Schiffer e Buzz Aldrin.
Nell’estate di quell’anno ci fu il primo trimestre chiuso in positivo, e il 1995 fu il primo anno in cui il parco superò i 10 milioni di visitatori annuali (che nel 1994 erano stati 8,8 milioni). Contestualmente, anche gli alberghi iniziavano a riempirsi sempre più.
Nei suoi trent’anni, Disneyland Paris si è affermato come il parco a tema più visitato d’Europa e ha aggiunto attrazioni, strutture e un intero nuovo parco: a quello storico, chiamato ora Disneyland Park, dal 2002 si è infatti aggiunto Walt Disney Studios Park. In questi trent’anni Disneyland Paris ha visto prima soffrire e poi crescere la Disney, ha subìto le conseguenze della crisi economica del 2008, ha dovuto fare i conti con la paura conseguente agli attentati terroristici e, dal 2020, con la pandemia.
Il duecentomilionesimo visitatore arrivò al parco nell’estate del 2008 e l’anno che fin qui ha avuto più visitatori è stato il 2012, quando furono poco più di 16 milioni. Nel frattempo, la Disney si è comprata quasi la totalità della società che lo gestisce, e che, dopo un paio di decenni parecchio altalenanti e perlopiù deludenti, non è più quotata in borsa. Tra il 2020 e il 2021, così come ogni altro parco a tema e quasi ogni altra attività nel mondo, anche Disneyland Paris ha chiuso più volte, e nel 2020 ha avuto solo quattro milioni di visitatori, oltre il 70 per cento in meno rispetto al 2019.
Nell’estate 2021, quando il parco riaprì, Jean-Baptiste Lemoyne, ministro francese con delega al Turismo lo definì un «colosso economico» e disse che da quando era stato inaugurato aveva generato per la Francia un valore pari a circa 70 miliardi di euro. Oltre ai turisti, e senza contare tutto l’indotto per l’area in cui si trova, il parco dà lavoro a circa 17mila persone, alcune centinaia delle quali sono ancora lì dal 12 aprile 1992. Per il futuro, Disneyland Paris ha progetti per una grande espansione che prevede l’aggiunta di aree e attrazioni dedicate alla Marvel (già quest’anno arriverà un nuovo “Avengers Campus”) e, più avanti, al mondo di Frozen e alla galassia di Star Wars.