Come farà l’Europa senza il carbone russo
Il blocco delle importazioni è la misura più importante contenuta nelle ultime sanzioni europee alla Russia: sostituirlo sarà piuttosto semplice, ma con dei costi
Giovedì sera i governi nazionali dell’Unione Europea hanno trovato un accordo per imporre nuove sanzioni alla Russia per via dell’invasione dell’Ucraina. Il punto principale del nuovo pacchetto di sanzioni, il quinto dall’inizio della guerra, riguarda il carbone: i paesi europei hanno deciso infatti di sospendere le importazioni di carbone dalla Russia entro quattro mesi.
Diversi osservatori l’hanno giudicata una misura importante dal punto di vista simbolico – è la prima volta che le sanzioni europee toccano il settore energetico, cioè il più rilevante nei rapporti commerciali con la Russia – ma anche la più semplice da attuare in tempi brevi, rispetto per esempio a una sospensione delle forniture di gas naturale e petrolio.
La Russia è di gran lunga il più grande fornitore di carbone per i paesi dell’Unione Europea: nel 2020 il 53 per cento del carbone importato nel territorio dell’Unione proveniva dalla Russia. La Commissione Europea stima che in totale i paesi europei versino alla Russia ogni anno circa 4 miliardi di euro per acquistare carbone. Sono numeri importanti, ma va considerato che il carbone è uno dei combustibili fossili più inquinanti in circolazione, e che da anni l’Unione Europea sta riducendo i suoi consumi.
Secondo una stima del rispettato centro studi Bruegel, il consumo di carbone nell’Unione Europea è passato dai quasi 400 milioni di tonnellate all’anno nel 1990 ai 136 del 2020. Nel 2019 il carbone rappresentava il 12,7 per cento delle fonti di produzione di energia nell’Unione Europea.
La situazione varia comunque molto da paese a paese. Uno dei più dipendenti dal carbone russo è la Germania: secondo stime del governo tedesco citate dal New York Times, circa metà del carbone importato nel territorio tedesco proviene dalla Russia, per un giro di affari da 2,2 miliardi di euro all’anno. Altri paesi come Polonia, Italia, Paesi Bassi e Finlandia dipendono quasi soltanto dalla Russia per le forniture di carbone termico, quello che viene bruciato per produrre energia nelle centrali elettriche.
Alcuni paesi si stavano attrezzando da settimane per fare fronte a eventuali sospensioni delle forniture russe. La Germania per esempio aveva già un piano per azzerare le importazioni di carbone russo entro l’estate: e per via di contratti esistenti e spedizioni già avviate, ha chiesto e ottenuto dagli altri paesi europei un periodo di transizione di quattro mesi. «Se rimandassimo indietro quelle navi [che trasportano carbone] rischieremmo di non averne abbastanza», ha detto di recente il vicecancelliere tedesco Robert Habeck.
I paesi fornitori con cui sostituire la Russia, comunque, non mancano: la Russia è soltanto il terzo fornitore di carbone al mondo dopo Australia e Indonesia, e Bruegel fa notare che il carbone russo può essere sostituito abbastanza facilmente «perché il mercato globale del carbone è flessibile e ben fornito». Tutto questo al netto di un costo maggiore per i trasporti, dato che i paesi europei andrebbero a recuperare il carbone in paesi più lontani della Russia. «Ci rivolgeremo in prima battuta al Sudafrica e alla Colombia, poi forse anche all’Australia o all’Indonesia», ipotizza il Sole 24 Ore.
Sembra inevitabile che sganciarsi dalle forniture russe provocherà costi più alti per i paesi europei. Sia per la questione dei trasporti, sia perché il prezzo del carbone risente del generale aumento dei prezzi dell’energia in corso da mesi, ed è ulteriormente aumentato dall’inizio della guerra in Ucraina. Oggi in Europa una tonnellata di carbone costa circa 300 dollari, stima il Sole 24 Ore, «contro i 180 di prima della guerra e i 70 di un anno fa».