Marine Le Pen potrebbe vincere?
Non ha mai avuto così tante possibilità come oggi: è in crescita nei sondaggi, nonostante Macron sia ancora in vantaggio
In Francia sono in pochi, tra i politici più esperti o tra i politologi più riconosciuti, a escludere l’ipotesi di una vittoria alle prossime presidenziali francesi della candidata di estrema destra Marine Le Pen. Rémi Lefebvre, professore di scienze politiche all’Università di Lille, ha scritto ad esempio che la possibilità che Le Pen diventi presidente «non è mai stata così credibile».
I sondaggi, per lei, sono molto buoni e in crescita, e tra gli elementi che potrebbero favorirla ci sono l’assenza dell’attuale presidente Emmanuel Macron dalla campagna elettorale, l’imprevedibilità degli elettori e delle elettrici in tempo di crisi, la capacità che ha avuto Le Pen di rendere marginali le sue relazioni con il presidente russo Vladimir Putin, e quella che i giornali francesi hanno definito «l’umanizzazione» della candidata di Rassemblement National: nella forma più che nella sostanza, strategia che comunque sembra aver funzionato.
Marine Le Pen ha 53 anni, ed è figlia di Jean-Marie Le Pen, fondatore del Front National. Nel 2011 prese il posto del padre alla guida del partito a cui poi decise di cambiare nome. Negli anni, Marine Le Pen ha lavorato per dare al partito stesso un’immagine più moderata e rassicurante: per affermarsi come candidata credibile e per espandere la sua base elettorale.
Quest’operazione di normalizzazione – che è stata chiamata «dédiabolisation», “dediavolizzazione” – l’aveva portata ad arrivare terza alle presidenziali del 2012 e seconda a quelle del 2017, quando perse poi al ballottaggio contro Emmanuel Macron. Ma sembra aver ritrovato oggi un nuovo slancio e una grande efficacia, a fronte di un candidato molto estremista e aggressivo come Éric Zemmour.
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«Gli eccessi di Zemmour hanno avuto un effetto su Le Pen», ha scritto Slate, tanto che la stessa Le Pen, a fine febbraio, aveva invitato direttamente i giornalisti e le giornaliste a indagare sulla presenza di neonazisti tra le file del suo rivale. In quell’occasione Libération, storico quotidiano della sinistra francese, aveva pubblicato un articolo in cui precisava di non aver ovviamente alcun bisogno del suggerimento di Le Pen per fare il proprio lavoro, ma in cui esplicitava lo stupore per l’audacia mostrata dalla candidata di Rassemblement National nel vantarsi di aver «emarginato un certo numero di persone che dovrebbero essere escluse da tutti i movimenti politici francesi. Vale a dire, per essere stata costretta ad escludere dal suo movimento i razzisti o gli antisemiti colti in flagrante (o meglio a braccio teso) proprio dalla stampa».
Libération, così come molti altri quotidiani francesi, ha dunque sostenuto e argomentato che il posizionamento politico di Le Pen è rimasto radicale e per molti aspetti molto vicino a quello di Zemmour, in particolare per quanto riguarda i temi classici dell’estrema destra: sicurezza, identità nazionale e migrazioni. Ma sono altrettanto concordi nel dire che la forma e la narrazione che Le Pen ha saputo costruire intorno a tutto questo è cambiata.
«Ha portato avanti una strategia d’immagine in contrasto con quella del 2012 e con quella del 2017, passando dal confronto all’incontro, dallo shock al soft», ha commentato ad esempio Raphaël Llorca della Fondazione Jean Jaurès, un think tank francese associato al Partito Socialista. Le Pen ha condotto una campagna elettorale piuttosto moderata, senza provocazioni e che Llorca ha definito «terapeutica»: ha saputo cogliere le emozioni dominanti nell’elettorato, la fatica, il desiderio di «curare le ferite, di lenire le ansie, le paure e le preoccupazioni».
Le Pen ha anche saputo aprirsi a tematiche che storicamente sono state praticate in aree politiche opposte alla sua.
Proseguendo un’operazione già avviata per le presidenziali del 2017, ha sottolineato molto spesso il fatto, anche nei manifesti elettorali, di essere una donna: sia per attrarre le elettrici, sia per addolcire l’idea di un partito che storicamente ha sempre avuto un’immagine molto dura e aggressiva. Ha parlato più volte dei «diritti delle donne», con l’obiettivo non tanto di affermare la libertà e l’autodeterminazione delle donne stesse, ma per criticare alcuni aspetti dell’Islam, per veicolare messaggi comunque xenofobi o per portare avanti una politica securitaria.
Oltre alle questioni femminili, che anche se in un modo distorto Le Pen ha comunque assunto, c’è l’animalismo. La candidata dell’estrema destra ha infatti dedicato uno dei suoi quattordici opuscoli tematici pubblicati per la campagna presidenziale al benessere degli animali. Che sia per postura o per un impegno profondo, abbracciare la causa animalista le ha comunque portato dei vantaggi tutt’altro che trascurabili, data l’altissima percentuale della popolazione francese che nei sondaggi si è detta favorevole a misure che migliorassero le condizioni degli animali; e tra gli elettori, quelli che hanno la più alta aspettativa in questo senso sono le classi sociali più popolari.
«Contrariamente ai discorsi che a volte vengono veicolati» ha spiegato Benoit Thomé, presidente di un’importante associazione animalista francese «non si tratta di bobo (persone di cultura, economicamente agiate, che prediligono l’alimentazione biologica, l’abbigliamento naturale, le vacanze alternative e così via, ndr). L’elettorato di Marine Le Pen stava aspettando un impegno in questa direzione, e lei sembra averlo capito bene».
Se, da una parte, la rinnovata “dédiabolisation” di Marine Le Pen è stata favorita dalla retorica del suo rivale di estrema destra, Éric Zemmour, ha contato molto anche il fatto che il partito della destra moderata francese, Les Républicains, e il partito del presidente Macron, La République en Marche, sono diventati sempre più di destra, nei toni e nei contenuti.
Questo ha di fatto creato un contesto favorevole alla normalizzazione delle idee della destra radicale. Spesso, in questi giorni, i giornali francesi hanno ricordato quando nel febbraio del 2021 l’attuale ministro dell’Interno, Gérald Darmanin, prima di Les Républicains e ora di La République en Marche, accusò in televisione Le Pen di essere «un po’ molle, un po’ traballante» nei confronti dell’islamismo.
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Tra gli elementi che potrebbero favorire Le Pen c’è poi la crisi presidenziale di Macron, che di fatto sta facendo il presidente ma non il candidato alle presidenziali, dando per scontata la sua posizione di favorito.
«L’odio verso Macron» ha sostenuto Lefebvre «è profondo, alimentato, non senza ragione, da tutti i candidati, ulteriormente esacerbato dall’arroganza del presidente uscente che esulta sul campo e gode del suo status di favorito. La prospettiva di batterlo può portare battaglioni di astensionisti, soprattutto negli ambienti più popolari, a uscire dalla loro riserva e ad andare a votare». E prevedere che cosa voteranno è abbastanza imprevedibile: «In tempi di crisi, le rappresentazioni del mondo che determinano gli equilibri di una società possono cambiare rapidamente», ha scritto il giornalista Gaël Brustier.
Marine Le Pen ha poi saputo gestire piuttosto bene, nel contesto dell’invasione russa dell’Ucraina, i suoi rapporti e legami con Putin. Dall’inizio della guerra, la candidata di Rassemblement National ha minimizzato il ruolo della Russia, assumendo spesso una posizione piuttosto ambigua.
Quando, nelle ultime ore, la maggior parte dei candidati e delle candidate alle presidenziali ha preso posizione per denunciare i crimini commessi dai russi a Bucha, Marine Le Pen si è rifiutata di farlo. Su BFM TV, ha parlato di «un crimine di guerra», ma si è rifiutata di indicarne i responsabili: «Spetta alle Nazioni Unite dire chi è il colpevole».
Questa ambiguità avrebbe dovuto screditarla. Invece Le Pen, a differenza di altri suoi oppositori con posizioni filo-russe, non è stata colpita nei sondaggi: non solo non ha perso un solo punto, ma ha fatto progressi nelle intenzioni di voto. È riuscita a distrarre l’elettorato concentrando la lettura e l’analisi del conflitto sulle ripercussioni che il conflitto stesso avrebbe potuto avere sul potere d’acquisto dei francesi.
Pur dando l’impressione di non difendere apertamente il governo russo, in nome dell’aumento dei prezzi dell’energia, ha continuato a opporsi, come fa da anni, alle misure di ritorsione contro la Russia. A differenza degli altri candidati della sua stessa area politica, però, si è detta subito favorevole all’accoglienza dei rifugiati di guerra ucraini. Zemmour ha invece suggerito che sia la Polonia ad assumersi questa responsabilità, qualificando Putin come un «democratico autoritario» e perdendo punti nei sondaggi a favore proprio di Le Pen.
Le ultime ricerche prima del voto danno Marine Le Pen al 21,1 per cento contro il 27,3 di Macron al primo turno, che si terrà domenica 10 aprile. E la danno al 47 per cento contro il 53 del presidente uscente al secondo turno, che sarà invece domenica 24 aprile. Mentre Macron nelle ultime settimane è calato nelle intenzioni di voto, Le Pen è cresciuta.