È il momento di imparare cos’è un bibimbap
È uno dei piatti tipici della cucina sudcoreana, sempre più diffusa e apprezzata anche in Italia grazie ai film, alle serie tv e al K-pop
di Susanna Baggio
Il recente successo internazionale di film e serie televisive sudcoreane come Parasite e Squid Game e del fenomeno musicale del K-pop ha creato un certo interesse attorno alla cultura gastronomica della Corea del Sud. Sta succedendo anche in Italia e in particolare a Milano, dove solitamente le nuove mode culinarie arrivano prima di diffondersi nel resto del paese. Qui si trovano ristoranti sudcoreani dagli anni Ottanta e negli ultimi anni ne sono stati aperti di nuovi, che hanno attirato clienti più giovani, non esclusivamente coreani o abitanti nel quartiere.
Secondo i dati forniti dalla Camera di Commercio, le imprese attive nella ristorazione a Milano i cui titolari sono nati in Corea del Sud sono attualmente 14: quelle aperte negli ultimi dieci anni sono dieci, di cui sette – la metà di quelle attive – dopo il 2015. Questi dati non sono indicativi di tutti i ristoranti coreani attivi in città, che in alcuni casi sono gestiti da persone di altre nazionalità (per esempio i titolari di Jindalai, che a Milano ha due sedi, sono di origine coreana ma provengono dal nord-est della Cina). Sicuramente però danno un’idea di come e quando abbia cominciato a crescere la curiosità per questa cucina.
Ginmi, il primo ristorante coreano aperto in città, fu inaugurato nel 1985 in zona Loreto, e in più di 35 anni è passato di generazione in generazione diventando un punto di riferimento nel quartiere e facendosi conoscere anche fuori Milano. Poi tra gli altri arrivò Hana, uno dei ristoranti etnici più apprezzati e raffinati del centro, che aprì nel 1993 proprio in Porta Venezia per spostarsi nel 2010 in via Mazzini, a due passi dal Duomo. Negli anni ne sono arrivati altri, tra cui Arirang, My Kimchi e Seoul.
«Fino a qualche anno fa la Corea del Sud era un paese perlopiù sconosciuto, che nessuno sapeva bene indicare sulle cartine geografiche», ha detto Ko Ha-neul, che è nato nel 1991, è arrivato in Italia quando aveva due anni e gestisce Ginmi dal 2016. Negli ultimi cinque-sei anni il cinema e le serie TV coreane sono diventate «una vetrina» del paese, aggiunge Ko: rendono bene gli aspetti principali della sua società e contribuiscono ad aumentare l’interesse per la cultura coreana, gastronomica e non. Come ha sintetizzato Lee Okhee, chef e titolare del Li-sei deli, una gastronomia in zona Porta Genova, di solito ci si avvicina a una cultura attraverso la cucina, ma in questo caso sembra che sia accaduto il contrario.
Secondo Lee, infatti, molti italiani si sono interessati alla cultura coreana soprattutto dopo il successo inaspettato – almeno in parte – di Squid Game, la serie tv disponibile su Netflix dal settembre del 2021. Lee, che ha aperto l’attività nell’aprile del 2020 e che la gestisce con il marito Jung Ki Hyuk, si è accorta chiaramente dell’impatto della serie sugli spettatori italiani, specialmente su quelli più giovani. Prima, per esempio, nessuno sapeva cosa fosse il kimchi, che è uno dei piatti simbolo della cucina coreana, mentre ora tutti quelli che frequentano il suo ristorante non hanno bisogno di spiegazioni.
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Un piatto di kimchi
Kim Myunghun, titolare e chef di Hana, racconta che la cucina coreana utilizza soprattutto riso, verdure e carne e si fonda sul processo di fermentazione, sia per realizzare le salse che condiscono i piatti sia per alcuni piatti stessi. Tra questi c’è appunto il kimchi, che è considerato il piatto nazionale coreano e che si distingue per il suo tipico sapore acidulo e pungente. Si prepara facendo fermentare il cavolo napa (o cavolo cinese) assieme a verdure come cetrioli o rape aromatizzate con vari tipi di spezie e condimenti, tra cui peperoncino, zenzero, aglio, cipolle e jeotgal, una salsa di pesce sotto sale, fatta con gamberi, ostriche, vongole, pesce o uova di pesce. Il kimchi si mangia da solo, ma anche nelle zuppe, in panini imbottiti, negli involtini di carne o accompagnato a piatti di carne o pesce.
Dalla fermentazione arrivano anche due salse coreane molto utilizzate: la gochujang, a base di peperoncino rosso piccante, fagioli di soia fermentati, malto d’orzo e farina di riso glutinoso, e la doenjang, che si ottiene dalla fermentazione in salamoia dei fagioli di soia con le verdure, e il cui estratto si impiega per produrre la salsa di soia. La salsa doenjang è alla base dell’omonima zuppa, mentre la gochujang viene usata tra le altre cose per insaporire un altro dei piatti più celebri della cucina coreana: il bibimbap, una base di riso (bap) mescolata con verdure, uovo e carne di manzo o pollo. Servito in una ciotola o nel tradizionale dolsot, un tegame di pietra caldo che continua a cucinare il riso mentre si mangia, il bibimbap si condisce con olio di semi di sesamo o salsa di soia.
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Un piatto di bibimbap
La Corea del Sud ha più di 2.400 chilometri di coste, e pertanto oltre ai piatti di terra come la tartare di carne o il bulgogi – striscioline di carne di manzo marinate e grigliate – si trovano anche specialità regionali a base di pesce, crostacei e frutti di mare. I prodotti del mare si trovano in numerose zuppe, crocchette e piattini di contorno (chiamati banchan) e nei kimbap, i tipici rotolini di riso cotto e verdure avvolti in alga nori che ricordano i maki giapponesi e che sono solitamente farciti con uova e polpa di granchio o tonno. Tra le portate più apprezzate ci sono anche il pollo fritto, i calamari in salsa piccante, i ravioli freschi di carne o verdure, i piatti a base di spaghetti coreani e i jeon, le frittelle salate farcite con scalogno e verdure o frutti di mare. A tavola solitamente si bevono tisane fredde o calde, vino, birra o il soju, un distillato ricavato dal riso.
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In Italia alcuni piatti tradizionali sono stati resi popolari proprio da Parasite e da Squid Game. Uno di questi è il tteokbokki, che compare nella prima puntata di Squid Game, quando il protagonista è a cena con la figlia. Come spiega Kim, lo chef di Hana, è uno dei piatti più richiesti dai giovani italiani ma anche dagli studenti coreani, che molto spesso lo ordinano alle bancarelle di street food dopo la scuola. È a base di gnocchi di riso in brodo bollito con salsa gochujang, a cui vengono a volte aggiunti uovo sodo, verdure o frittata di alghe. Basta guardare i risultati di ricerca della parola tteokbokki su Google Trends per rendersi conto che in corrispondenza dell’uscita della serie il piatto ha ricevuto moltissime attenzioni, sia in Italia che in tutto il mondo.
Parasite, il primo film sudcoreano a essere candidato agli Oscar e ad aver vinto quattro premi nel 2020, ha invece fatto diventare famoso un altro piatto molto tipico, il ram-don.
La base del ram-don è il chapaguri (o jjapaguri), un piatto di spaghetti istantanei (rameyon) il cui nome deriva da due tipi diversi di noodle, che si chiamano Chapagetti e Neoguri e hanno rispettivamente un sapore agrodolce e piccante, a base di pesce. Il ram-don è ricavato dalla combinazione di questi due tipi di noodle ed è arricchito da pezzettini di carne di manzo. Il nome ram-don è stato inventato dai traduttori di Parasite unendo le parole “ramen” e “udon”, perché chapaguri non avrebbe avuto alcun significato per un pubblico non coreano. L’aggiunta della carne, un alimento pregiato ed esclusivo, serve a simboleggiare la distanza tra le famiglie povere e quelle ricche, una delle tematiche del film.
Negli anni più recenti la ristorazione coreana a Milano è stata cambiata anche dalla diffusione del K-pop, un pop coreano mescolato o ispirato al pop statunitense, all’hip hop, all’R&B e al rock che si rivolge in particolare agli adolescenti, rappresentato su tutti dai BTS. Ko per esempio ha spiegato che ora Ginmi è frequentato anche da adolescenti e fan del K-pop, in particolare quando vengono a sapere sui social network che ci vanno a mangiare alcuni cantanti o musicisti di passaggio a Milano durante i tour in Europa. Fino a qualche anno, poi, i clienti di Ginmi erano soprattutto persone coreane e famiglie del quartiere, mentre ora sono più giovani: l’età media è passata dai 35-40 anni ai 27-30, dice Ko.
Kim racconta che quando prese in gestione Hana, nel 2010, a Milano «c’erano solo tre ristoranti coreani e al massimo si trovavano una ventina di italiani, nel weekend»: la maggior parte dei clienti era fatta da turisti coreani o coreani che lavoravano per grandi aziende come Samsung, LG e Hyundai. A poco a poco però la sua clientela si è ampliata, in parte grazie alla curiosità delle persone che lavorano in centro e dei residenti della zona, e in parte grazie agli eventi sulla cultura coreana organizzati dal ristorante, tra cui la K-pop night o la K-movie night. Kim era arrivato in Italia una prima volta nel 2005 come corrispondente del canale televisivo coreano YTN, finendo per appassionarsi alla cultura gastronomica del suo paese e capendo che c’erano delle potenzialità per farla conoscere anche all’estero.
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Il fatto che la cucina coreana sia diventata più popolare ha portato ad alcuni tentativi di assecondare i gusti occidentali, come smorzare i sapori troppo piccanti.
Ko di Ginmi ha tolto dal menù un piatto tradizionale a base di carne che veniva ordinato soprattutto da persone coreane di una certa età, mentre Kim ha sacrificato un po’ a malincuore il menù degustazione per offrire piatti più sostanziosi o vari, come la frittata di kimchi o il bibimbap senza glutine. Anche le ricette del Li-sei deli si discostano da quelle tradizionali: nel loro bibimbap si usa un misto di riso venere, orzo e farro anziché il tipico riso bianco e al posto dei 6 o 7 tipi di verdure che si usano solitamente ce ne sono più o meno il doppio, preferibilmente di stagione e da agricoltura biologica.
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Tutti i ristoratori coreani intervistati dal Post sono convinti che tra i punti di forza della loro cucina ci sia l’essere molto salutare e ricca di vitamine e minerali. Concorda anche Caterina Zanzi, fondatrice del blog Conosco un Posto, che dal 2014 racconta le novità più interessanti nella ristorazione e i locali di tendenza a Milano. Secondo Zanzi, che conosce e apprezza i piatti coreani da molti anni, è una cucina «potenzialmente perfetta» perché è molto equilibrata e adatta anche a vegetariani e vegani; in Italia però è ancora molto poco diffusa e conosciuta, specialmente se paragonata a quella cinese e giapponese.
Secondo Zanzi non si può dire che a Milano ci sia «una vera e propria moda» della cucina coreana, soprattutto se paragonata al richiamo delle decine di locali cinesi e giapponesi frequentatissimi in città. Sicuramente però ora i ristoranti coreani sono di più, sono diversi tra loro e si trovano in zone più centrali (vicino a Porta Genova c’è anche Seoul, mentre tra Porta Nuova e Chinatown ci sono My Kimchi e Wong, tra gli altri).
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Un piatto di tteokbokki
In generale, spiega sempre Zanzi, la cucina asiatica è piuttosto minimalista e le immagini dei suoi piatti non si presterebbero troppo a essere condivise sui social network, che spesso contribuiscono a fare la fortuna di un locale o di un tipo di cucina. Ultimamente però i ristoranti coreani di Milano fanno più attenzione all’estetica dei piatti e dello stare a tavola. Per esempio un bibimbap presentato bene, le portate adatte a essere condivise e la possibilità di terminare la cottura di alcuni piatti a tavola – come accade da Jindalai, specializzato nel barbecue coreano – aiutano a creare curiosità sui social network.
Anche Lee del Li-sei deli ha prestato particolare attenzione alla cura del locale e all’aspetto dei piatti; per esempio ha introdotto nel menù i sandwich all’uovo (tamago sando) tipici delle caffetterie giapponesi di Kyoto – la città in cui era cresciuta prima di arrivare in Italia – che secondo lei funzionano molto bene sui social network.
@conoscounposto Per la cena di redazione di Conosco un posto siamo stati a provare il barbecue coreano di Jindalai. Seguiteci su i*g e sul blog per altri consigli su Milano e non solo!#conoscounposto #milanofood #ristorante ♬ suono originale – Conoscounposto
Ko racconta di aver utilizzato molto i social network anche per spiegare i piatti tipici a chi non li conosce e per trasmettere la cultura coreana attraverso l’esperienza a tavola. Alcune persone per esempio non sanno se immergere il riso nella zuppa o se mangiarli separati, visto che spesso vengono serviti insieme (i coreani fanno entrambe le cose), e uno dei piatti che spesso lasciano disorientati è il ssam, racconta, letteralmente un involtino fatto da una foglia di lattuga che si farcisce con carne, pasta di soia fermentata e altri ingredienti e poi si mangia con le mani.
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Il ssam, che si mangia con le mani
Per finire, uno dei locali di street food coreano più apprezzati di Milano soprattutto su TikTok è Okja, che si trova in viale Gorizia, vicino alla Darsena: ha un arredamento tutto rosa e pieno di lampade a neon e si chiama come un film del 2017 con Tilda Swinton e Jake Gyllenhaal diretto sempre da Bong Joon-ho, il regista di Parasite.
@isabellamichielin99 MAI MANGIATO UN POLLO PIÙ BUONO IN VITA MIA. (Poi raga è tutto rosa, sapete che impazzisco😍) #perte#neiperte#okja#milano#cibocoreano ♬ FEVER – ENHYPEN
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