Il surreale successo dei Teletubbies
Il primo episodio andò in onda 25 anni fa sulla BBC, e da lì conquistarono il mondo senza mai pronunciare frasi di senso compiuto
Verso la fine degli anni Novanta la BBC decise che aveva bisogno di un nuovo programma televisivo per bambini molto piccoli, in età prescolare. Chiese quindi ad alcune società di produzione di farsi venire qualche idea. Anne Wood, fondatrice e direttrice di Ragdoll Productions, piccola società specializzata in programmi per bambini, raccontò al Guardian che, nello specifico, la BBC si disse interessata a programmi che esplorassero – per quanto possibile visto il target di riferimento – «il contesto sempre più tecnologizzato degli anni Novanta».
Insieme all’autore Andrew Davenport, appassionato di Spazio, Wood partì da una semplice osservazione: nelle loro tute, in assenza di gravità, gli astronauti ricordavano per certi versi dei buffi bambini con il pannolino. «Mi colpiva il fatto» ricordò Davenport «che al momento dell’allunaggio, il massimo traguardo dell’umanità, le figure che emergevano sembravano dei bambini piccoli, e saltellavano qua e là».
Disegnarono quindi alcuni «bambini tecnologici» e proposero la loro idea a BBC, insieme a un’altra dozzina di società di produzione, molte delle quali ben più grandi e preparate rispetto a Ragdoll Productions. Dall’idea di Wood, dopo non poche evoluzioni, si arrivò infine ai Teletubbies: un progetto a tratti psichedelico e di culto, a suo modo controverso, ma di immenso successo mondiale, non solo in tv. I Teletubbies furono per la televisione per bambini quello che, più o meno nello stesso periodo, le Spice Girls furono per la musica.
E furono il primo prodotto, tra quelli in grado di raggiungere quel tipo di successo, a essere stato pensato per bambini piccolissimi finendo per strani giri a farsi conoscere anche dagli adulti, e non solo dai genitori. Oggi i Teletubbies sono arrivati fino a TikTok, un posto in cui la maggior parte degli utenti ancora non era nata quando in un pomeriggio di lunedì 31 marzo 1997 – 25 anni fa oggi – andò in onda il primo episodio della serie.
A quella iniziale idea sugli astronauti, Davenport e Wood aggiunsero molti dettagli, fino ad arrivare a concepire un programma su quattro bambini spaziali con degli schermi incastonati nella pancia, che vivevano a TeletubbyLandia, un mondo bucolico con un sole con la faccia di una neonata. Assieme a loro c’erano aggeggi vari, per esempio il dispettoso ma instancabile aspirapolvere parlante Noo-Noo, circondati da un mondo di fiori parlanti e conigli saltellanti, simile da un lato allo sfondo di un computer e dall’altro tecnologico e quasi fantascientifico, punteggiato da strani altoparlanti periscopici. Questo peculiare contesto veniva spesso disturbato dalla comparsa di strani oggetti e personaggi, forse portati lì da una potente e quasi venerata girandola magica.
Ciascuno dei protagonisti – Tinky-Winky, Dipsy, Laa-Laa e Po – aveva un suo colore, i suoi vezzi, un suo carattere e un’antenna diversa in fronte. Non era dato sapere che legame esistesse tra loro, ma di certo vivevano in grande armonia. In italiano, si dicevano cose come “tante coccole” e “ciao ciao”, mangiando tubbypappa e tubbytoast sempre molto felici, e spesso danzanti e saltellanti.
Forme e colori del programma furono pensati per attirare l’attenzione di bambini piccolissimi, e anche personaggi e struttura delle puntate furono ideati in modo tale da farsi capire e seguire da bambini in età prescolare. «Decisi di dare loro un linguaggio limitato, simile a quello di un lattante che sta imparando a parlare», disse Davenport, aggiungendo di essersi ispirato, per certe loro movenze, al comico Benny Hill.
Davenport ha raccontato che all’inizio non furono previsti gli schermi addominali, da cui ogni tanto comparivano allegri video del mondo reale, con veri bambini protagonisti. Pensò di aggiungerli perché altrimenti, a suo dire, i quattro potevano fare paura: «mi affascinava inoltre l’idea che i Teletubbies vedessero bambini nei loro schermi con lo stesso stupore con cui i bambini guardavano i Teletubbies da casa».
Arrivò invece un po’ più tardi il nome Teletubbies, dall’unione di “tele” e “tubby”, un modo non proprio carino per riferirsi a qualcuno sovrappeso. Il nome iniziale doveva essere Teleteddies, ma era già stato preso da altri.
Alle audizioni per interpretare Tinky-Winky, Dipsy, Laa-Laa e Po parteciparono centinaia di attori. John Simmit fu scelto per il ruolo di Dipsy, l’attrice e coreografa Nikky Smedley per quello di Laa-Laa, l’attrice di origini cinesi Pui Fan Lee fu scritturata per la parte di Po e Tinky-Winky finì per essere interpretato dal comico Dave Thompson. L’audizione, secondo un recente resoconto di Mel Magazine, consistette nel «fare qualcosa che fosse legato alla propria infanzia».
Trovati gli attori, si passò al set. Ragdoll Productions, che era solita girare i suoi programmi all’aperto, scelse un terreno collinare nella contea inglese del Warwickshire: «un contadino del posto, sui cui terreni avevamo girato il programma Tots TV, ci affittò un campo» ricordò Wood: «la buca ce la scavammo noi». Alcune persone, lì vicino, erano già state disturbate dalle riprese di un programma televisivo, e si lamentarono, ma Wood – che ormai aveva speso circa 150mila sterline per fare la buca – disse loro di non preoccuparsi, che era solo un innocuo programma per bambini a cui pochi avrebbero fatto caso.
Nelle prime prove, ha scritto Mel Magazine, gli attori non indossavano i veri costumi, che ancora dovevano arrivare dagli Stati Uniti. Per farli comunque abituare ai movimenti, si rimediò con dei costumi da lottatori di sumo. Poi arrivarono quelli giusti, e Thompson ricorda di essersi preoccupato e lamentato del fatto che il suo costume viola da Tinky-Winky avesse una testa troppo pesante. Smith (Dipsy) ha detto che, tutti interi, i costumi pesavano una ventina di chili l’uno.
Un altro problema furono i conigli. «Dovevano essere grandi» ricordò Wood, «così da sembrare in scala con i Teletubbies», che con le loro antenne raggiungevano circa due metri d’altezza. «Gli unici adatti erano allevati per essere mangiati, noi li prendemmo e li mettemmo in un posto perfetto, lasciandoli correre per i prati di Tubbylandia, ma non erano stati allevati per quello e, a causa dei loro cuori troppo grandi, circa ogni settimana ne moriva almeno uno. Ne perdemmo sette su undici, ma almeno morirono felici».
Le riprese si facevano dalle otto di mattina, con successivo doppiaggio in studio di registrazione. L’audio originale prodotto dagli attori che correvano e sudavano dentro a pesanti costumi era sicuramente molto diverso da quello finale. Dopo qualche mese la prima stagione era pronta, composta da oltre cento episodi di circa 25 minuti ciascuno. Tutti molto ripetitivi, scanditi da riti sempre uguali: il sole che ride, i video dei veri bambini, l’arrivo di oggetti e personaggi esterni che interagiscono con i protagonisti, la voce fuori campo, i Teletubbies che fanno ciao ciao.
Nel Regno Unito, il primo episodio andò in onda di pomeriggio, nel blocco che prima era stato occupato dal più semplice e più dichiaratamente educativo Playdays. Si fece notare e apprezzare, non solo dai bambini. I tabloid inglesi, per esempio, provarono in tutti i modi ad ottenere delle fotografie dei quattro attori protagonisti mentre indossavano o toglievano i costumi: «ebbi la sensazione che i giornali volessero dire ai bambini che Babbo Natale non esisteva, e fu necessario costruire una tenda in cui far vestire e svestire gli attori». Ci fu chi si appostò fuori dalle loro case, altri cercarono e trovarono il set, provando perfino a entrarci di nascosto o a sorvolarlo in elicottero.
«Già nell’estate del 1997 ci colpì molto l’interesse dei media» raccontò Davenport al Guardian: «volevamo fare qualcosa di tranquillo e innocente, e invece quasi ogni giorno c’era qualcosa su di noi sui giornali fino a quando l’attenzione non fu assorbita dalla morte [il 31 agosto di quell’anno] della principessa Diana».
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Intanto – dopo che Thompson fu sostituito – la serie andò avanti, arrivando anche all’estero. Il programma fu ottimamente recensito dal New York Times («carini e un po’ surreali») e arrivò in oltre cento paesi, venendo doppiato in una quarantina di lingue. Una sua canzone restò per settimane al primo posto delle classifiche e il suo merchandising vendette prodotti per oltre un miliardo di sterline: tra chi fece qualcosa a tema Teletubbies ci furono Hasbro, Microsoft, Burger King, McDonald’s e Jolly Roger.
Oltre che per il loro successo, di Teletubbies si parlò anche per altri motivi: per esempio iniziò a circolare la tesi secondo cui Tinky-Winky fosse gay, più che altro per il semplice fatto che aveva una borsetta. Ci fu chi prese questa ipotesi particolarmente sul serio, arrivando a sostenere che il programma fosse parte di un qualche piano per promuovere l’omosessualità. Altri, anche senza crederci troppo, apprezzarono il fatto che un programma per bambini potesse avere un personaggio gay, per quanto assurdo potesse essere il fatto che un infantile pupazzo alieno potesse avere un’identità di genere e un orientamento sessuale propri degli esseri umani.
Altri criticarono il fatto che il personaggio giallo fosse interpretato da un’attrice di origini cinesi, e quello dalla pelle leggermente più scura da un attore nero. Altri ancora, che il programma non aiutasse particolarmente i bambini a imparare a parlare. Uno studio accademico provò anche a studiarne certi effetti su alcuni bambini. Una teoria, comunque, è che una ragione del successo mondiale del programma stava proprio in quei personaggi a loro modo neutri, che parlavano una lingua che nessuno capiva.
Un’altra controversia riguardò un episodio della prima stagione, che vedeva tra i suoi coprotagonisti un leone e un orso, entrambi di cartone. La prima versione trasmessa fu considerata troppo spaventosa o quantomeno angosciante e di conseguenza prima rimossa e poi modificata in molte sue parti.
In Italia, i Teletubbies arrivarono nel luglio 1999 su RaiSat Ragazzi e poi, dal giugno 2000, nel pomeriggio di Rai 3, dove già andava in onda il programma Melevisione. «Siccome non ci vogliamo far mancare niente, arriveranno anche in Italia» scrisse Repubblica, che parlò di «quattro pupazzi spaventosi con grandi orecchie, l’aria un po’ marziana, uno schermo sulla pancia e l’antenna in testa» definendoli «piccoli Gabibbi inglesi». Nel 2000, sempre su Repubblica, Antonio Dipollina ne scrisse:
«I Teletubbies britannici rappresentano un buon test per sondare il rapporto attuale tra bambini e tv: se passeranno inosservati, allora qualcuno dovrà iniziare a chiedersi come riparare da qui in avanti ai danni provocati dalla programmazione-baby negli ultimi anni: ovvero quella che nei convegni viene additata dagli esperti come un autentico attentato alla salute mentale delle generazioni future del paese.
La differenza tra i “Tubbies” e il resto delle proposte in cartoon che passano in video è semplicemente solare: nessuna frenesia, soprattutto. Niente immagini che si rincorrono, ma solo le vicende dei pupazzi ipermoderni, ma buffi e pacioccosi, che si distendono, giocano e inventano su verdi colline, saltando e ribaltandosi qui e là. Il prodotto è curatissimo, gli inserti “real” ben calibrati (e quasi accuditi nella versione italiana: doppiare un bambino di due anni non è semplice come dirlo), l’aria è buona, insomma».
I Teletubbies proseguirono per cinque stagioni e oltre 300 episodi, l’ultimo dei quali andò in onda su BBC nel febbraio 2001. Nel 2015 fu prodotta una nuova serie, andata in onda per quattro stagioni, in cui ai quattro (interpretati da nuovi attori) si aggiunsero dei personaggi più piccoli, non è ben chiaro arrivati come e da dove.
La nuova serie però non riuscì a replicare o anche solo avvicinare il successo di quella originale, che tra le altre cose produsse tutta una serie di speculazioni e teorie quasi complottiste – rare per un prodotto per bambini – su cosa siano davvero, dove siano davvero e cosa facciano davvero i Teletubbies. Molte si chiedono per esempio, con vari gradi di serietà, se i Teletubbies non siano forse segregati chissà dove in un qualche contesto distopico, in una sorta di gabbia dorata da cui non possono scappare.
Le stramberie della serie hanno creato peraltro un esteso filone di gag e battute sulla natura psichedelica della serie, specialmente per un adulto in uno stato psichico in qualche modo alterato. Wood, però, disse al Guardian di essere contraria a tutto ciò che tende a rovinare «l’innocenza e la gloriosa frivolezza del programma» a cui capitò di «catturare lo spirito del tempo di un mondo che stava cambiando».