Che cosa sappiamo dell’accordo tra l’Istituto Spallanzani e il Gamaleja di Mosca
Una collaborazione di ricerca sul Covid e il vaccino Sputnik è al centro di sospetti e accuse, per ora senza riscontri
L’invasione in Ucraina e le conseguenti trasformazioni nei rapporti diplomatici internazionali stanno rimettendo in discussione e rinnovando vecchi dubbi riguardo alcune forme di collaborazione tra Russia e Italia, non solo per quanto riguarda la missione di aiuti inviata a Bergamo nelle prime settimane di epidemia ma anche in relazione a un accordo firmato l’8 aprile 2021 tra l’Istituto Spallanzani di Roma e l’Istituto Gamaleja di Mosca, entrambi importanti centri per lo studio delle malattie infettive.
L’accordo prevedeva uno «scambio di conoscenze» nell’ambito delle ricerche sul Covid e sui vaccini che meglio avrebbero potuto contrastarlo. In particolare, su alcuni quotidiani è stato espresso il timore che i ricercatori russi abbiano avuto accesso a banche dati con informazioni sensibili. Allo Spallanzani, infatti, sono conservati i dati delle banche biologiche dell’Unione Europea per gli agenti virali e si studiano eventuali vaccini contro le armi biologiche.
La polemica sull’accordo tra lo Spallanzani e il Gamaleja segue di pochi giorni quella nata attorno alla spedizione denominata Dalla Russia con amore, quando mezzi militari, medici (pochi), ricercatori, ufficiali e, si sospetta, agenti dell’intelligence, arrivarono in Italia dalla Russia ufficialmente per portare aiuti per gestire l’epidemia da coronavirus. Quegli aiuti si rivelarono del tutto inadeguati ma i 104 russi, poi dislocati a Bergamo, ebbero accesso all’ospedale Giovanni XXIII.
L’Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani, inaugurato nel 1936, è il maggior centro italiano per quanto riguarda la ricerca e la cura delle malattie infettive. È nei suoi laboratori, diretti allora da Maria Rosaria Capobianchi, che per la prima volta in Europa fu isolato il coronavirus (l’annuncio venne dato il 2 febbraio 2020). A guidarlo, come direttore generale e direttore sanitario, è Francesco Vaia, che ha una lunga esperienza come manager sanitario a Napoli e Roma a cui, pochi giorni fa, è stata tra l’altro attribuito l’ordine di Cavaliere di Gran Croce al merito della Repubblica italiana.
Il Centro nazionale di ricerca epidemiologica e microbiologica intitolato all’accademico onorario Nikolaj Fedorovic Gamaleja, inaugurato nel 1891 come istituto privato e poi nazionalizzato dopo la rivoluzione del 1917, è il centro di ricerca russo di riferimento nel campo dell’epidemiologia e della microbiologia. Nei suoi laboratori è stato sviluppato il vaccino contro il Covid denominato Sputnik V. Il progetto fu finanziato dal fondo sovrano di Mosca RDIF, creato dal governo di Mosca per investire nell’economia russa. A capo del fondo c’è Kirill Dmitriev, ora colpito dalle sanzioni come capo di un ente governativo russo, e considerato un fedele collaboratore del presidente Vladimir Putin.
L’accordo dell’8 aprile 2021, che ora è decaduto in seguito all’invasione russa in Ucraina e alle conseguenti sanzioni decise dall’Unione Europea, prevedeva uno «scambio di conoscenze». Si sa per certo che i ricercatori italiani dello Spallanzani non sono stati all’Istituto Gamaleja e quindi, se non altro a livello di presenza, lo scambio è avvenuto interamente in territorio italiano. L’accordo prevedeva che lo Spallanzani condividesse con i ricercatori russi i dati sui pazienti malati di Covid, mentre i russi avrebbero dovuto fornire i dati sul vaccino Sputnik V. Repubblica riporta che nel memorandum firmato tra i due istituti era stata prevista la possibilità di sperimentare lo Sputnik V in Italia con tre pianificazioni di studi clinici previste prima su 500-1.000 persone, poi su 3mila e quindi su numeri più grandi, «al fine di dimostrarne l’efficacia e la sicurezza». Né l’Agenzia europea per i medicinali né l’Agenzia italiana del farmaco hanno mai autorizzato il vaccino russo, ampiamente utilizzato invece in Asia e in Sudamerica, con buoni risultati nella prevenzione dei decessi.
Repubblica, che sta seguendo la storia da giorni, ha avanzato il sospetto che i ricercatori russi abbiano avuto accesso alla totalità della banca dati dello Spallanzani che contiene, tra le altre cose, le ricerche sui farmaci da utilizzare in caso di attacco con armi batteriologiche. Quei dati sono condivisi con gli altri paesi aderenti alla NATO. Non esiste però nessun riscontro a questa teoria, che è stata smentita dagli interessati. Non c’è stata, tra l’altro, alcuna relazione ufficiale sul lavoro svolto dagli scienziati russi in Italia, né sembra esistere una corrispondenza ufficiale. Lo stesso Vaia ha detto a Repubblica: «Il rischio di trasferimento di dati sensibili è pari a zero».
Ma c’è un altro punto controverso del rapporto tra Spallanzani e Gamaleja e riguarda proprio il vaccino Sputnik V. Secondo fonti interne all’Istituto, riportate dai quotidiani, Vaia avrebbe fatto arrivare dosi di Sputnik V da San Marino, paese che aveva autorizzato la somministrazione. L’altro sospetto che è finito nelle ricostruzioni di alcuni quotidiani è che in qualche modo sia stato spinto il vaccino russo a discapito dello studio su quello italiano, il ReiThera, la cui sperimentazione fu bloccata dalla Corte dei conti con la motivazione di «assenza di un valido e sufficiente investimento produttivo».
Vaia ha risposto a Repubblica: «Lo Spallanzani non ha mai effettuato sperimentazioni sul vaccino Sputnik V, né abbiamo provato a farlo approvare saltando le normali procedure: non siamo la scorciatoia di nessuno. Lo Spallanzani non ha mai abbandonato il vaccino di ReiThera per concentrarsi su Sputnik V. Sono stati due percorsi di ricerca totalmente distinti. E se non siamo andati mai a Mosca, come previsto, è per la recrudescenza dell’epidemia e i nostri impegni assistenziali».
I giornali hanno anche collegato alla vicenda l’abbandono dello Spallanzani, per andare in pensione anticipata, di Maria Rosaria Capobianchi, la direttrice del laboratorio di virologia, la prima ad aver isolato nel 2020 il coronavirus in Italia. Con Repubblica ha preferito non commentare: «Se dicono così, scrivetelo. Io non ho niente da dire. Se non che da questa storia voglio assolutamente restare fuori». La stessa scelta fu fatta dall’infettivologo Nicola Petrosillo, ex direttore del dipartimento clinico e di ricerca in malattie infettive, che sulla vicenda ha detto: «Sulla collaborazione con i russi non sono mai stato consultato. Leggevo sui giornali, mi dicevano che c’erano russi in istituto, ma nonostante fossi un capo dipartimento nessuno aveva ritenuto opportuno informarmi. Né mi è stato chiesto di condividere dati sui pazienti. Tutto nella regola, sia chiaro».
La Stampa ha scritto di un’ulteriore accusa su cui però, di nuovo, non ci sono al momento riscontri: cioè che dalla Russia sia arrivata un’offerta da 250mila euro a un alto dirigente dello Spallanzani, non si sa però per cosa. Il dirigente avrebbe rifiutato e avvertito l’intelligence italiana. Anche su questo Vaia ha risposto: «So che non fu sporta alcuna denuncia. Ove emergessero elementi anche di solo sospetto, non esiterei ad intraprendere tutte le azioni legali a tutela dell’Istituto».
Alessio D’Amato, assessore alla sanità della Regione Lazio, tra i principali sponsor della collaborazione tra Spallanzani e Gamaleja e considerato un possibile futuro candidato per il Partito Democratico alla Regione, ha detto ieri in un comunicato: «Ho appena ricevuto una lettera aperta firmata da tutti i capi Dipartimento, dalla Direzione scientifica, dai primari, i dirigenti sanitari e amministrativi dell’Istituto Spallanzani che rigettano in toto interpretazioni fuorvianti che in questi giorni stanno circolando a mezzo stampa su presunte spy story. Io stesso ho avuto nel pomeriggio un colloquio con la massima autorità per la sicurezza della Repubblica che conferma la totale fiducia nel più importante Istituto di Malattie Infettive italiano e che nulla di concreto sussiste rispetto ad alcune ricostruzioni giornalistiche».
Sull’efficacia del vaccino Sputnik V gli scienziati italiani ed europei si sono divisi. Lancet ha però pubblicato recentemente uno studio argentino condotto su 1,2 milioni di vaccinati secondo cui il vaccino russo, così come quello AstraZeneca e il cinese Sinopharm, garantirebbe un’alta protezione specie contro il rischio di morte, comparabile a quella degli altri vaccini diffusi in Europa. Massimo Galli, ex direttore di Malattie infettive all’ospedale Sacco di Milano, ha detto: «Mancano ancora due elementi da conoscere: uno è la durata della protezione l’altro sono gli effetti collaterali che potrebbero essere non dissimili da quelli osservati come conseguenza della somministrazione di altri vaccini a vettore virale. Non so francamente a chi consiglierei, oggi, una strategia vaccinale basata su vettore virale che ha dei limiti, a partire dal fatto che è possibile somministrarne al massimo due dosi, mentre già si parla di quarta dose in questa fase della pandemia».
Dall’altra parte Enrico Bucci, ricercatore, professore presso la Temple University di Philadelphia, ha recentemente scritto sul Foglio: «Il vaccino russo Sputnik funziona più o meno come gli altri (…) Io mi chiedo: per quanto ancora dovremo assistere al massacro di una buona idea scientifica e di un prodotto probabilmente utile come Sputnik V, anche se di produzione complessa, da parte di pessimi manoscritti con ancor peggiori revisioni, pubblicati su riviste che si vantano di aver fatto la storia della medicina?».