Il punto debole della NATO
È il cosiddetto "varco di Suwalki" che collega Lituania e Polonia: secondo molti potrebbe essere il luogo più favorevole per un attacco della Russia all'Occidente
di Eugenio Cau
Sul “fianco est della NATO”, cioè tra i paesi dell’Europa orientale che appartengono all’Alleanza atlantica, la Lituania è il secondo per numero di militari NATO sul proprio territorio. Sono circa 4.000, più del doppio di quelli presenti in tutti gli altri stati della regione, eccetto la Polonia: ma la Polonia è un paese grande, in cui abitano più di 40 milioni di persone; in Lituania sono 2,7 milioni appena.
Questa grossa concentrazione di truppe NATO in uno dei paesi più piccoli e meno popolati dell’Alleanza si può capire guardando una carta geografica: i tre paesi baltici – Estonia, Lettonia e Lituania, tutti membri della NATO – sono collegati al resto dell’Europa e al territorio dell’Alleanza da un corridoio largo circa 65 chilometri schiacciato a nord dall’exclave russa di Kaliningrad, dove si trovano una base navale russa e varie unità dell’esercito, e a sud dalla Bielorussia, stato vassallo della Russia e a cui l’esercito russo ha libero accesso.
Questo corridoio si chiama “varco di Suwalki”, dal nome di una città polacca non lontana, e di fatto corrisponde al confine tra Lituania e Polonia. Viene definito – dai media, ma anche da varie analisi militari – «il punto debole della NATO». Non soltanto perché è uno dei luoghi più difficili da difendere dell’intero territorio dell’alleanza, schiacciato com’è fra due entità russe e filorusse, ma anche perché, se un giorno la Russia deciderà di attaccare il territorio della NATO, è molto probabile che comincerà da qui.
Peter Nielsen, colonnello delle forze armate danesi e comandante della sede della NATO a Vilnius (la capitale della Lituania), dice, guardando una grande mappa dell’Europa orientale: «Il varco di Suwalki è la porta per i paesi baltici ed è un territorio chiave dal punto di vista militare». Nielsen è il comandante della Force Integration Unit della NATO in Lituania: da un quartier generale nella prima periferia di Vilnius, gestisce una forza composta da soldati e ufficiali provenienti da tutti i paesi dell’alleanza (c’è un solo ufficiale italiano, che guida un team di logistica) con il compito di facilitare e coordinare le operazioni delle truppe NATO sul territorio, anche in appoggio alle forze armate locali.
La presenza di truppe NATO in quest’area fu decisa tra il 2015 e il 2016, dopo che la Russia tornò a mostrare la sua volontà espansionistica nell’Europa dell’est con l’invasione e l’annessione illegale della Crimea. Nel corso di varie riunioni, i paesi della NATO decisero di inviare truppe, che ruotano costantemente, nei tre paesi baltici e in Polonia, e di concentrarle soprattutto nei due paesi che sono divisi dal varco di Suwalki: Lituania e Polonia.
La ragione per cui il varco di Suwalki viene definito il punto debole della NATO riguarda la presenza a nord-ovest di Kaliningrad e a sud-est della Bielorussia.
Kaliningrad è un’exclave, cioè un pezzo di territorio russo in pieno continente europeo: è uno dei luoghi più militarizzati d’Europa, dove le forze armate russe hanno stanziato in maniera permanente oltre 10 mila soldati, più una base aerea e la sede della Flotta del Baltico, con decine di navi da guerra e sottomarini. Vari analisti ritengono inoltre (ma non ci sono conferme ufficiali) che a Kaliningrad sia stanziato parte dell’arsenale nucleare russo, oltre che i missili capaci di trasportare testate nucleari.
Dall’altro lato del varco di Suwalki c’è il confine con la Bielorussia, uno stato che ormai è diventato del tutto dipendente dal regime russo, e che è già stato usato dalle forze armate russe come base per l’invasione dell’Ucraina: dal punto di vista militare il territorio bielorusso è praticamente un’estensione di quello della Russia.
In caso di un attacco, alle forze russe basterebbe avanzare lungo i 65 chilometri del varco di Suwalki, collegare assieme Kaliningrad e la Bielorussa e “inghiottire” in un colpo solo i tre paesi baltici, rendendo impossibile alle altre forze della NATO l’invio di rinforzi via terra, e molto complicato un contrattacco, considerata la probabile presenza di armi nucleari a Kaliningrad.
Con una sola mossa, Estonia, Lettonia e Lituania rimarrebbero isolate dal resto della NATO, e dell’Europa.
Questa non è un’ipotesi formulata soltanto dagli esperti militari occidentali: alcune versioni delle esercitazioni militari Zapad, condotte periodicamente dagli eserciti russo e bielorusso, prevedono operazioni di questo tipo. Dal punto di vista militare, per la Russia è anche comprensibile: in caso di conflitto con la NATO, il primo obiettivo è evitare che il territorio di Kaliningrad si trovi isolato e circondato da paesi dell’Alleanza.
Il varco di Suwalki, peraltro, è vulnerabile anche dal punto di vista della conformazione del territorio. Vi passano soltanto una ferrovia e due strade, una a settentrione più grande e capace di trasportare mezzi pesanti, e una decisamente più stretta, a meridione verso il confine con la Bielorussia: basta tagliare queste tre linee di comunicazione e i paesi baltici sono isolati.
Soprattutto, poiché il varco di Suwalki corrisponde di fatto al confine tra Polonia e Lituania, due paesi dell’Unione Europea appartenenti all’area Schengen, il confine non può essere militarizzato: sia lungo l’autostrada a nord sia lungo la più stretta strada a sud, al passaggio del confine ci sono soltanto le bandiere e due camionette delle rispettive guardie di frontiera. I grandi edifici per i controlli di passeggeri e merci in uso prima dell’ingresso della Lituania nell’Unione non sono ancora stati demoliti, ma sono abbandonati e in disuso.
L’ipotesi di un attacco al varco di Suwalki per ora è piuttosto remota. Secondo il colonnello Nielsen, anzi, «in queste settimane il livello di pericolo per i paesi baltici è minore che negli anni scorsi», perché le truppe russe sono state tutte rivolte verso l’Ucraina. Ma nelle esercitazioni e nelle simulazioni della NATO, il varco di Suwalki è costantemente il punto debole del “fianco est”. E il regime di Vladimir Putin, con l’invasione dell’Ucraina, ha dimostrato di essere pronto a portare la guerra in Europa – anche se non contro la NATO – benché tutti gli analisti la ritenessero una mossa irrazionale e dannosa, come alla fine si è rivelata.
«Era chiaro fin da prima dell’ingresso della Lituania nella NATO che il nostro territorio è piuttosto speciale», dice Rasa Juknevičienė, ex ministra della Difesa lituana e attualmente europarlamentare. «Anzitutto perché non ha “profondità strategica”», dice, facendo riferimento a quel concetto di dottrina militare per cui un paese di grandi dimensioni ha più possibilità di opporsi al nemico, ritirarsi e contrattaccare, come si sta vedendo per esempio in Ucraina, «e inoltre per la presenza da una parte e dall’altra del confine di Kaliningrad e della Bielorussia».
Secondo uno studio del 2018 del Center for European Policy Analysis, un centro studi di Washington, «il varco di Suwalki è dove convergono numerose debolezze nella strategia della NATO e nella sua disposizione delle forze». Lo studio mostra piuttosto bene che alla Russia potrebbe non servire nemmeno un’invasione su larga scala per prendere il controllo del varco, ma potrebbe usare vari livelli di “guerra ibrida”. Potrebbe per esempio decidere di fare come in Crimea nel 2014, e di inviare lungo il varco truppe senza segni di riconoscimento negando al tempo stesso la loro presenza.
Questo renderebbe difficili le cose anche dal punto di vista politico: la NATO è un’alleanza difensiva, e per i paesi membri potrebbe essere complicato ordinare un intervento delle proprie truppe senza avere la certezza formale che l’attacco sia stato compiuto dalla Russia, specie se il rischio è di scatenare una guerra contro una potenza nucleare.
«Se il varco di Suwalki verrà chiuso, ci sono comunque molti modi per inviare rinforzi ai paesi baltici», dice il colonnello Nielsen. «Per via aerea, ovviamente, oppure via mare, specialmente tramite il porto di Klaipeda, che è l’unico di questa porzione del mar Baltico a rimanere privo di ghiaccio anche durante l’inverno. Ma è evidente che, in caso di chiusura del varco, l’obiettivo principale sarà quello di riaprirlo».
La NATO è consapevole fin dall’ingresso dei paesi baltici nell’alleanza, nel 2004, della debolezza strategica costituita dal varco di Suwalki, ma «si è svegliata soltanto dopo il 2014», dice l’ex ministra Juknevičienė, cioè dopo l’invasione russa della Crimea e l’inizio del conflitto nell’oriente ucraino, sempre alimentato dalle forze russe. Da quel momento, tutto il “fianco est della NATO” tornò a essere di fondamentale importanza, e il grosso delle forze si andò a concentrare nell’area del Baltico.
Al summit di Varsavia del 2016 fu deciso di inviare una forza multinazionale in Polonia e nei tre paesi baltici, nell’ambito di una missione chiamata NATO Enhanced Forward Presence (EFP). Di fatto, la NATO decise di mandare in Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia truppe e mezzi pronti al combattimento, con due obiettivi: anzitutto sostenere le forze armate locali in caso di invasione, ma soprattutto avere una funzione di deterrenza. Se la Russia dovesse attaccare la Polonia o i paesi Baltici, si troverebbe ad attaccare anche le forze NATO, con enormi conseguenze in termini di escalation del conflitto.
La NATO ha inoltre una missione limitata di monitoraggio aereo dei paesi baltici, con una base in Estonia e una in Lituania. Sempre in Lituania, a seguito di un accordo bilaterale sono stanziate anche alcune centinaia di soldati degli Stati Uniti.
La presenza della NATO nei paesi baltici, però, non è stabile. I soldati ruotano ogni sei mesi, creando non pochi problemi logistici con l’arrivo di ogni nuova missione. Questo perché, in base a un accordo tra NATO e Russia preso nel 1997, la NATO si è impegnata (sulla base del «contesto di sicurezza» del tempo) a non mantenere una presenza di truppe permanente sui territori dei paesi che negli anni successivi sarebbero entrati nell’alleanza, come i paesi baltici.
Negli ultimi anni questo accordo (chiamato Founding Act on Mutual Relations, Cooperation and Security), è stato più volte ignorato e violato dalla Russia: ora che l’invasione dell’Ucraina ha alzato il livello della minaccia sul fianco est, molti analisti ritengono che per la NATO non abbia più senso mantenere un impegno che dall’altra parte è già stato disatteso. La pensano così diversi importanti attuali ed ex funzionari e politici lituani, che si sentono estremamente vulnerabili.
Margiris Abukevičius è il viceministro della Difesa del governo lituano, e sostiene che la «soluzione» della debolezza strategica creata dal varco di Suwalki sia «passare da una concezione di “deterrenza” a una di “difesa avanzata”». Secondo Abukevičius, «il contingente NATO dovrebbe almeno triplicare la propria presenza di truppe pronte al combattimento».
Un altro concetto molto diffuso è quello di “difesa aerea”. Attualmente la NATO ha una missione di pattuglia aerea sui paesi baltici, ma molti nella regione vorrebbero che l’alleanza stabilisse una vera base aerea. «La difesa aerea è una questione non soltanto per la nostra regione, ma per tutta la NATO», dice Abukevičius. «Stiamo lavorando alla creazione di una nuova architettura, che riguarda sia il dispiegamento di caccia da guerra sia di sistemi di difesa terra-aria». È probabile che alcune novità in questo senso arriveranno al vertice NATO di Madrid, a fine giugno.
La Lituania (ancora una volta, assieme alla Polonia) è il paese d’Europa con la visione più favorevole nei confronti della NATO: nel 2017 il 77 per cento dei lituani sosteneva la NATO, un grosso aumento rispetto al 59 per cento del 2007.
Pur apprezzando la NATO, non tutti i lituani sono però convinti di potersi fidare. Anche se l’articolo 5 del trattato della NATO obbliga gli altri paesi membri a intervenire nel caso in cui uno di loro sia aggredito, molti lituani si chiedono se davvero l’Europa occidentale rischierà una guerra con la Russia per difendere sei milioni di persone tra estoni, lettoni e lituani. Soprattutto se la Russia agirà per prima, occupando il varco di Suwalki e tagliandoli fuori dal resto dell’alleanza.
Quando il Post fa questa domanda al colonnello Nielsen, lui indica uno degli armadi per documenti del suo ufficio di Vilnius. Sopra all’armadio, in vista, sono appoggiati il suo elmetto e la divisa militare. «Io voglio stare qui», dice. «Se la deterrenza non funzionasse, verrebbe meno tutto il senso della NATO».