Trovare un’alternativa all’olio di girasole è complicato
L’industria alimentare italiana sta cercando di rimpiazzare le forniture provenienti dall’Ucraina, il maggior esportatore mondiale
I cartelli che all’inizio di marzo annunciavano la possibile carenza di olio di semi di girasole nei supermercati hanno convinto molte persone a farne scorta, per questo da alcuni giorni può essere difficile trovare le caratteristiche bottiglie gialle in plastica sugli scaffali. Ma più che ai consumatori, l’improvvisa mancanza dell’olio di girasole sta causando non poche preoccupazioni all’industria alimentare italiana, che ne utilizza una notevole quantità per la produzione di conserve, salse, maionese, condimenti, e per le fritture.
L’invasione russa ha infatti compromesso la coltivazione di girasoli e la produzione di olio in Ucraina, il paese che ne esportava di più in tutto il mondo. Le importazioni sono state sospese e trovare un’alternativa in poco tempo, dicono le aziende del settore, sembra essere complicato e costoso.
Secondo i dati dell’OEC, un osservatorio del commercio mondiale, fino al 2019 l’Ucraina garantiva il 48 per cento dell’olio di girasole prodotto in tutto il mondo. Il secondo maggior produttore era la Russia, responsabile del 22 per cento della fornitura mondiale. A causa della guerra, la coltivazione di enormi distese di girasoli è stata sospesa: si è fermata la raccolta dei fiori, la lavorazione dei semi e la produzione dell’olio, oltre che la semina per la prossima stagione. Dalla fine di febbraio, diverse navi che dovevano dirigersi in Italia, pronte a partire da Odessa e Mariupol, sono rimaste ferme nei porti. Le sanzioni introdotte da molti paesi contro la Russia hanno limitato fortemente un’altra quota non trascurabile di forniture.
Il consumo italiano di olio di girasole è di circa 770mila tonnellate all’anno, di cui gran parte utilizzato nell’industria alimentare. Secondo dati elaborati da ASSITOL, l’associazione italiana dell’industria olearia, la quota di import di olio grezzo dall’Ucraina era cresciuta dal 54% del totale del 2015 al 63% del 2021. La crescita di importazioni dall’Ucraina è dovuta anche alla limitata quantità di olio di girasole prodotta in Italia: 250mila tonnellate di olio grezzo, poco più del 30% del fabbisogno totale.
Le conseguenze per le aziende sono significative. Oltre alla produzione di salse, alla conservazione del tonno e a diverse produzioni dell’industria dolciaria, il girasole è la base per molte farine usate nell’allevamento e per le cosiddette oleine, miscele utilizzate nell’industria oleochimica ed energetica, per esempio per il biodiesel.
Natasha Linhart, fondatrice e amministratrice delegata del gruppo Atlante, che esporta beni alimentari italiani nel Regno unito, negli Stati Uniti e in Asia, ha detto al Sole 24 Ore che le imprese hanno nei magazzini una scorta molto limitata di olio di girasole, destinata a esaurirsi in breve tempo. «La grande distribuzione è preoccupata di non riuscire ad approvvigionarsi di molti prodotti già dal mese prossimo», ha detto Linhart. «Da quando in Italia c’è stata una forte campagna di opinione pubblica contro l’utilizzo dell’olio di palma, poi, molte aziende si sono buttate sull’olio di girasole».
La prima cosa che hanno fatto le aziende è stata cercare fornitori alternativi, in Bulgaria e in Romania, ma anche in Argentina e in Messico. «Non è un’operazione semplice e di certo sarà impossibile reperire per intero i quantitativi necessari a colmare il ‘vuoto’ dell’import ucraino» dice Andrea Carrassi, direttore generale di ASSITOL. Anche la sostituzione dell’olio di girasole con un altro olio è un’operazione complessa. «Si cerca di riformulare i prodotti con altri oli, per esempio con quello di oliva o di sansa per i prodotti salati come pane o sostitutivi del pane o, per tutti gli altri prodotti, con l’olio di palma sostenibile. Va poi ricordato che il settore degli oli vegetali lavora secondo alti standard qualitativi e che le nostre regole prevedono controlli stringenti, inclusa la sostenibilità».
Le associazioni che rappresentano le imprese del settore sono riuscite a convincere il ministero dello Sviluppo economico a concedere una deroga all’etichettatura dei prodotti. Siccome realizzare e stampare nuove etichette è un procedimento lungo e costoso, il ministero ha concesso alle aziende di sostituire l’olio di girasole con un olio alternativo, sempre nel rispetto delle norme alimentari, e di correggere le vecchie etichette con un adesivo per indicare quali oli o grassi siano stati impiegati in sostituzione, segnalando l’eventuale presenza di allergeni. Il sistema, si legge nella nota del ministero, consentirebbe di fornire un’adeguata informazione al consumatore e garantire la tutela della sicurezza alimentare.
Un possibile sostituto dell’olio di girasole è l’olio di palma, di cui negli ultimi anni è stato fortemente ridotto l’utilizzo in seguito a molte campagne di sensibilizzazione contro i suoi presunti effetti nocivi sulla salute, oltre che per le ben più fondate preoccupazioni sulla sua sostenibilità ambientale.
L’olio di palma, come l’olio di girasole e altri oli vegetali, serve a mantenere la consistenza morbida di torte, merendine e creme spalmabili. Chi prepara una torta in casa di solito utilizza il burro, cioè un grasso saturo che permette di ottenere una migliore consistenza dell’impasto rispetto all’olio di oliva o altri oli vegetali, che sono invece insaturi. Anche se proviene da un vegetale, l’olio di palma ha più cose in comune col burro: è fatto essenzialmente di acidi grassi e in più ha il pregio di essere quasi insapore, quindi in molti casi migliore del burro che modifica il gusto dei preparati in cui viene utilizzato. L’olio di palma è inoltre molto meno costoso e si conserva più facilmente, cosa che lo ha reso il grasso più diffuso per la preparazione dei dolci a livello industriale.
Da anni si dibatte sui possibili effetti nocivi dell’olio di palma sulla salute: a oggi non ci sono indicazioni per dire che l’olio di palma faccia male in assoluto. Questo naturalmente non significa che se ne può mangiare in grandi quantità: è un grasso saturo, va consumato con moderazione come già facciamo con il burro.
Ma le critiche nei confronti dell’olio di palma riguardano anche gli effetti che la sua produzione ha sull’ambiente. La crescente richiesta da parte dell’industria alimentare ha portato a una espansione delle coltivazioni senza precedenti, con conseguenze notevoli soprattutto nel Sud-Est asiatico dove si trovano le principali piantagioni: il problema riguarda prevalentemente l’Indonesia, dove i coltivatori locali incendiano ampie porzioni di foreste per creare nuovi campi. Oltre ai problemi che riguardano lo sfruttamento dei lavoratori nelle piantagioni, le monocolture della palma hanno devastato la biodiversità di alcuni territori del Sud-Est asiatico, e compromettono in alcuni casi la possibilità degli abitanti di essere autosufficienti con la coltivazione di altri vegetali.
Nel 2015 in Italia un gruppo di aziende e associazioni ha costituito l’Unione Italiana per l’Olio di Palma Sostenibile con diversi obiettivi: rendere sostenibile la produzione dell’olio di palma, che deve essere tracciabile dalla sua origine, prodotto senza ulteriore deforestazione, non più da coltivazioni ottenute da incendi volontari e promuovendo lo sviluppo dei produttori locali e indipendenti. Ma dopo le campagne di sensibilizzazione molte persone non sono più disposte a comprare prodotti con l’olio di palma, e preferiscono quelli che dichiarano fin dalla confezione di non includerlo. Per questo oggi è più complicato e costoso trovarlo sul mercato rispetto al passato.