Cosa succede agli abiti dopo le sfilate
Sono pezzi unici che fanno da modello alla produzione e vengono spediti in tutto il mondo per essere fotografati e indossati dalle celebrità
di Arianna Cavallo
L’8 marzo si è conclusa la stagione delle sfilate in cui le più importanti aziende di moda hanno presentato a New York, Londra, Milano e infine Parigi le collezioni di ready-to-wear (cioè di abbigliamento non fatto su misura ma prodotto in taglie standard, quello che si trova nei negozi) per l’autunno e inverno 2022/2023. I social network sono ancora pieni delle immagini dalle passerelle, ma gli abiti che ne sono stati protagonisti sono già trascinati nel turbinio della vita lunga e indaffarata che li attende.
Nei prossimi mesi, infatti, saranno ispezionati dai buyer (cioè le persone che scelgono capi e accessori per negozi e rivenditori), faranno da modello per la produzione, verranno fotografati per le pubblicità del marchio e indossati da personaggi famosi per i red carpet e da modelle e modelli per i servizi di moda di mezzo mondo. Infine, verranno conservati nell’archivio dell’azienda: qui faranno da spunto agli stilisti per le collezioni successive ma potranno anche riuscire per essere esposti nelle mostre dei musei o indossati da nuove celebrità.
Gli abiti delle sfilate sono, insomma, qualcosa di estremamente prezioso e versatile, custodito con estrema cura, sottoposto a spostamenti continui e a un incessante lavoro di adattamento sui corpi di modelli, influencer e personaggi famosi. Sono tutti prototipi e nel loro insieme costituiscono il cosiddetto campionario, che «rappresenta la matrice della collezione ed è utilizzato come modello per la produzione da cui si ricavano le varie taglie (anche per questo di solito non sfilano taglie diverse) e per realizzare i servizi fotografici» spiega Maria Luisa Frisa, tra le più importanti critiche di moda e curatrici italiane, docente all’Università Iuav di Venezia e autrice di vari libri tra cui Le forme della moda, appena ristampato da Il Mulino.
La trafila prevede che, dopo la sfilata, gli abiti vengano impacchettati e portati in uno showroom commerciale allestito per i buyer, dove si svolge la cosiddetta campagna vendite che dura circa tre settimane. Molti buyer asiatici e americani saltano le sfilate di Milano e seguono soltanto quelle successive di Parigi, per cui alcuni marchi preparano uno showroom in Italia, poi in Francia e poi di nuovo a Milano per gli ultimi appuntamenti con i buyer che vogliono rivedere gli abiti e confermare gli ordini. A quel punto i vestiti che hanno superato il minimo di ordini vengono mandati in produzione. È in questo momento che ci si rende conto di eventuali migliorie da apportare e che vengono ultimati i capi che «sono stati mandati in passerella che non erano stati finiti in tempo», spiega Frisa.
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Altre volte lo showroom commerciale è preceduto da un lavoro di selezione «dell’ufficio merchandising per capire la strategia commerciale, per decidere quali look andranno in produzione e quali invece rimarranno solo come parte della sfilata», racconta Cristina Dainotti, che lavora come manager delle vendite di un marchio italiano. Non tutti gli abiti delle sfilate, infatti, sono destinati al commercio ma alcuni, particolarmente scenografici sono pensati solo per le passerelle – come per esempio quello ad arpa di Moschino che ha sfilato a Milano lo scorso febbraio – e diventeranno pezzi d’archivio del marchio. Dainotti spiega che «molto dipende dai marchi – alcuni fanno sfilate da 180 look e altri da 60 – ma di solito va in produzione circa il 30 per cento di quanto mostrato in passerella». I marchi più piccoli invece propongono già in sfilata un campionario contenuto per orientare i compratori: realizzare tanti abiti diversi in piccole quantità è costoso e va incontro a potenziali ritardi perché i produttori danno la priorità alle aziende più grosse.
«Immediatamente dopo la sfilata sono fissati anche i servizi fotografici per la campagna pubblicitaria che finisce sui giornali» spiega Frisa. Si iniziano quindi a prendere gli appuntamenti per i servizi delle riviste, soprattutto della stampa americana e britannica che lavora con molto anticipo, e con le celebrità e gli influencer. Capita anche che i celebrity stylist – cioè le persone che scelgono i vestiti per le persone famose – facciano subito richiesta di un abito da indossare agli eventi o ai red carpet: «Dopo la sfilata abbiamo già avuto parecchie richieste per tre vestiti di ACT N°1, in particolare quelli in tulle rosso o nero con il bustier» spiegano per esempio da Next Agency, un’agenzia milanese che cura la comunicazione di importanti aziende di moda tra cui Vitelli e Marco Rambaldi, alcuni dei marchi emergenti delle ultime settimane della moda di Milano.
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In realtà «non c’è una successione cronologica precisa», spiega Frisa: più che una sequenza ordinata, la gestione di queste fasi è piena di interruzioni, cambi di programma e aggiustamenti dettati dalle contingenze e dalle priorità. Inoltre c’è una grossa differenza tra la maggior parte delle aziende, che utilizzano un unico campionario, e quelle più grandi che hanno i mezzi per replicarlo due o tre volte e possono lavorare con lo stesso modello su più fronti. Chi ha la possibilità, destina di solito un campionario alla vendita e un altro alla stampa, oppure li disloca su due aree geografiche diverse. Tra questi per esempio c’è Moschino, che ha due campionari: uno va in sfilata e poi viene spartito tra Milano e la sede di Londra per le richieste dall’Europa e dall’Asia, l’altro viene spedito agli uffici di New York e soddisfa le richieste dall’America.
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La frenetica gestione degli spostamenti da un continente all’altro degli abiti destinati a riviste e influencer è affidata all’ufficio stampa dell’azienda di moda e ai PR delle agenzie di comunicazione, che non solo stabiliscono a chi prestare i vestiti e con quale priorità, ma devono anche sapere in ogni istante dove si trovano ed essere eventualmente in grado di recuperarli.
A volte gli uffici stampa ricevono le richieste di un capo ben preciso, accompagnato anche da scarpe e accessori, altre volte chiedono qualche suggerimento di vestiti a partire da un tema. Poi forniscono tutti i dettagli del servizio fotografico: il giorno in cui sarà scattato, chi sarà il fotografo, lo stylist, i modelli e l’indirizzo in cui spedire i capi. Fino a qualche tempo fa gli stylist editoriali e i fashion editor delle riviste – cioè le persone che decidono che capi usare nei servizi di moda e quelle che stabiliscono i contenuti di moda di una rivista – si mettevano in coda per l’outfit che avevano scelto, ma ora le cose sono cambiate: spesso si fanno 3-4 richieste diverse oppure si domanda ai marchi dei capi che corrispondano a un tema.
Cecilia Broschi, assistente stylist per un’importante rivista di moda, spiega che per confezionare un servizio editoriale «fai una ricerca di tendenze e la metti insieme a quello che ti è piaciuto durante le sfilate, quindi decidi il tema, il fotografo, dove scattare e inizi a mandare le richieste ai PR dei marchi». Se un outfit è già fuori per un prestito, spiega Leila Palermo, la fondatrice di Next Agency, «facciamo delle proposte alternative perché spesso c’è qualcosa di simile in collezione “fuori sfilata”: per esempio con Marco Rambaldi se non c’è un preciso outfit con la gonna e la maglia, possiamo proporre delle varianti di colore diverso. Parallelamente gestiamo anche un’agenda di appuntamenti nel nostro showroom in cui gli stylist possono scegliere cosa è disponibile, così spesso riusciamo a far girare tutto il campionario».
È chiaro che le grandi riviste hanno la precedenza, ma in generale si cerca di accontentare tutti, per esempio se un capo sarà spedito oltreoceano e non sarà disponibile per svariate settimane, i PR lo prestano prima della partenza per alcune ore per un servizio più vicino. Spesso accade che le richieste di un outfit si accavallino e può succedere che gli stylist di riviste diverse collaborino tra di loro: sempre Palermo racconta che «una volta un outfit di Fausto Puglisi è rimasto tra New York e Los Angeles per quasi due mesi: l’avevamo mandato a New York e gli stylist se lo passarono tra loro prima di farlo rientrare a Milano».
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In questa intricata gestione di spedizioni per la stampa, si aggiunge il panorama di celebrità e influencer. Alcuni personaggi famosi che partecipano a eventi particolarmente importanti possono indossare degli abiti prima che vadano in produzione e che si trovino nei negozi (come l’attrice Ariana DeBose, che ai Costume Designers Guild Awards di inizio marzo ha indossato un abito di Moschino portato in passerella da Bella Hadid pochi giorni prima a Milano). Agli influencer, invece, i capi vengono prestati mesi dopo, nella stagione a cui sono destinati, per invogliare le persone a comprarli nei negozi dove sono appena arrivati. Per lo stesso motivo non si tratta quasi mai di abiti da sera – riservati alle celebrità – ma più sportivi, quotidiani ed economici.
Questo meccanismo ha allungato la vita del campionario. La stampa infatti scatta i servizi per l’autunno-inverno da metà aprile a giugno (la cosiddetta stagione lunga) e quelli per la primavera-estate tra ottobre e novembre (la stagione corta); ora la prima si protrae fino a settembre-dicembre e la seconda fino a luglio-agosto, cioè quando gli influencer indossano i vestiti. Significa che l’ufficio stampa gestisce due campionari contemporaneamente.
Le difficoltà ci sono anche per gli stylist, alle prese con l’ansia di non ricevere i capi in tempo per i servizi fotografici: «i corrieri sono la tua croce, stai più al telefono con Fedex, UPS e DHL che con tua madre» spiega sempre Broschi. «Per farmi arrivare i vestiti stresso il PR finché non mi conferma che avrà l’abito per il giorno del servizio, ma i vestiti sono sempre in mano ai corrieri. Mi è capitato più volte di recuperare dei look in giacenza: magari arrivano ma c’è la mancata consegna perché eri fuori a pranzo o hanno citofonato al numero sbagliato; tu richiami il corriere ma intanto ti hanno fissato la consegna per il giorno dopo, solo che è troppo tardi perché tu devi prendere il volo e andare sul luogo del servizio. Allora prendi la macchina, vai all’hub di FedEx a Lainate e speri che il pacco sia lì».
«Quando lavoravo con Vogue Giappone – continua Broschi – dei vestiti non partirono a causa del maltempo e rimasero per una settimana nel container dell’aeroporto di Tokyo; alla fine abbiamo dovuto scattare senza. Una volta una mia collega doveva andare alle Canarie a scattare un servizio per Fendi ma il pacco con gli abiti era andato in giacenza il giorno prima della partenza; prima di imbarcarsi va all’hub vicino a Malpensa e quando entra tutti iniziano ad applaudire: per garantirsi la consegna quelli di Fendi avevano chiamato e raccontato che lì c’era il suo abito da sposa perché stava andando a sposarsi alle Canarie».
Gli stylist sono anche responsabili di eventuali danni: «noi stiamo molto attenti ma capita che le cose si rovinino, per esempio una volta abbiamo scattato con una ragazza molto curvy, le abbiamo messo dei leggings di lattice che si sono rotti, ma non ci sono stati problemi: non mi è mai successo che mi abbiano chiesto di pagare». Esistono delle assicurazioni ma sono utilizzate soprattutto per i gioielli.
Molti mesi dopo la sfilata quasi tutti gli abiti rientrano in sede. Alcuni finiscono nelle svendite interne destinate a dipendenti, giornalisti e addetti del mondo della moda, come quella nota di Armani che si tiene a Vertemate, vicino Como. Altri – soprattutto gli accessori come le scarpe o le borse, di cui ci sono molte copie – finiscono negli outlet. I grandi marchi in genere ripongono il campionario in magazzino o in archivio. Il gruppo Prada, per esempio, custodisce i look della collezione da donna, da uomo e di MiuMiu donna dal 1990, oltre ad alcuni capi realizzati per film e progetti artistici; Moschino ha un archivio a Milano con i capi di tutte le collezioni di Jeremy Scott, direttore creativo dal 2013.
Gli archivi sono molto importanti per conservare la storia dell’azienda, come fonte di ispirazione per le collezioni future e anche come bacino di ripescaggio di capi iconici. Molti abiti, infatti, vengono richiesti per le mostre dai musei di tutto il mondo oppure vengono riutilizzati per i red carpet. Per esempio durante l’ultima edizione del Festival di Sanremo, Moschino ha vestito il duo la Rappresentante di Lista con pezzi d’archivio di diverse collezioni, riprendendo e riadattati gli stessi abiti che avevano sfilato nelle stagioni passate.
Lo scorso settembre Marco Mengoni, ospite del programma televisivo Da grande di Alessandro Cattelan, ha indossato lo stesso completo di Giorgio Armani che aveva Richard Gere nel film American Gigolo, del 1980.
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Maria Luisa Frisa racconta infine che alcuni abiti originali, come quelli della famosa collezione Mondrian di Saint Laurent o la bar jacket con la gonna a corolla di Christian Dior, vengono ripresi continuamente nelle mostre dei musei più importanti al mondo: «non sono solo un riferimento per la moda ma per la cultura contemporanea in generale».