Perché la guerra non sta andando come voleva la Russia
Putin voleva conquistare l'Ucraina in un paio di giorni, ma una serie di errori e un'inaspettata resistenza hanno stravolto i suoi piani
di Elena Zacchetti
Nelle ultime due settimane i racconti dalla guerra in Ucraina si sono riempiti di immagini di carri armati russi abbandonati e distrutti ai lati della strada, di resoconti sulle città ucraine che respingono le forze nemiche, di notizie di migliaia di soldati russi uccisi nei combattimenti, e in generale di un’offensiva militare in grande difficoltà. Il piano su cui aveva inizialmente puntato il presidente russo Vladimir Putin è clamorosamente fallito: la sua “guerra lampo”, con la rapida conquista delle principali città ucraine e la sostituzione del presidente Volodymyr Zelensky con un governo “fantoccio” filorusso, è sfumata nei primi giorni di conflitto, che nel frattempo è diventato qualcosa che ricorda gli assedi e i bombardamenti in Cecenia e in Siria.
Il fatto che l’avanzata russa abbia rallentato così tanto, fino quasi a fermarsi, ha stupito non solo molti analisti, ma anche i governi di diversi paesi occidentali: ci si aspettava una netta superiorità militare della Russia, anche per effetto degli enormi investimenti fatti nell’ultimo decennio per trasformare l’esercito russo in una forza più moderna, più agile, meglio armata e formata da professionisti.
Le cose però non sono andate così, per diverse ragioni: per l’inaspettata resistenza ucraina, che ha beneficiato dell’arrivo di una quantità di armi che «potrebbe essere senza precedenti in una grande guerra moderna», e per una serie lunghissima di errori russi, che hanno coinvolto tra le altre cose la logistica e alcune decisioni militari che si sono rivelate disastrose. Tutto questo non significa però che la Russia sia destinata a perdere la guerra: diversi analisti militari sostengono che stia imparando dai propri errori e che stia riorganizzando le proprie forze.
Gli inesperti soldati russi che non sapevano di essere in guerra
La debolezza più riconoscibile e immediata della Russia, e infatti raccontata già durante i primi giorni di guerra, è stata l’ampia presenza nell’esercito di coscritti e riservisti, spesso giovanissimi e senza esperienza. Soldati russi fatti prigionieri dagli ucraini hanno raccontato di non essere stati informati sull’importanza della loro missione, e alcuni hanno addirittura sostenuto di avere creduto che l’operazione militare fosse in realtà un’esercitazione.
Nonostante sia difficile verificare questi racconti, l’ipotesi che alcune delle truppe ammassate al confine con l’Ucraina prima dell’invasione fossero completamente ignare dei piani di guerra viene considerata oggi credibile: sembra infatti che l’operazione sia stata pianificata da Putin e da un piccolo gruppo di consiglieri, e condivisa con pochissime altre persone.
C’è poi un’altra cosa: l’esercito russo si è trovato di fronte una resistenza inaspettata e tenace. Ha avuto certamente un ruolo il presidente ucraino Zelensky, che rifiutandosi di andarsene da Kiev è diventato subito una specie di eroe nazionale e internazionale, ma non solo: l’hanno avuto anche le unità di difesa cittadine e le milizie indipendenti, organizzate in fretta e furia e presto in grado di respingere diverse offensive russe.
Come spesso succede in guerra, la differenza di motivazioni e di morale tra i due schieramenti si è via via fatta maggiore, diventando un fattore non trascurabile. Gli ucraini hanno preso forza, aiutati dalle armi mandate dalla NATO, mentre molti soldati russi si sono demoralizzati, anche perché si aspettavano un’accoglienza diversa dalla popolazione ucraina: credevano che sarebbero stati accolti da “liberatori”, perché cosi aveva sostenuto incessantemente la propaganda russa.
Come ha scritto su Bloomberg James Stavridis, ex comandante supremo delle Forze NATO e del comando statunitense in Europa, «i generali russi si aspettavano che gli ucraini li avrebbero accolti con fiori e vodka, non con proiettili e bombe molotov».
La vulnerabilità dei carri armati e degli altri mezzi militari
Uno dei problemi più grossi che ha incontrato l’esercito russo finora è stata la vulnerabilità dei propri carri armati e di tutti gli altri mezzi corazzati e non, tra cui i furgoni carichi di rifornimenti di cibo e munizioni per le linee più avanzate. Anche qui qualcosa non ha funzionato.
Anzitutto la convinzione di poter rovesciare il governo di Zelensky in una “guerra lampo”, sfruttando il fattore sorpresa e senza incontrare resistenza, ha fatto sì che i mezzi russi si dirigessero verso le città con pochi soldati a protezione, di fatto rendendo i convogli estremamente vulnerabili ad attacchi laterali compiuti con armi anticarro.
È una dinamica che ha coinvolto anche la logistica, ed è continuata dopo che era diventato evidente che non ci sarebbe stata alcuna conquista di Kiev in soli due giorni. Secondo esperti militari citati dal Wall Street Journal, fallendo la conquista delle città da cui passano gli importanti snodi ferroviari dell’Ucraina, i russi sarebbero stati costretti a continuare il trasporto di rifornimenti e soldati via strada, lasciando i convogli in una situazione di vulnerabilità. Sono inoltre circolate anche molto foto e video di convogli apparentemente bloccati perché senza più carburante, o per i guasti ai mezzi che ne facevano parte.
Che i soldati ammassati al confine non sapessero quello che stava per succedere, hanno scritto poi Henry Foy e Ian Bott sul Financial Times citando fonti di intelligence occidentali, ha fatto sì che l’invasione iniziasse in maniera improvvisa con mezzi non sottoposti alla necessaria manutenzione e con pneumatici e cingoli di bassa qualità. Questo ha reso rischiose o impossibili le manovre fuori dalle strade principali, e allo stesso tempo ha permesso alla resistenza ucraina di muoversi liberamente nello spazio ai lati delle strade: nei boschi, nei campi coltivati, nei piccoli paesini, dove i mezzi militari russi non potevano arrivare.
Per la resistenza ucraina queste condizioni sono diventate presto un’opportunità, soprattutto grazie all’arrivo massiccio di armi anticarro provenienti dai paesi della NATO: «il flusso di missili anticarro mandati in Ucraina ha potenzialmente cambiato il corso della guerra», ha scritto Marc Champion su Bloomberg.
Tra le armi più usate e più preziose ci sono state finora i Javelin, arma anticarro portatile di produzione statunitense che ha un sistema di guida automatica ad infrarossi e che permette a chi la usa di scappare appena dopo avere sparato, riuscendo a mettersi al riparo ben prima dell’esplosione o a prepararsi rapidamente per un nuovo lancio. La NATO aveva iniziato a mandare i Javelin in Ucraina prima dell’invasione, per permettere ai militari occidentali di insegnare il loro funzionamento a quelli ucraini. Oggi i Javelin vengono definiti «lo scheletro della resistenza».
Tra le armi usate contro i mezzi corazzati russi ci sono anche i NLAW, sistemi missilistici anticarro di nuova generazione sviluppati congiuntamente da Regno Unito e Svezia, che però sparano a distanze minori dei Javelin (800 metri contro 4 chilometri).
Infine sono diventati importanti i Bayraktar TB2, droni di produzione turca in grado di trasportare armi anticarro. Sono usati insieme ai Javelin e ai NLAW per colpire i mezzi corazzati russi, per esempio per fermare il lunghissimo convoglio diretto verso Kiev che per giorni era rimasto completamente bloccato per ragioni mai del tutto chiarite, prima di iniziare a disperdersi. Il loro uso è stato facilitato anche da mancanze russe, visto che in diverse occasioni le colonne di mezzi corazzati russi si sono trovate a troppa distanza dai sistemi di difesa aerei, di fatto rimanendo vulnerabili agli attacchi dei droni ucraini.
Nelle ultime tre settimane sono circolati diversi video che mostrano attacchi compiuti con i TB2 contro mezzi russi (come questo qui sotto); il New York Times ha definito questi droni «un segno della sorprendente capacità di resilienza delle forze di difesa ucraine e il problema più grande che hanno trovato di fronte a sé i russi».
Remarkable video of a TB2 striking a Buk unit which appears to be deploying somewhere. Russian Aerospace Forces not flying combat air patrols, and haven’t invested substantially in destroying Ukrainian drones. This unit itself looks unprepared. https://t.co/UidJWFYpGp
— Michael Kofman (@KofmanMichael) February 27, 2022
Il fallimento delle comunicazioni e del coordinamento di forze
Un altro grosso problema è stata la mancanza di coordinamento e comunicazione all’interno delle forze armate russe, che ha limitato la realizzazione di operazioni complesse e ha indebolito le linee di rifornimento. Diversi analisti militari, tra cui Andrew Monaghan del think tank statunitense Wilson Center, hanno sottolineato come questa debolezza fosse già stata vista in passato: «Ci sono alcuni fondamenti della storia militare russa presenti in ogni guerra che i russi combattono. Ci sono per esempio difficoltà a fare operazioni complesse, a organizzare la logistica, e difficoltà nella catena di comando e controllo». Monaghan ha poi parlato di «comandanti che si rifiutano di lavorare insieme o andare l’uno in aiuto dell’altro, provocando vittime».
La mancanza di coordinamento e di linee sicure di comunicazione sembra essere stata anche una delle cause del fallimento russo nell’attacco più importante delle prime fasi dell’invasione: quello al piccolo aeroporto militare di Hostomel, circa 25 chilometri dal centro di Kiev.
Il 24 febbraio, poche ore prima che Putin annunciasse l’invasione, un’unità speciale delle truppe russe era sbarcata da alcuni elicotteri nell’aeroporto, incaricata di prenderne il controllo e permettere il successivo atterraggio di diversi aerei con centinaia di altri soldati a bordo che si sarebbero dovuti muovere rapidamente per conquistare Kiev. L’azione russa era stata fermata da una forza di reazione rapida ucraina, che dopo essersi inizialmente ritirata era stata rimandata di corsa verso l’aeroporto assieme a gruppi di civili armati, ed era riuscita a bloccare l’atterraggio degli aerei russi. Le sorti della battaglia non erano cambiate nemmeno dopo l’arrivo della Rosgvardia, la Guardia nazionale russa, che era stata sconfitta. Secondo Monaghan, «non sembra che le forze armate abbiano comunicato bene con la Rosgvardia».
Daniele Raineri sul Foglio ha suggerito che l’inaspettata resistenza ucraina all’aeroporto di Hostomel sia da attribuire anche all’efficacia dell’intelligence americana, che dispone di vasti sistemi di intercettazione e sorveglianza e che potrebbe avere trasmesso informazioni sul piano russo agli ucraini, praticamente in tempo reale.
Quello delle comunicazioni è un tema grosso: sembra infatti che i soldati russi parlino spesso tra loro su frequenze radio non criptate e usando i telefonini, quindi sistemi più facilmente intercettabili. Il Royal United Services Institute (Rusi, il think tank militare più antico del Regno Unito) ha pubblicato un’analisi sul pessimo stato delle comunicazioni russe nella guerra, e in un passaggio ha scritto: «Le operazioni in corso in Ucraina suggeriscono che la Russia non abbia così tante radio moderne in servizio come aveva sostenuto, e che potrebbe avere fatto calcoli errati sulle esigenze che la portata e l’estensione della guerra stanno comportando nel campo delle comunicazioni».
La non supremazia aerea della Russia
L’errore più grande che avrebbe compiuto la Russia il primo giorno dell’invasione, oltre alla mancata conquista dell’aeroporto di Hostomel, è stato non riuscire a sbaragliare fin da subito le forze aeree ucraine e i suoi sistemi di difesa aerea: in altre parole, i russi non sono riusciti a ottenere la supremazia aerea.
Più di tre settimane dopo l’inizio dell’invasione, non è ancora del tutto chiaro il perché. Sulla carta, la Russia poteva contare su 1.391 aerei di guerra e 948 elicotteri, numeri decisamente superiori ai 132 aerei e 55 elicotteri ucraini.
Il 24 febbraio, nelle primissime fasi dell’invasione, la Russia aveva sparato la prima raffica di missili da crociera e balistici e aveva distrutto i principali sistemi radar per sorveglianza a lungo raggio (che sono meno precisi nell’individuare l’obiettivo ma permettono alle difese aeree di essere allertate il prima possibile), “accecando” di fatto l’aviazione militare ucraina. Aveva anche attaccato piste di decollo e vie di rullaggio delle principali basi aeree ucraine, con l’obiettivo di rendere molto più complicati i movimenti dei mezzi al loro interno. Aveva infine colpito diverse batterie antiaeree S-300P, cioè sistemi d’arma che permettono di intercettare gli aerei nemici a grandi distanze, oltre che missili balistici.
«Per le forze aeree russe, il successivo passo logico, ampiamente anticipato e visto in quasi tutti i conflitti militari a partire dal 1938, doveva essere iniziare attacchi su larga scala per distruggere l’aviazione ucraina», ha scritto il Rusi. Questo però non è successo, e non è chiaro il motivo.
Il non avere azzerato fin da subito il potere aereo ucraino, offensivo e difensivo, ha avuto conseguenze notevoli sulla guerra. La sopravvivenza dei sistemi di difesa antiaerei ha permesso per esempio all’Ucraina di continuare a minacciare gli aerei russi che volano ad alta quota, e la possibilità per i piloti ucraini di continuare a operare «è stato un importante fattore nel rafforzamento del morale che ha contribuito a consolidare lo straordinario spirito di resistenza mostrato in tutto il paese» ha scritto il Rusi.
Gli ucraini sono riusciti inoltre a essere efficaci anche contro i velivoli russi che volano a bassa quota (sotto i 4mila-3500 metri), grazie ai cosiddetti “manpads” (acronimo di Man-portable air-defense systems), sistemi missilistici antiaerei a corto raggio trasportabili in spalla, come per esempio gli statunitensi Stinger. Sono stati proprio questi sistemi i responsabili dell’abbattimento di diversi elicotteri russi, anche se non si sa con precisione quanti.
Nonostante le difficoltà, la Russia rimane comunque nettamente superiore all’Ucraina in quanto a potere aereo, ed è per questo che il presidente ucraino Zelensky sta continuando a chiedere alla NATO sistemi di difesa antiaerei e l’istituzione di una “no-fly zone”, cioè l’imposizione di un divieto di sorvolo dello spazio aereo ucraino (la NATO ha sempre detto no, perché una “no-fly zone” significherebbe di fatto entrare in guerra con la Russia). Non è chiaro nemmeno quanto l’Ucraina potrà resistere allo strapotere russo: molto dipenderà da quanto durerà la guerra, e per quanto tempo ancora l’Occidente potrà realisticamente continuare a mandare armi che le forze ucraine siano già capaci di usare.
Quindi la Russia perde la guerra?
Le difficoltà che la Russia ha incontrato hanno per ora cambiato il corso della guerra, facendo saltare il piano di Putin di conquistare l’Ucraina con un’operazione “lampo”, ma non hanno compromesso del tutto le possibilità russe di raggiungere l’obiettivo finale.
Le forze russe sono riuscite a conquistare diversi territori soprattutto nell’Ucraina meridionale e orientale, per esempio riuscendo a creare una contiguità territoriale tra la Crimea e le due repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk. Stanno assediando Mariupol, nel sud, la città finora più martoriata dai bombardamenti, e stanno cercando di farsi strada verso Odessa, nel sud-ovest. I problemi si sono visti soprattutto nel nord, nell’assalto a Kiev. Ma come hanno scritto diversi analisti, l’esercito russo sta già imparando dai suoi errori e sta riposizionando le forze in maniera da essere pronto per nuove offensive, questa volta più efficaci.
Secondo James Stavridis, ex comandante supremo delle Forze NATO e del comando statunitense in Europa, la Russia può ancora mettere in campo una certa capacità di compiere attacchi informatici contro obiettivi ucraini, che finora non si è praticamente vista; ha ancora molti soldati da mandare, forse fino a diverse centinaia di migliaia; e soprattutto ha dalla sua parte il tempo, se dovesse decidere di proseguire l’assedio e il bombardamento sistematico delle città ucraine fino a ridurle in macerie, come aveva fatto in diverse occasioni durante la guerra in Siria.
I fallimenti militari russi stanno infatti provocando una trasformazione del conflitto da “guerra lampo” a guerra con altissimi livelli di brutalità, e probabilmente destinata a durare per molto tempo, a meno che non si verifichino particolari condizioni politiche che spingano Putin a fermarsi (condizioni che oggi non sembrano esserci).
Anche se le forze russe dovessero imporsi su quelle ucraine, infatti, difficilmente si arriverebbe alla fine delle ostilità. Diversi analisti militari sostengono che la resistenza ucraina potrebbe bloccare le forze russe per anni, cosa che renderebbe estremamente difficile per la Russia raggiungere il suo obiettivo militare dichiarato all’inizio dell’invasione: sostituire Zelensky con un governo “fantoccio” e stabilire un controllo effettivo sulla popolazione ucraina.