Un pezzo della guerra in Ucraina è su Telegram
L'app di messaggistica fondata da un russo è usata per scambiarsi informazioni e video, ma è anche un mezzo della propaganda
Nelle ultime settimane l’app di messaggistica istantanea Telegram è diventata una fonte di informazioni e comunicazioni fondamentale sia in Ucraina, dove la popolazione può affidarsi sempre meno a radio e televisione per via degli attacchi alle infrastrutture, che in Russia, dove le notizie sulla guerra che passano dai media nazionali sono filtrate dalla censura e dalla propaganda governativa. La piattaforma, già molto diffusa nell’Est Europa prima della guerra, continua però ad avere grossi problemi con la disinformazione, e non è l’app di messaggistica più sicura a cui possa ricorrere chi organizza la resistenza a un’invasione, né chi si oppone a un governo autoritario.
Telegram fu fondata dall’imprenditore russo Pavel Durov e dal fratello Nikolai nel 2013, e benché sia principalmente considerata un’applicazione di messaggistica che fa concorrenza a WhatsApp o Signal offre diverse funzionalità che ricordano un social network vero e proprio. A caratterizzare Telegram sono in particolare le sue chat di gruppo, che possono accogliere fino a 200 mila membri, e i canali, che sono dei flussi di post e link pubblici o privati, spesso tematici, dove una singola persona o un’organizzazione può inviare immagini, foto e video agli iscritti. I canali possono essere seguiti da un numero illimitato di persone.
Grazie a queste funzioni, e al fatto che l’azienda tende a moderare i contenuti all’interno della piattaforma il meno possibile, rifiutandosi sistematicamente di collaborare con i governi che richiedono informazioni sui suoi utenti, Telegram negli anni è diventata il punto di riferimento per attivisti, movimenti di protesta e organizzazioni più o meno clandestine di ogni tipo, dai manifestanti per la democrazia ad Hong Kong ai suprematisti bianchi, dagli antivaccinisti all’opposizione in Iran e Bielorussia.
La piattaforma è usata da oltre 550 milioni di persone al mondo, e già prima della guerra era l’app di messaggistica più diffusa in Ucraina, adottata da circa il 70% della popolazione. Con lo scoppio della guerra, Telegram sta svolgendo un ruolo centrale sia come fonte di notizie per gli utenti russi e ucraini che hanno difficilmente accesso ad altri media, sia come mezzo di comunicazione preferito da giornalisti e autorità statali, sia come veicolo di propaganda e disinformazione.
Chechen leader Razman Kadyrov, one of Vladimir Putin's most prominent allies, is using Telegram to document his paramilitary troops' actions in Ukraine.
One thing is missing though: Evidence of actual bravery on the battlefield.
Read the story: https://t.co/31cl24xC2D pic.twitter.com/jt4cFUISRc
— POLITICOEurope (@POLITICOEurope) March 17, 2022
I blackout intermittenti delle telecomunicazioni e le interruzioni del servizio elettrico in Ucraina rendono l’applicazione particolarmente preziosa come fonte di informazione. «Le persone copiano e incollano interi articoli su Telegram in modo da non dover utilizzare la larghezza di banda per accedere a un secondo link» racconta Joan Donovan, direttrice della ricerca presso lo Shorenstein Center on Media, Politics, and Public Policy.
Il giornale digitale indipendente in lingua inglese Kyiv Independent ha introdotto il suo canale Telegram il 24 febbraio, a poche ore dall’invasione, e da allora ha già superato i 50mila iscritti. Uno dei canali più seguiti del Paese, @COVID19_Ukraine, che fino a febbraio condivideva dati e informazioni attendibili sulla pandemia nel Paese e le indicazioni del governo, con il consenso degli iscritti ha cambiato nome in @UkraineNOW. Oggi fornisce informazioni verificate sulla guerra 24 ore su 24, conta oltre un milione di iscritti e ottiene circa 8 milioni di visualizzazioni al giorno. Il 27 febbraio, gli organizzatori del canale hanno creato versioni in inglese, tedesco, francese, italiano, spagnolo e polacco.
A usare sapientemente l’app sono anche diversi membri del governo ucraino, a partire dal presidente Volodymyr Zelensky, che aveva già condotto su Telegram parte della propria campagna elettorale del 2019 e che sull’app è seguito da oltre 1,5 milioni di persone. Nel suo canale ufficiale, Zelensky pubblica quotidianamente video e aggiornamenti sulla guerra e consigli pratici per mettersi al sicuro, oltre ad appelli in cui chiede alla popolazione di resistere: il 26 febbraio l’aveva per esempio usato per mostrare di essere ancora nella capitale, in risposta alle voci secondo cui aveva lasciato il paese ordinando all’esercito di arrendersi.
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Il sindaco di Kiev Vitali Klitschko e il ministro della transizione digitale Mykhailo Fedorov hanno a loro volta dei canali seguitissimi. Fedorov, che nelle ultime settimane sta guidando una campagna volta a portare le grandi aziende tecnologiche dalla parte dell’Ucraina per isolare digitalmente la Russia, ha usato Telegram anche per coordinare gli hacker che si sono offerti di aiutare il paese con attacchi informatici mirati.
Oltre alle comunicazioni sull’andamento del conflitto, sull’applicazione si possono trovare indicazioni per raggiungere i rifugi antiaerei o lasciare il paese in sicurezza, istruzioni per costruire bombe molotov, cercare parenti e amici dispersi. Ma anche tanta disinformazione e propaganda russa.
Telegram, come anche le altre grandi aziende tech, ha bandito in molti paesi i canali del media statale controllato dal Cremlino Russia Today in ottemperanza alle sanzioni europee, ma RT rimane accessibile sulla piattaforma sia in Russia che in Ucraina. Il 6 marzo, poi, il vice primo ministro russo Dmitry Chernyshenko ha consigliato pubblicamente alle agenzie governative di aprire canali su Telegram.
Il 28 febbraio, il fondatore di Telegram Pavel Durov ha pubblicato sul proprio canale pubblico in russo un post in cui esprimeva le sue preoccupazioni rispetto al fatto che l’applicazione stesse diventando «sempre più una fonte di informazioni non verificate». Durov ha sottolineato di non volere che la piattaforma venga usata per aggravare il conflitto o «incitare all’odio etnico», e ha accennato alla possibilità di interrompere il servizio in Russia e Ucraina fino alla fine del conflitto. Dopo mezz’ora ha cambiato idea.
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Il rapporto di Durov con il governo russo è travagliato. Nel 2013 il programmatore era stato allontanato dal social network che aveva creato, VKontakte (a cui ci si riferisce talvolta come “il Facebook russo”) dopo essersi rifiutato di consegnare al governo russo i dati personali degli utenti che avevano manifestato nelle proteste ucraine note come Euromaidan. L’anno precedente, VKontakte era stato centrale anche nell’organizzazione di proteste contro il governo del presidente russo Vladimir Putin: anche in quell’occasione, Durov non aveva voluto censurare i post dei manifestanti.
Durov aveva quindi abbandonato la Russia e si era dedicato completamente a Telegram, che nel 2018 era stato bandito temporaneamente in Russia perché l’azienda si era rifiutata di fornire al Servizio di sicurezza federale le chiavi per decifrare i messaggi scambiati dagli utenti all’interno dell’app. Durante le elezioni parlamentari russe del 2021, però, Telegram aveva acconsentito a rimuovere uno strumento perfezionato dal comitato elettorale dell’oppositore Alexei Navalny, un bot che consigliava agli elettori i candidati con più possibilità di battere quelli di Putin. Durov aveva definito la scelta «triste», attribuendola però alle richieste di Apple e Google di adeguarsi alle leggi russe sul silenzio elettorale, spiegando che Telegram è troppo dipendente dalle due piattaforme per fare diversamente.
Ancora oggi, chi si oppone alla guerra e al governo in Russia tende a rivolgersi a Twitter o Telegram, dove è possibile scambiarsi petizioni, sostenere i manifestanti arrestati dalla polizia, restare in contatto con gli amici e parenti che hanno lasciato il paese e accedere a fonti di informazione che non ripetano la propaganda del Cremlino. Diverse testate in queste settimane sono infatti state costrette a chiudere perché non seguivano le indicazioni del governo, che impedisce di definire ciò che sta accadendo “guerra” o “invasione”, costringendo chi vuole continuare a parlarne a chiamarla ”operazione militare speciale”.
Su Telegram, il canale russo OVD-Info si è specializzato nel tenere il conto di quante persone sono state arrestate durante le proteste contro la guerra. I manifestanti rischiano multe che vanno dai 2 mila ai 300 mila rubli (tra i 17 e i 2.500 euro) e fino a trenta giorni di detenzione. OVD-Info riceve informazioni direttamente da chi è sul posto, che può chiamare o inviare messaggi su Telegram per comunicare il numero di detenuti sui veicoli della polizia o nelle caserme, oltre a denunciare i casi di violenza delle forze dell’ordine.
Anche alcuni media occidentali utilizzano Telegram per raggiungere gli utenti russi. Il New York Times ha da poco inaugurato un canale dedicato soltanto alle notizie sulla guerra. Il Guardian, invece, esorta chiunque voglia condividere notizie o esperienze dal fronte a contattare il giornale sulla piattaforma.
Benché l’applicazione venga descritta da anni come lo spazio perfetto per attivisti, giornalisti, politici ed altri utenti che richiedono un particolare livello di riservatezza e protezione, però, gli esperti di sicurezza informatica sottolineano da anni che Telegram non è la migliore opzione a cui affidarsi in questi casi.
L’idea che Telegram sia un servizio particolarmente sicuro è molto diffusa, ma inesatta. «Creare un falso senso di sicurezza attorno alle comunicazioni che in realtà non sono completamente protette può incoraggiare le persone a esporre informazioni altamente sensibili che altrimenti avrebbero indirizzato attraverso altri canali» avverte Carolyn Tackett dell’associazione non profit Access Now, che si occupa di diritti civili digitali.
Telegram non applica la crittografia end-to-end — ovvero il massimo standard al momento esistente per la protezione delle comunicazioni — a tutte le conversazioni che avvengono al suo interno. Per usufruirne è necessario avviare una chat segreta con ogni singola persona con cui si messaggia. I grandi gruppi e i canali non sono protetti da crittografia end-to-end, il che vuol dire che i messaggi al loro interno sono più esposti ad eventuali attacchi hacker o richieste di accesso da parte dei governi.
La società dice di avere una struttura distribuita in vari Stati in modo che per decrittare i dati archiviati nel proprio cloud sia necessario avanzare una richiesta legale in molte giurisdizioni diverse. I principali rivali di Telegram, WhatsApp e Signal, hanno invece aggiunto la crittografia end-to-end per i messaggi di testo di gruppo, rinunciando però ad ospitare gruppi enormi come fa Telegram.
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Per proteggere al meglio i propri utenti in Ucraina e Russia, diverse società di tecnologia hanno rinforzato la sicurezza delle proprie componenti di messaggistica nelle ultime settimane: Meta ha rilasciato una funzione che permette di scambiarsi messaggi cifrati dalla crittografia end-to-end su Instagram in Ucraina e Russia, e Twitter ha deciso di rendere più facile accedere ai propri servizi usando Tor, uno strumento che rende molto più difficile tracciare l’attività su Internet di un utente.
C’è un servizio che, su tutti, viene consigliato come alternativa effettivamente sicura a Telegram: Signal, l’applicazione di messaggistica istantanea centralizzata creata dall’anarchico Moxie Marlinspike nel 2014. In Ucraina, Signal non è sicuramente diffusa quanto Telegram, ma la società che si occupa di sicurezza informatica Cloudflare ha notato che, quattro giorni dopo l’inizio della guerra, il traffico diretto verso Signal dall’Ucraina ha superato per la prima volta quello diretto verso Telegram.
Come fa notare l’associazione non profit Electronic Frontier Foundation, «per molti ucraini, le specificità delle comunicazioni crittografate non sono probabilmente la massima priorità in questo momento»: più importante è riuscire ad accedere ad informazioni vitali e restare in contatto con i propri cari. Per attivisti, soldati, funzionari governativi e giornalisti che scambiano informazioni sensibili, però, la questione è diversa. Per loro, «potrebbe essere più saggio passare a una piattaforma diversa per determinati tipi di comunicazioni ad alto rischio».