La Moldavia non era pronta
Uno dei paesi più poveri in Europa è attraversato da un flusso enorme di profughi ucraini: ma in qualche modo se la sta cavando
di Luca Misculin con foto di Valentina Lovato
Quando i primi profughi ucraini hanno attraversato a piedi la frontiera moldava di Palanca, un paese di una ventina di case basse poco lontano dalle coste del Mar Nero, l’invasione russa era appena iniziata. «Le nostre stime indicavano che nel caso peggiore avremmo potuto accogliere al massimo 15mila persone», ha raccontato Eugeniu Sinchevici, un giovane parlamentare moldavo che in quei giorni partecipava alla task force del governo per accogliere i primi ucraini fuggiti dalla guerra.
A tre settimane dall’inizio dell’invasione russa sono invece arrivate in Moldavia più di 350mila persone: circa 250mila sono ripartite verso ovest, mentre altre 100mila hanno scelto di rimanere qui, almeno per il momento. Per avere un termine di paragone: è come se a Roma in meno di un mese arrivassero 130mila nuovi abitanti.
La Moldavia non era preparata per gestire una tale quantità di persone, e del resto non poteva esserlo. Ha appena 2,6 milioni di abitanti, è il paese col PIL pro capite più basso in Europa, e da trent’anni fa i conti con una regione separatista filorussa, la Transnistria, che non riconosce l’autorità del governo centrale. Appoggiato da una rete di ong locali e internazionali, agenzie governative e paesi stranieri, il governo moldavo ha comunque avviato uno sforzo collettivo impressionante.
In Moldavia sono arrivate persone che scappavano soprattutto dalle città del sud dell’Ucraina che ormai da settimane sono bombardate dalle forze russe, con nomi che stiamo imparando a conoscere – Melitopol, Mykolaiv, Kherson – ma anche da città risparmiate dai combattimenti, almeno per il momento, come Odessa.
La quasi totalità di queste persone ha superato il confine fra Ucraina e Moldavia in una zona paludosa creata dalla foce del fiume Dniester, e fino a un mese fa assai poco frequentata.
Dopo una settimana di flussi irregolari e aiuti un po’ improvvisati, dall’inizio di marzo si è creato un sistema informale che vive però di meccanismi precisi, che si ripetono ogni giorno.
Una volta messo piede in Moldavia, i profughi vengono caricati a bordo di pulmini messi a disposizione dalle ong, dalla chiesa, dai pompieri e dal governo, e trasportati a due chilometri di distanza in uno spiazzo ai margini del paese di Palanca. Da qui partono i pullman che permettono di raggiungere la tappa successiva: i mezzi più piccoli portano a Chișinău, la capitale, dove si può scegliere se rimanere nel paese oppure no; mentre quelli grandi, ben più richiesti, portano a ovest verso altri paesi europei.
I pullman non partono a orari regolari, e l’attesa viene riempita nel tentativo di soddisfare le esigenze primarie dei profughi. Ognuno si è dato dei compiti precisi.
L’ong italiana INTERSOS gestisce una clinica mobile per chi ha bisogno di un medico. Moldova For Peace, un cartello di associazioni giovanili che ha affiancato il governo moldavo nella prima accoglienza, si occupa di facilitare il trasporto da e per lo spiazzo. L’agenzia ONU per i rifugiati ha fornito dei funghi termici, essenziali in un posto in cui la temperatura si aggira intorno allo zero. In vari punti dello spiazzo sono state attrezzate delle reti Wi-Fi per permettere di usare WhatsApp.
Nella tenda principale un gruppo di volontarie distribuisce montagne di cibo, preparato da altre persone ancora. Alcune di loro provengono dalla Transnistria, un posto dove il governo autonomo ha da poco chiesto alla Russia di riconoscere il suo status di entità indipendente. Valentina, che ha fatto la badante in Italia e parla un ottimo italiano, mostra a chi è disposto ad ascoltarla un video trovato su Facebook di un noto complottista italiano, Franco Fracassi, in cui vengono spiegate le presunte responsabilità del governo ucraino nelle notizie false che circolano sulla guerra in corso.
L’atmosfera non sembra troppo cupa: le volontarie che distribuiscono il cibo scherzano fra loro e sorridendo distribuiscono porzioni generosissime di plăcintă, una specie di pasta sfoglia imbottita, onnipresente nella cucina moldava.
I problemi però non mancano. Fausta Micheletta, esperta di medicina d’urgenza di INTERSOS, racconta che in questi giorni sono passate da lei decine di anziani che avevano finito i farmaci per curare il diabete o l’ipertensione, bambini infreddoliti, e giovani donne in difficoltà psicologica. «Si prendono in braccio i bambini, li portano via facendo la faccia tosta, poi arrivano qui e crollano», racconta Micheletta.
Un giovane volontario di ACTED, una grossa ong francese, dice che da qualche notte non dorme bene: le scene che vede di giorno allo spiazzo gli fanno venire gli incubi.
Fin dai primi giorni della guerra in tutta la Moldavia sono stati aperti centri pubblici che potessero accogliere quante più persone possibili. A Chișinău sono stati riconvertiti in centri provvisori alcuni spazi sia nel polo fieristico Moldexpo sia nel centro commerciale Malldova. Decine di centri di medie e piccole dimensioni sono stati attrezzati in tutto il paese, da nord a sud.
A Popeasca, una cittadina persa nelle colline spazzate dal vento nel sud della Moldavia, una struttura scolastica è stata riconvertita in dormitorio per i profughi. In tutto nella struttura ci sono 70 persone: 42 adulti – soprattutto donne – e 28 bambini. Il responsabile del centro, Jon Cazacu, mostra con orgoglio che i profughi hanno a disposizione docce e bagni con l’acqua calda: un piccolo lusso, in questa zona prevalentemente rurale.
Una quota enorme di profughi è stata invece ospitata nelle case private. Sono tantissime le famiglie moldave che hanno messo a disposizione una camera della propria casa o un appartamento che al momento non viene utilizzato (si stima che più di un milione di persone che hanno la residenza in Moldavia in realtà vivano e lavorino all’estero).
Fonti governative e umanitarie hanno raccontato al Post che al momento l’80-90 per cento dei profughi è ospite in una casa privata. Gli operatori delle ong si scambiano racconti di moldavi che nei primi giorni arrivavano con l’auto alla frontiera di Palanca per offrire posti letto a perfetti sconosciuti.
A Căușeni, una piccola città nel sud del paese, anche il sindaco Anatolie Donțu è rimasto impressionato dalla quantità di persone che hanno accolto i profughi ucraini nelle proprie case. «Sono rimasto molto stupito dall’accoglienza che hanno riservato ai profughi i miei concittadini», ha raccontato Donțu, con l’aiuto di un interprete. A Căușeni abitano meno di 8.000 persone, e ad oggi vivono sul territorio circa 1.100 profughi ucraini, a cui cibo, vestiti e medicine sono stati garantiti dall’associazione Italia-Moldova. Almeno il 60 per cento di loro è ospite in una casa privata.
«Credo che questo sia avvenuto per due ragioni», spiega Donțu, eletto nel 2019 col partito della presidente filoeuropeista Maia Sandu: «Per prima cosa, parliamo di una guerra. E la gente sa che la guerra è la guerra, nessuno di loro l’ha voluta. Inoltre i moldavi sanno che oggi sono gli ucraini che si trovano in una situazione di difficoltà, ma domani potrebbe capitare a loro».
La Moldavia viene spesso citata dagli osservatori internazionali come il prossimo paese che potrebbe subire una invasione delle forze russe: sia per la presenza della Transnistria, sia perché la Russia ha sempre considerato la Moldavia come parte della propria legittima sfera di influenza.
Nell’ormai famoso spezzone televisivo di qualche giorno fa in cui ha spiegato come si stava sviluppando l’invasione russa dell’Ucraina, il presidente autoritario della Bielorussia Aleksander Lukashenko ha mostrato una mappa con una evidente linea rossa in corrispondenza dei territori della Moldavia che confinano con l’Ucraina. Nel dibattito pubblico moldavo si è fatta largo l’ipotesi che la guerra arriverà anche qui.
Bragging briefing by Lukashenko displays map implying that a 🇷🇺 attack against also 🇲🇩, which is a close democratic partner of the 🇪🇺, is in the planning. pic.twitter.com/6ir3GVSnfi
— Carl Bildt (@carlbildt) March 2, 2022
«I dati e le analisi che abbiamo a disposizione ci dicono che la Moldavia non sarà invasa», spiega Sinchevici: «ma i moldavi sono preoccupati e non sanno esattamente cosa accadrà. E penso che nei giorni scorsi abbiano incanalato questa paura negli sforzi per aiutare i profughi».
Alla frontiera di Palanca arrivano mille o duemila persone al giorno: un flusso ingente ma tutto sommato gestibile, grazie alla rete dell’accoglienza che è stata messa in piedi. La situazione potrebbe precipitare se la Russia attaccasse Odessa, che dista appena cinquanta chilometri dal confine. Sinchevici cita una stima secondo cui nel caso di un’occupazione permanente di Odessa, la Moldavia potrebbe accogliere quasi un milione di profughi in un mese. E in quel caso soltanto una lingua di terra di pochi chilometri separerebbe i nuovi territori conquistati dalla Russia dalla regione filorussa della Transnistria.