Lo spettacolo itinerante della scuderia Haas
Un po' americana, un po' altoatesina e un po' emiliana, è la più piccola della Formula 1 ma una combinazione di guai e ambizioni la rende tra le più interessanti
«Avevo perso motivazioni a correre sempre nelle retrovie. Quei due anni furono duri. Quindi sono andato via, ho partecipato ad altre corse, sono tornato sul podio, in pole position e alla vittoria. È stato tutto molto divertente. Me la stavo proprio godendo, ma poi Günther mi ha chiamato e ha rovinato tutto». Kevin Magnussen è tornato a correre in Formula 1 a poche ore dall’inizio dei test in Bahrein per sostituire il russo Nikita Mazepin, secondo pilota della scuderia Haas estromesso dal campionato per gli effetti dell’invasione in Ucraina. Il modo in cui Magnussen ha parlato del suo ritorno dice molto di che cos’è la Haas: una squadra entrata in Formula 1 in modo per nulla convenzionale, e che ha passato più momenti difficili che altro. Nonostante questo, rimane ancora agganciata a quel mondo, spinta da certe prospettive e dal ruolo a volte comico a volte tragico avuto in questi anni, ben personificato dal suo team principal, l’italiano altoatesino Günther Steiner.
La stagione che comincia a breve — quella del nuovo regolamento tecnico — dovrebbe rappresentare il rilancio della Haas dopo anni difficili. Eppure, quando tutto stava procedendo più o meno secondo i piani, le cose si sono complicate improvvisamente a pochi giorni dalla prima gara, per cause esterne. Ma anche da queste difficoltà, la Haas sembra stia riuscendo a ricavarne in qualche modo una spinta positiva.
Nikita Mazepin non era stato ingaggiato soltanto per i suoi meriti da pilota — peraltro non irresistibili, per essere generosi — ma principalmente in qualità figlio di Dmitry Mazepin, milionario russo a capo dell’azienda di fertilizzanti Uralkali, lo sponsor che con i suoi finanziamenti aveva permesso alla scuderia di prendere parte allo scorso Mondiale, salvandola da una situazione economica disastrosa.
Mazepin figlio andò molto male, specialmente nella prima parte di stagione, quando infilò una serie di fuori pista che imbarazzarono lui, la scuderia e che complicarono il rapporto con l’invadente e autoritario padre-finanziatore. Lui e il compagno di squadra, Mick Schumacher, secondogenito di Michael, erano entrambi piloti esordienti e furono gli unici due a chiudere il campionato senza nemmeno un punto (perché non arrivarono mai tra i primi dieci).
Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, Haas ha scelto di smarcarsi dall’influenza e dai finanziamenti dei Mazepin, i quali sembrano intenzionati a chiedere grossi risarcimenti per l’estromissione. La scuderia ha però dovuto correre ai ripari: per sostituire Mazepin, Steiner ha richiamato Magnussen, che era già stato alla Haas dal 2017 al 2020. L’altro “buco” che deve ancora essere riempito riguarda i finanziamenti, dato che una scuderia come la Haas sopravvive esclusivamente grazie agli sponsor. Ma anche sotto questo aspetto l’ambiente rimane piuttosto ottimista.
Ne ha parlato di recente Steiner, manager dotato di un grande spirito e notevole autoironia, diventato inaspettatamente popolare grazie all’ampio spazio che tutte le sfortune della Haas hanno trovato nella serie Drive to Survive (la cui ultima stagione è disponibile ora su Netflix): «Penso che Mick sia felice di avere un punto di riferimento in squadra. Kevin è un pilota esperto e porterà dei punti».
La Haas debuttò in Formula 1 nel 2016 come appendice nel più famoso campionato automobilistico della Haas Automation, azienda americana produttrice di macchine di precisione già presente nel mondo delle corse con una scuderia tra le più competitive nel campionato Nascar. È stata creata e gestita con fondi terzi dall’iniziativa personale di Steiner, figlio di macellai di Merano, entrato nel mondo delle corse come meccanico nel rally e portato in Formula 1 nel 2001 da Niki Lauda, allora team principal della Jaguar.
Steiner convinse del progetto alcuni investitori americani, a cui suggerì di affidarsi alle auto prodotte dall’azienda italiana Dallara per tentare di entrare in Formula 1 in un periodo in cui alcune importanti aziende automobilistiche l’avevano lasciata. Da affidatario del progetto, Steiner prese contatti con Stefano Domenicali, attuale capo della Formula 1 e all’epoca team principal della Ferrari, che offrì il sostegno tecnico per l’ingresso nel campionato.
Da allora la Haas è stata una stretta collaboratrice della Ferrari, di cui usa non soltanto i motori, ma anche tante altre componenti, e cliente della Dallara, che ne costruisce tuttora le macchine. La squadra è quindi di proprietà americana, ha sede legale nel Regno Unito, è gestita da un altoatesino e si serve delle collaborazione di due grandi aziende italiane. All’inizio questo assetto fece discutere parecchio, soprattutto quando le prestazioni furono così buone da far nascere lamentele sul fatto che la squadra fosse una sorta di distaccamento della Ferrari. In Formula 1 infatti sono ancora in molti a credere che le scuderie debbano progettare e produrre, se non completamente, almeno una parte consistente delle loro auto in modo autonomo.
Steiner però è sempre stato piuttosto convinto della strategia che ha portato la Haas in Formula 1 in un modo che fino ad allora non si era mai visto. Da un lato, infatti, ha garantito discreti risultati in breve tempo con uno dei budget più bassi del campionato e una struttura aziendale nemmeno paragonabile a quella delle altre scuderie: nel 2018, per esempio, contava poco più di duecento dipendenti, contro gli oltre mille impiegati da Ferrari e Mercedes.
La struttura ridotta all’osso ha però avuto anche parecchie controindicazioni. Dopo le prime discrete stagioni — concluse all’ottavo e al quinto posto tra i costruttori — negli ultimi tre anni la scuderia è precipitata in fondo alle classifiche, fino all’ultimo posto della passata stagione.
Inesperienza e scarse risorse hanno influito sempre di più nel suo andamento. Al primo Gran Premio del 2018, per esempio, le Haas partirono dalla quinta e della sesta posizione. A metà gara erano vicine a ottenere i migliori piazzamenti nella storia della scuderia, ma entrambe dovettero ritirarsi perché nelle soste i meccanici non fissarono bene le ruote appena cambiate. Nella stessa stagione i due piloti, Magnussen e Romain Grosjean, finirono per scontrarsi più volte fra di loro, penalizzando la scuderia e mettendo a rischio la loro permanenza nel campionato.
L’anno successivo — disputato con macchine costruite sulla base della Ferrari della stagione precedente — arrivò in aiuto un nuovo sponsor: un’azienda americana di bevande energetiche, la Rich Energy, che però stracciò il contratto dopo gli esiti deludenti delle prime gare. All’ultimo Gran Premio di quel Mondiale, Grosjean fu inoltre coinvolto in un grave incidente da cui uscì relativamente illeso – si ustionò entrambe le mani – e dopo il quale lasciò la Formula 1.
Nel 2020, rimasta senza sponsor e danneggiata dalla pandemia, la Haas rischiò seriamente di chiudere. Venne salvata solamente dall’arrivo della Uralkali, che ne garantì la sopravvivenza imponendo però l’inesperto Mazepin come secondo pilota. Il suo ingaggio venne “tollerato” perché la Haas aveva deciso di sacrificare la stagione — disputata con le auto del 2019 — per concentrarsi quasi esclusivamente sulla successiva, in vista dell’entrata in vigore del nuovo regolamento tecnico pensato anche per livellare i rapporti tra le squadre.
Per questo motivo, a pochi giorni dell’inizio del nuovo Mondiale e dopo aver dato tutto sommato una buona impressione nei test — nonostante i problemi non siano mancati anche lì — la Haas si presenta con nuove ambizioni e più entusiasmo. Il proprietario, Gene Haas, ha aumentato i fondi destinati alla scuderia, in parte per coprire l’assenza di Uralkali, in parte per sostenerne il rilancio, con cui punta ad attrarre nuovi investimenti soprattutto in America, un mercato in cui la Formula 1 sta crescendo molto: non a caso quest’anno ci sarà una seconda gara negli Stati Uniti, a Miami.
La collaborazione con la Ferrari, inoltre, è diventata ancora più stretta e ha occupato lo spazio un tempo ricoperto dalla Dallara, che oltre a costruire le macchine forniva anche gli ingegneri. Per via delle nuove limitazioni ai budget imposti dalla Formula 1, la Ferrari ha approfittato della presenza della Haas per dirottare una parte delle sue risorse in esubero. Da quest’anno il reparto tecnico della scuderia americana ha quindi sede nella fabbrica di Maranello, e non più a Parma, nella sede della Dallara. Il reparto è inoltre coordinato dal progettista italiano Simone Resta, che fa ancora capo alla Ferrari, così come fa capo alla Ferrari Mick Schumacher, pilota cresciuto nell’accademia di Maranello che in questa stagione continuerà a guadagnare esperienza per provare ad avvicinarsi al posto che fu del padre Michael.