Cosa sta facendo l’Italia per ridurre la sua dipendenza dal gas russo
Il governo e Eni stanno negoziando per aumentare l'importazione di gas da altri paesi, ma non solo
Nelle ultime settimane il ministro degli Esteri Luigi Di Maio e l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi hanno viaggiato in diversi paesi per cercare di fare nuovi accordi sull’importazione del gas naturale, con l’obiettivo di ridurre la dipendenza energetica dell’Italia dalla Russia: è un tema di cui si sta dibattendo molto, e che è diventato prioritario dopo l’invasione russa in Ucraina non solo per l’Italia, ma anche per molti altri governi europei, come quello tedesco. Per questo all’inizio del mese Di Maio e Descalzi sono stati in Algeria, poi in Qatar, nella Repubblica del Congo e in Angola.
L’Italia usa moltissimo il gas per la produzione di energia (per il 42 per cento nel 2020), importandolo quasi tutto (il 95 per cento nel 2021), in larga parte dalla Russia (il 40 per cento delle importazioni di gas nel 2021).
Per ridurre questa forte dipendenza senza però restare a corto di elettricità per aziende e case, il governo italiano ha innanzitutto progettato di favorire lo sfruttamento delle fonti rinnovabili di energia e di aumentare la produzione nazionale di gas. È una strategia che passa anche per l’acquisto da altri paesi di almeno la metà dei 29 miliardi di metri cubi di gas che l’anno scorso furono acquistati dalla Russia. L’idea del governo, scrive Repubblica, è di raggiungere questo obiettivo entro il 2023, anche perché nel breve termine è impossibile pensare di fare a meno del gas.
Negli ultimi anni gli altri paesi da cui l’Italia ha acquistato più gas sono stati l’Algeria (il 31 per cento delle importazioni nel 2021), il Qatar (9 per cento), l’Azerbaigian (10 per cento) e la Libia (4 per cento). Proprio con i primi due Di Maio e Descalzi hanno preso contatti per ottenere maggiori forniture di gas – Eni è la più grande azienda petrolifera italiana e la società che importa e vende gran parte del gas usato nel paese.
Per quanto riguarda l’Algeria, che peraltro nel mese di febbraio 2022 è già stata il primo paese esportatore di gas in Italia, un accordo è già stato trovato: Eni farà un investimento per aumentare la produzione locale di gas, stagnante da alcuni anni, e poter così far crescere la quota destinata alle esportazioni.
Dal punto di vista infrastrutturale invece basterà il gasdotto che si usa già, il TransMed o “Enrico Mattei”, che parte dal deserto algerino, attraversa la Tunisia, e poi il mar Mediterraneo fino a Mazara del Vallo, in Sicilia, e risale l’Italia arrivando a Minerbio, in provincia di Bologna. Può trasportare circa 30 miliardi di metri cubi in un anno: nel 2021 ne trasportò 21 miliardi, quindi c’è spazio per aumentare la fornitura. L’accordo dovrebbe prevedere 10 miliardi di metri cubi di gas in più in tempi brevi.
Anche in Qatar Eni vorrebbe investire per arrivare a un aumento delle importazioni (e così in Egitto): un primo accordo ci sarebbe, secondo quanto annunciato da Di Maio, ma non sono noti dettagli per il momento. Nel caso del Qatar le forniture sono di gas naturale liquefatto (GNL), cioè di gas che viene condensato in modo che occupi meno spazio e possa dunque essere trasportato via nave. Di questo tipo di gas il Qatar è già il primo esportatore per l’Italia.
Il GNL arriva in Italia passando per uno dei tre rigassificatori attivi sul territorio, impianti che come suggerisce il nome riportano la sostanza allo stato gassoso e poi la immettono nei gasdotti nazionali.
Si trovano in mare al largo di Porto Viro, in provincia di Rovigo, al largo di Livorno e a sulla terraferma a Panigaglia, in provincia di La Spezia. Attualmente sono usati per il 60 per cento, quindi potrebbero trattare quantità maggiori di GNL. Inoltre è in programma l’installazione di un quarto rigassificatore galleggiante, ha annunciato recentemente il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani: il governo ha incaricato Eni e Snam, la società che gestisce la rete di gasdotti italiana, di trovare una nave rigassificatrice.
Anche dall’Angola e dal Repubblica del Congo si vorrebbe comprare gas liquefatto e il piano di Eni sarebbe realizzarvi due impianti per la liquefazione, per arrivare all’importazione dopo il 2023. Per ora comunque non c’è nulla di certo, e di ritorno dalla missione nei due paesi Di Maio ha detto: «C’è ancora da negoziare».
Teoricamente le importazioni potrebbero aumentare anche attraverso due dei gasdotti internazionali che passano per l’Italia, il GreenStream proveniente dalla Libia, le cui esportazioni di gas sono diminuite a causa della guerra civile, e il gasdotto Trans-Adriatico (anche noto con la sigla in inglese TAP), che dalla frontiera tra Turchia e Grecia arriva in Albania e poi a Melendugno, in provincia di Lecce, attraverso l’Adriatico. Il TAP trasporta il gas prodotto dall’Azerbaigian: nel 2021 l’Italia ne ha importati più di 7 miliardi di metri cubi, che quest’anno potrebbero diventare 9 – poco meno dell’attuale capacità operativa.
Per arrivare all’obiettivo di 20 miliardi di metri cubi l’anno bisognerà aspettare almeno tre anni necessari all’ampliamento dell’infrastruttura.
In generale, secondo le previsioni di Cingolani, l’Italia potrebbe ridurre in maniera netta la sua dipendenza dal gas russo in 24 o 30 mesi. Il piano del governo prevede anche l’aumento degli stoccaggi di gas che vengono fatti in estate – quando se ne usa di meno dato che non si accendono i sistemi di riscaldamento – in vista dell’inverno. Questo pezzo della strategia energetica è condiviso anche dalla Commissione Europea, che vorrebbe introdurre una regola che obblighi i paesi membri a riempire i siti di stoccaggio (in Italia ce ne sono 13) almeno al 90 per cento della capacità entro il primo ottobre di ogni anno.