L’ice stock non vorrebbe essere citato insieme al curling
Eppure è il destino del piccolo sport di cui si sono appena tenuti i Mondiali in Alto Adige, e che sogna le Olimpiadi
Il 22 febbraio a Collalbo, una frazione del comune altoatesino di Renon (Ritten, in tedesco), sono iniziati i Mondiali di ice stock, uno sport che difficilmente può essere descritto senza citarne le similitudini col curling. In cinque giorni di gare, che si sono tenute subito dopo la fine delle Olimpiadi invernali di Pechino, ai Mondiali di ice stock hanno partecipato centinaia di atleti in rappresentanza di alcune decine di nazionali, tra le altre quelle di Canada, Australia, Brasile e Namibia. La maggior parte delle medaglie assegnate nelle tre prove di cui si compone l’ice stock è stata vinta da Austria e Germania, ma è riuscita a dire la sua anche la nazionale italiana, tutta composta da atlete e atleti dell’Alto Adige. E qualche sparuta medaglia l’hanno vinta anche altri paesi.
L’ice stock, poco conosciuto fuori dall’Alto Adige, è uno sport bizzarro e fisicamente poco impegnativo, che si gioca in modo analogo al più famoso e olimpico curling: eppure nel passato ci sono stati diversi momenti in cui gli eventi sembrarono dover favorire un’affermazione dell’ice stock.
E invece, ormai da decenni, il curling si guadagna attenzioni e curiosità a ogni Olimpiade, e l’ice stock – che fu sport olimpico dimostrativo nel 1936 e nel 1964 – è rimasto una stramberia del passato olimpico, insieme allo skijöring (una sorta di sci nautico, però sulla neve e con le renne come propulsori), le gare di cani da slitta e il balletto sugli sci.
«Da noi è poco conosciuto, non è tanto seguito come qui» dice l’atleta canadese Ashley Snow mentre gareggia a Collabio. Ma l’ice stock ha comunque un suo piccolo seguito, e concreti progetti per tornarci, alle Olimpiadi. Molti, tra i suoi praticanti, ci credono davvero e sognano di potersi giocare tra qualche anno una medaglia olimpica.
L’attrezzo principale dell’ice stock (quello che nel curling è la pietra) è un birillo con una base circolare a cui è attaccato un manico verticale lungo circa trenta centimetri. Il peso totale, quando a lanciarlo sono adulti, è di poco meno di quattro chilogrammi, molti meno rispetto alle pietre del curling. Oltre ai manici, personalizzabili a seconda di stile e gusti di chi li usa, la parte più importante è la suola (o piastra). Le suole sono di gomma e in base a necessità di gioco e condizioni del ghiaccio possono essere cambiate: a vari colori, corrispondono diversi gradi di durezza e un diverso coefficiente di attrito sul ghiaccio.
A differenza del curling, dove gioca sempre una squadra contro l’altra, l’ice stock è diviso in tre tipi di gare: gioco a squadre, tiro a distanza e tiro di precisione.
Il gioco a squadre è il tipo di gara più simile al curling: ognuna delle due squadre è composta da quattro atleti o atlete e ogni partita è divisa in sei turni, per una durata totale di circa mezz’ora. L’obiettivo è avvicinarsi con i propri birilli a un disco di gomma rotonda posto ad alcuni metri di distanza, evitare che quelli degli avversarsi ci si avvicinino troppo o, se lo fanno, spostarli più lontano (oppure provare a spostare il disco). Alla fine di ogni turno, la squadra il cui birillo è più vicino al disco fa tre punti, con ulteriori punti previsti per ogni eventuale altro birillo più vicino rispetto a tutti quelli avversari. Una partita equilibrata può finire 15 a 15; una tra una squadra molto forte e una scarsa può finire anche 54 a 0.
Nell’ice stock (che talvolta è scritto tutto attaccato – icestock – e da qualcuno sempre in maiuscolo: Ice Stock) c’è però anche altro. Le più articolate sono le prove del tiro di precisione, in cui ogni atleta o squadra gareggia in solitaria e deve fare punti avvicinando il proprio birillo a un bersaglio, anche colpendo quelli lanciati in precedenza. Ognuna delle quattro manche in cui sono divise le gare prevede più lanci, e al termine di ogni lancio il punteggio più alto è pari a 10. Alla fine, si arriva a fare un totale di diverse centinaia di punti.
Nel tiro a distanza – in cui tutti gareggiano con la stessa suola – lo scopo è lanciare il birillo il più lontano possibile, un po’ come nel lancio del disco o nel getto del peso.
Sulla base delle poche e piuttosto vaghe informazioni disponibili, si pensa che l’ice stock derivi da uno sport creato nel Tredicesimo secolo in Scandinavia, e da lì si diffuse nel nord dell’Europa continentale. Strumenti simili ai birilli usati per l’ice stock e piuttosto diversi dalle pietre del curling si possono individuare in alcuni dipinti fiamminghi. Ma è quantomai difficile ricostruire quando e dove qualcuno iniziò a far scivolare, per sport, cose su superfici ghiacciate, e quando qualcuno istituì le regole dell’ice stock.
Johann Mulser, vicepresidente altoatesino dell’IFI (la Federazione internazionale di ice stock), racconta che si pensa l’ice stock sia nato perché qualcuno iniziò a far scivolare sui laghi ghiacciati dei tronchi di legno, a cui veniva lasciato un ramo per usarlo come manico. All’inizio i pezzi di legno venivano usati per cacciare conigli o altri animali, dice Mulser, «come con i boomerang in Australia», ma poi negli anni la pratica diventò un gioco, al legno furono aggiunte le parti in ferro finché, in tempi più recenti, sono arrivati altri materiali più performanti. Mulser racconta anche che il record mondiale del tiro a distanza – che ora si pratica su piste di pattinaggio, con lanci che nei migliori casi superano i 100 metri – è di oltre 500 metri, stabilito con un lancio su un lago ghiacciato in Germania.
L’ice stock, talvolta presentato come “curling bavarese”, è praticato in Germania meridionale e Alto-Adige, ma specialmente in Austria. Mulser spiega infatti che in Austria ci sono 86mila iscritti alla federazione di ice stock; in Germania sono circa 35mila, e in Italia solo 750 iscritti, che raggruppati in poco più di 40 società bastano comunque a farne il terzo paese al mondo per numero di iscritti. Mulser fa inoltre notare come in Italia l’ice stock abbia più iscritti del curling, che secondo i numeri da lui citati ne ha qualche centinaio in meno.
L’ice stock è riuscito ad arrivare altrove, nel mondo. Oggi esistono infatti federazioni in tutti i continenti (tutte più piccole di quella italiana) e, per quanto può valere, su Wikipedia la pagina dedicata allo sport esiste in una ventina di lingue. Anche se la più dettagliata è, per distacco, quella tedesca. Spesso lo sport si è diffuso quando dall’Austria o dalla Germania qualcuno, viaggiando o emigrando, si è portato dietro l’ice stock.
In Italia l’ice stock è una delle discipline riconosciute dalla FISG, la Federazione italiana sport del ghiaccio. Sebbene non sia olimpica, è considerata al pari di hockey, curling, e pattinaggio artistico e di velocità. In merito all’ice stock, la FISG scrive: «l’ostacolo è conoscerlo davvero; appassionarsi, poi, viene quasi naturale».
I primi Mondiali di Ice Stock furono organizzati nel 1983 e quelli di febbraio a Collalbo sono stati i quattordicesimi della storia, preceduti da una serie di eventi giovanili di livello continentale e internazionale. In tutto, sono passati un paio di centinaia di atleti e atlete da una ventina di paesi diversi. I Mondiali del 2022 sono stati i terzi organizzati a Collalbo, dopo quelli del 2008 e del 2016, e le gare si sono svolte alla Ritten Arena: all’interno, sul campo su ghiaccio dove di solito gioca una forte squadra di hockey, si sono tenute le gare a squadre e di tiro di precisione; all’esterno, su uno dei due lati lunghi della pista di pattinaggio su ghiaccio, si è gareggiato nel tiro a distanza.
Collalbo è una delle regioni del comune sparso di Renon, che ha circa ottomila abitanti. Ci si arriva in meno di un’ora da Bolzano: in automobile oppure prendendo prima la funivia che porta a Soprabolzano e poi il pittoresco, efficiente e tranquillo trenino che collega varie località dell’Altipiano del Renon. Venne inaugurato a inizio Novecento e Mulser racconta che furono proprio alcuni degli operai austriaci che lo costruirono a introdurre nell’area l’ice stock e gli attrezzi necessari per giocarci. Nei primi giorni dei Mondiali ad assistere alle gare erano soprattutto altri atleti e allenatori; negli ultimi due giorni, a riempire gli spalti della Ritten Arena c’erano anche alcuni spettatori, che per assistervi hanno pagato un biglietto da 15 euro. C’era perfino una diretta streaming.
Tra i pochissimi spettatori presenti nei primi giorni dei Mondiali c’era il 73enne altoatesino Karl Lang, intento ad assistere – di sera, con un temperatura vicina allo zero – a una delle prove del tiro a distanza. Lang, un ex giocatore «con ancora a casa gli attrezzi», dice di essere rimasto appassionato e spiega che «sembra tanto facile però non è affatto così». Secondo lui l’ice stock «sta passando di moda», visto che un tempo si giocava «su tutto l’Alto-Adige» mentre ora è sempre più messo in ombra da «quell’altro sport» (intende il curling). Aggiunge, tralasciando l’Austria, che nell’ice stock è spesso vero quello che si dice del calcio: che lo giocano in tanti «ma alla fine vincono quasi sempre i tedeschi».
In effetti, come chiarisce Mulser, oltre ad avere un ampio bacino di atleti da cui attingere, nella nazionale tedesca ci sono anche alcuni giocatori di ice stock che fanno parte dell’esercito e che, come succede in Italia per altri sport, dedicano molte ore settimanali all’allenamento. Non sembrano invece trovare conferma, nemmeno tra gli atleti tedeschi, le voci – diffuse anche tra gli atleti di altre nazionali – secondo cui per alcuni di loro l’ice stock sia un vero e proprio lavoro. Anche perché, a ben vedere, di soldi nell’ice stock praticamente non ne girano.
Osservando gli atleti presenti a Collalbo si nota che l’ice stock è uno sport in cui i fisici non sempre sono propriamente atletici, e che in diversi hanno età che in altri contesti impedirebbero l’attività ai massimi livelli. Tra gli atleti più convinti c’è Perry Stoeghofer, ventenne arrivato da Melbourne, in Australia. Racconta di aver iniziato a giocare otto anni fa, seguendo l’esempio del padre di origine austriaca, e di essere già al suo terzo Mondiale. Dice di essersi appassionato dopo qualche esitazione iniziale e che, dopo aver provato tra gli altri l’australian football, il lancio del disco e il taekwondo, decise di puntare tutto sull’ice stock. Non ha dubbi sul fatto che la sua preferita sia la gara a squadre, ma lui compete nel tiro a distanza: «che sembra facile ma è molto tecnico».
Stoeghofer dice di non sapere se, quando e quale tipo di gara dell’ice stock potrebbe diventare olimpica, ma dice che nel caso – dal 2030 o anche più in là – lui vorrebbe farsi trovare pronto per l’oro. Per prepararsi alle gare, oltre ad allenarsi in palestra, guarda video online dei più forti tiratori al mondo. Aggiunge inoltre, ed è una cosa che condivide con molti praticanti non alpini di ice stock, che per gran parte dell’anno lui si allena su asfalto anziché su ghiaccio, usando quindi suole di plastica in sostituzione di quelle di gomma.
Simile dedizione e passione per l’ice stock la dimostra anche il 24enne brasiliano Luis Eduardo Kaufmann, arrivato a Collalbo da Santa Cruz do Sul, nel sud del paese. Racconta che lì l’ice stock arrivò nei primi anni Duemila, e che ora in tutto il paese, sparsi in cinque diverse società sportive, ci sono almeno un centinaio di praticanti. L’associazione brasiliana di ice stock riceve ogni anni un paio di decine di migliaia di euro. Kaufmann è a Collalbo per partecipare alle gare del gioco a squadre, e sostiene che la sua nazionale abbia uno stile di gioco piuttosto aggressivo e offensivo, non granché tattico e ragionato, come invece succede a molte delle squadre dei paesi con una più lunga storia nell’ice stock. Visto che anche lui è abituato a giocare su asfalto, lamenta il fatto di aver avuto solo poche ore per provare il ghiaccio della Ritten Arena. Così come molti altri praticanti di ice stock non è granché interessato ai paragoni col curling, che peraltro dice di non avere mai provato.
Un altro aspetto comune a molte nazionali non europee di ice stock è che hanno iniziato a giocare dopo aver ricevuto dall’IFI birilli, manici e suole (spesso in plastica) necessari ad avvicinarsi al gioco. Tra l’altro, entrando alla Ritten Arena ci sono un paio di stand che vendono tutto il necessario, con molte varietà di manici e alcune possibilità di personalizzare esteticamente i birilli. Altri, invece, dicono di aver ordinato i propri attrezzi online, con spedizioni dall’Europa. Comprare tutto il necessario per un giocatore costa alcune centinaia di euro.
Tra chi ha un’approccio parecchio più rilassato ci sono i francesi Elina Joubert e Quentin Bouley, che hanno 22 e 25 anni e sono tra i pochi a Collalbo a non capire una parola di tedesco (hanno appena perso nel gioco a squadre contro la Namibia, i cui giocatori parlavano tra loro in tedesco). Sono originari di Avignone e Grenoble e sono diventati amici trovandosi insieme nella rappresentativa nazionale del loro paese: giocano entrambi da cinque o sei anni, con vecchi attrezzi forniti loro dall’IFI, e hanno viaggio e alloggio pagati in parte dalla federazione nazionale e in parte da un apposito crowdfunding. Dicono di allenarsi un paio d’ore a settimana, a volte anche meno, e dopo aver perso contro la Namibia e in attesa di un’altra gara l’indomani il loro problema più pressante è decidere se andare a fare una camminata sui monti o ascoltare invece il consiglio dell’allenatore, che ha detto loro di stare alla Ritten Arena, riposarsi, studiare gli avversari e osservare altre partite.
L’ice stock sta insomma in un posto strano, a metà tra uno sport che alcuni dirigenti e praticanti vorrebbero rendere olimpico, con tutto ciò che questo comporterebbe in termini di immagine, ricavi e soddisfazioni in caso di vittoria, e un pacato raduno di persone da tutto il mondo, che oltre a gareggiare passano tempo insieme al bar del palazzetto o nelle vie del paese. Comportandosi insomma da turisti più che da sportivi. Ci sono entrambe le cose: divise, allenatori e, per le federazioni più importanti, un paio di giornalisti e fotografi. Ma anche un numero di birre e sigarette che difficilmente si vedono al più importante evento mondiale di altre discipline.
In effetti, nel 2018 l’IFI fu riconosciuta provvisoriamente dal CIO, il Comitato Olimpico Internazionale, che ne certificò alcuni passi avanti in tutti i contesti richiesti a una federazione che voglia far diventare olimpico lo sport di cui si occupa. Nel 2021 è poi arrivato il pieno riconoscimento: significa, in poche parole, che secondo il CIO l’ice stock è considerato tra gli sport che potrebbero diventare olimpici, tra gli altri insieme al sambo, al kickboxing e al lacrosse.
Dalla sua l’ice stock ha il fatto di essere – o meglio: di aver scelto di essere, privilegiando il ghiaccio a scapito dell’asfalto – uno sport invernale, quindi con un po’ meno competizione. Anche se ci sono comunque altri sport sulla neve o sul ghiaccio che puntano alle Olimpiadi, come lo scialpinismo e lo slittino su pista naturale: entrambi ben diversi, e più tradizionalmente atletici, rispetto all’ice stock.
Mulser, che oltre a essere vicepresidente della IFI è anche responsabile per l’ice stock presso la FISG, dice di aver partecipato solo negli ultimi anni a una trentina di assemblee volte a far inserire l’ice stock nel programma olimpico. È certo che non succederà per le Olimpiadi invernali del 2026 di Milano-Cortina, che proprio per la loro posizione geografica sarebbero state quelle ideali per l’ice stock, ma assieme ad altri dirigenti sta lavorando perché possa succedere nel 2030, o più avanti ancora.
Sebbene ai Mondiali di Collalbo quasi nessuno sembri curarsene, un ostacolo tra l’ice stock e le Olimpiadi è il successo del curling, lo sport di cui nonostante tutto, per ovvie ragioni, si finisce quasi sempre a parlare quando si parla di ice stock.