Le divisioni sempre più profonde tra gli ortodossi in Ucraina
Nella chiesa locale c'è una specie di scisma dai tempi dell'invasione della Crimea, che si sta complicando nella guerra in corso
L’invasione russa dell’Ucraina, che prosegue ormai da più di due settimane, potrebbe avere conseguenze concrete anche sulla complessa situazione della chiesa cristiana ortodossa in Ucraina, a cui appartengono milioni di persone e che attraversa una situazione di scisma (cioè di separazione interna) dall’invasione russa della Crimea e del Donbass, nel 2014.
Per secoli, fin dal Seicento, la chiesa ortodossa ucraina era stata guidata da quella russa. Nella religione cristiana ortodossa, a differenza di quanto avviene nel cattolicesimo, ci sono una quindicina di leader religiosi con la stessa autorità: si chiamano patriarchi e ciascuno controlla una diversa chiesa ortodossa, in rapporto con le altre come in una specie di federazione. L’unico patriarca che sta un po’ sopra agli altri, ma solo per ragioni storiche, è il patriarca di Costantinopoli, l’antico nome di Istanbul, che al momento si chiama Bartolomeo I. La Chiesa ortodossa russa, quella del Patriarcato di Mosca guidata da Cirillo I, è invece quella con il maggior numero di fedeli.
A partire dall’invasione della Crimea e del Donbass un pezzo rilevante della chiesa ortodossa ucraina scelse di sganciarsi dall’autorità del Patriarca di Mosca, e chiese ed ottenne da Bartolomeo I di rendersi autonoma: in Ucraina nacquero così due chiese, la Chiesa ortodossa dell’Ucraina, indipendente, e la Chiesa ortodossa ucraina, rimasta fedele al Patriarca Cirillo I di Mosca. Al momento, secondo una stima citata dal Christian Science Monitor, della prima fanno parte circa settemila parrocchie ucraine, mentre in 12mila hanno scelto di rimanere fedeli a quella di Mosca.
La recente invasione della Russia potrebbe comportare nuovi cambiamenti. «È assai plausibile che alcune parrocchie della Chiesa ortodossa ucraina, amareggiate dall’invasione, possano lasciare Mosca e unirsi alla Chiesa ortodossa dell’Ucraina», ha scritto su The Conversation Jonathan L. Zecher, esperto di cristianità ortodossa della Australian Catholic University.
Il Patriarcato di Mosca è da anni legato al governo autoritario di Vladimir Putin e ha di fatto appoggiato la decisione di invadere l’Ucraina. Il patriarca Cirillo I e Putin condividono una certa visione del mondo – compreso il disprezzo per i valori democratici e la nostalgia per un rapporto più stretto fra società e cristianità – e negli anni si sono spesso sostenuti a vicenda. Putin ha ricoperto di favori la chiesa ortodossa, dalle esenzioni fiscali allo spazio sulle televisioni pubbliche e private. In cambio ne ha ricevuto legittimazione personale e appoggio politico.
In un comunicato diffuso poco dopo l’invasione, Cirillo I aveva parlato del fatto che alcune «forze del male» stessero minacciando la Russia, aderendo alla propaganda di stato avviata da Putin, e nei giorni successivi aveva sostenuto senza alcuna prova che nel Donbass alcune chiese fossero state obbligate a partecipare a manifestazioni a favore della comunità LGBT+. «C’è un rifiuto fondamentale dei cosiddetti valori che oggi vengono offerti da chi rivendica il potere mondiale», aveva detto Cirillo I, aderendo a una lettura molto popolare nell’estrema destra russa ed europea secondo cui l’Occidente tollerante e progressista voglia imporre i propri valori al resto del mondo, sopprimendo la tradizione cristiana e cattolica.
Ci sono dei segnali che diverse parrocchie della Chiesa ortodossa ucraina, cioè quella rimasta finora fedele a Mosca, abbiano iniziato a essere sempre più insofferenti dell’esplicito legame fra il Patriarcato di Cirillo I e il governo di Putin.
Il consiglio dei vescovi della Chiesa ortodossa ucraina ha parlato esplicitamente di «invasione» da parte della Russia, e ha chiesto a Cirillo I, invano, di usare il suo rapporto di amicizia con Putin per convincerlo a fermarsi. Una settimana dopo l’inizio della guerra, la diocesi ortodossa di Sumy, una delle città ucraine più colpite dai combattimenti, ha pubblicato un comunicato per condannare l’invasione russa ed esprimere solidarietà e aiuto concreto «alla nostra madrepatria, l’Ucraina». La diocesi di Sumy ha anche annunciato che avrebbe smesso di celebrare il nome di Cirillo I durante le sue funzioni religiose, come prevede il rito ortodosso.
Non è chiaro, però, quante parrocchie legate a Mosca decideranno di separarsi dalla Chiesa ortodossa ucraina. In questi anni il legame di alcune di loro con la chiesa russa si è rafforzato, anche nella percezione degli ucraini. Il Guardian ha raccontato per esempio che nel monastero di Kolomyia, nel sudovest del paese, l’esercito ucraino ha trovato grosse quantità di razioni militari e alcune armi da fuoco: il sospetto dell’esercito è che il monastero potesse ospitare decine di soldati russi, in caso di necessità.
Una simile diffidenza circonda il monastero di Pochayiv, uno dei più noti in Ucraina, che si trova a un centinaio di chilometri a est di Leopoli. Dall’inizio della guerra il monastero è chiuso ai turisti al di fuori degli orari delle funzioni religiose, e alcuni uomini vestiti con minacciosi indumenti militari seguono i pochi visitatori stranieri. «Temo che ci sarà un attacco», ha detto al Guardian una donna che gestisce un ostello per pellegrini poco distante dal monastero.
Un appoggio ancora più esplicito del Patriarca di Mosca e delle parrocchie a lui fedeli all’invasione dell’Ucraina potrebbe aumentare l’isolamento della Chiesa ortodossa russa, già oggi molto distante dal resto delle chiese ortodosse nel mondo, che hanno condannato severamente l’invasione russa. Il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I, ha usato parole persino più dure di quelle di Papa Francesco per commentare le decisioni di Putin.