Le aziende estere ancora attive in Russia
Oltre 300 società occidentali hanno sospeso le loro attività nel paese, ma molte altre sono rimaste per motivi etici, economici o legali
Dall’inizio dell’invasione in Ucraina più di due settimane fa, la Russia sta subendo gravi conseguenze economiche dovute alle pesanti sanzioni imposte da Unione Europea e Stati Uniti, e alla generale sospensione delle attività da parte di più di 300 aziende estere attive in Russia, comprese alcune delle più grandi al mondo. Una minoranza di aziende internazionali non ha però preso la stessa decisione e sta continuando a mantenere le proprie attività in Russia, mettendo tuttavia a rischio la propria reputazione.
Le ragioni per cui decine di aziende non hanno sospeso le proprie attività sono legate principalmente a interessi economici e dipendenze dal mercato russo. Tra queste c’è per esempio la multinazionale italiana Pirelli, produttrice di pneumatici, che ha in Russia il 10 per cento degli stabilimenti di produzione. Oppure Mondelez (produttrice degli Oreo e di molti altri prodotti alimentari), Ferragamo e Bosch, tutte società che derivano una parte consistente dei propri ricavi dal mercato russo.
Tra queste c’è anche il gruppo bancario statunitense Citigroup, che da circa un anno sta cercando di liberarsi dei propri investimenti in Russia e di chiudere le filiali nel paese, ma non ci è riuscita per via di complicazioni legali. L’esposizione netta del gruppo in Russia è di 9,8 miliardi di dollari.
Altre grandi aziende occidentali hanno invece comunicato la sospensione di tutte le loro attività in Russia. L’elenco si è via via arricchito nel corso dei giorni e comprende ora società come Coca-Cola, McDonald’s, Microsoft, BP, Shell, Airbus, Boeing, Stellantis, Ford, Mercedes-Benz, Toyota, Volvo, Volkswagen, Disney, Adidas, Airbnb, Ikea, Sony, Unilever e Nestlé, solo per citarne alcune.
Per altre aziende estere che hanno deciso di rimanere in Russia ci sono motivi etici, per esempio quelle farmaceutiche. Il capo della divisione finanziaria della multinazionale Johnson & Johnson, Joseph Wolk, martedì ha detto: «Se i nostri prodotti smettono di arrivare ai pazienti in Russia che ne hanno bisogno, moriranno o subiranno gravi conseguenze». Altre multinazionali hanno annunciato che non faranno nuovi investimenti nel mercato russo – che comunque è poco redditizio per le multinazionali farmaceutiche occidentali – ma che continueranno a distribuire farmaci essenziali, come quelli antitumorali.
L’Università di Yale ha preparato un documento, molto diffuso e discusso negli ultimi giorni, con l’elenco dettagliato delle società per lo più occidentali ancora attive in Russia, costantemente aggiornato dal professor Jeffrey Sonnenfeld e dal suo team di ricercatori. Quando la lista è stata pubblicata la prima volta c’era soltanto qualche decina di società, ora sono 350.
Secondo Sonnenfeld, che ha scritto su questo tema un articolo su Fortune, un simile blocco delle attività economiche potrebbe avere un ruolo rilevante nella crisi legata all’Ucraina. L’articolo ricorda una dinamica simile che si verificò in Sudafrica a metà degli anni Ottanta, quando diverse società statunitensi scelsero di chiudere le attività nel paese, accodandosi ai movimenti e alle iniziative per abolire l’apartheid, la segregazione razziale nel paese. In quel caso, l’azione delle sanzioni imposte dagli Stati Uniti unita al blocco delle attività economiche fu efficace sul lungo periodo, scrive Sonnenfeld.
Secondo James O’Rourke, docente di management, il costo economico delle società che abbandonano la Russia potrebbe essere in molti casi inferiore rispetto al costo di rimanerci e danneggiare la propria reputazione in Occidente. «Se vuoi continuare a fare affari nel resto del mondo libero, devi fare attenzione a quello che pensa la gente di te» ha detto O’Rourke al Washington Post. «Questo potrebbe essere uno dei momenti della storia in cui disinvestire è l’opzione migliore. […] Se non puoi spostare i tuoi asset dentro e fuori dalla Russia, usando valuta convertibile, qual è il senso di rimanerci?».
Per le società che stanno avendo problemi legali a chiudere le attività c’è anche il rischio che i loro patrimoni (asset) vengano nazionalizzati dalla Russia. Questa settimana il procuratore generale russo ha detto che ogni provvedimento di chiusura delle attività economiche riceverà una «valutazione legale», e che ci sarà uno «stretto controllo» sull’osservanza delle leggi sul lavoro, «inclusi i termini dei contratti dei dipendenti e il pagamento dei salari», per «assicurare gli interessi» delle imprese e dei lavoratori, ha detto il procuratore.
Inoltre il presidente russo Vladimir Putin giovedì ha detto che le società estere che stanno abbandonando la Russia dovrebbero essere date a «coloro che le vogliono far funzionare».