Le accuse a Ikea sulla deforestazione in Romania
L'azienda svedese è accusata da gruppi di ambientalisti di beneficiare dei metodi criminali dell'industria del legname locale
Il materiale più usato nella produzione di mobili di Ikea è il legno, e nel 2020 il 4% di questa materia prima è arrivato dalla Romania, uno dei paesi europei più ricchi di foreste primarie (cioè “naturali”, mai sottoposte a interventi umani), che però ha da tempo un grosso problema di deforestazione illegale. Secondo un’indagine dell’organizzazione ambientalista rumena Agent Green, anche Ikea avrebbe commesso irregolarità nella gestione delle foreste rumene, e avrebbe ottenuto vantaggi dal mercato illegale di legname.
Secondo gruppi ambientalisti e indagini giornalistiche, il fatto che finora nessuna autorità o ente di controllo abbia confermato le accuse contro Ikea dipenderebbe dalla difficoltà di provarle, quelle accuse: cioè provare che determinati lotti di legname siano stati ottenuti da alberi tagliati illegalmente, dato che quando il legname si porta via dalla foresta da cui proviene è impossibile ricostruirne l’origine. Un’ulteriore difficoltà deriverebbe da alcune particolari leggi rumene, che permettono alle società del settore di muoversi in ampie zone grigie.
Al pari di altri paesi dell’Europa dell’est, la Romania ha una grande quantità di foreste primarie, perché negli anni del regime comunista le foreste furono nazionalizzate e lasciate perlopiù intatte. Con la fine del comunismo (1989), e ancora di più con l’ingresso della Romania nell’Unione Europea (2007), che portò a maggiori legami commerciali con l’economia europea, le cose cambiarono: molte foreste furono vendute a privati e diventarono un’importante risorsa da sfruttare, abbondante ed economica: in particolare per l’industria dell’arredamento, dato che i faggi e gli abeti, che sono molto diffusi in Romania, sono particolarmente usati.
Nel 2000 l’industria del legname rumena valeva 193 milioni di euro, nel 2019 1,4 miliardi.
Accanto alla crescita economica si sono sviluppate però anche diverse attività criminali, che hanno iniziato a far parlare di “mafia del legno”. Il disboscamento illegale è molto diffuso: secondo un’analisi realizzata da Greenpeace Romania nel 2018 usando dati ufficiali del governo rumeno, tra il 2013 e il 2018 38,6 milioni di metri cubi di legno sono stati presi dalle foreste del paese, più del doppio della quantità autorizzata dallo stato (18,5 milioni). Gli abusi avvengono in vari modi: il più comune è tagliare più alberi di quelli permessi, una pratica che può compromettere la ricrescita delle foreste.
Il traffico illegale di legname è spesso associato alla corruzione e, in alcuni casi, a violenze: dal 2014 sei membri della Guardia Forestale rumena (cronicamente sotto organico) furono uccisi o trovati morti in circostanze sospette mentre svolgevano il proprio lavoro. Nel 2019 l’omicidio di uno di loro, Liviu Pop, provocò grandi proteste.
Sono ben documentate anche le aggressioni subite da alcuni ambientalisti che negli anni hanno cercato di documentare gli abusi dell’industria del legno.
Gabriel Paun, fondatore di Agent Green, ha detto ad Al Jazeera che sono state più di 650 le aggressioni negli ultimi anni. Una delle più recenti avvenne nel 2021 contro tre persone che stavano lavorando per girare un documentario sul tema: i due filmaker Mihai Dragolea e Radu Mocanu e l’attivista Tiberiu Bosutar, che stava mostrando loro un tratto di foreste distrutto in modo irregolare. Dopo aver chiamato la Guardia Forestale, i tre furono raggiunti da un gruppo di 11 uomini armati di asce e mazze, secondo Bosutar forestali corrotti. Gli aggressori danneggiarono la loro auto, li pestarono e denudarono Bosutar, per poi postare online sue fotografie, allo scopo di umiliarlo.
Solo quattro uomini sono stati incriminati per l’aggressione; Bosutar si è trasferito a Bucarest, temendo per la propria vita. Paun invece vive all’estero da quando nel 2016 fu pestato fino a perdere coscienza da un gruppo di taglialegna. Doina Pana, ex ministra delle Acque e delle Foreste, sostiene di essere stata avvelenata col mercurio nel 2017, dopo aver cercato di contrastare i disboscamenti illegali.
Ikea non è mai stata coinvolta nei casi di violenze, ma è accusata di usare legno ottenuto illegalmente e di fare parte del più grande sistema di sfruttamento eccessivo delle foreste.
L’accusa più rilevante riguarda foreste che si trovano nei Carpazi ucraini, poco lontano dal confine con la Romania: secondo un’indagine dell’organizzazione ambientalista britannica Earthsight, tra il 2018 e il 2020 legname ottenuto illegalmente dall’azienda VGSM sarebbe stato venduto sia a Ikea direttamente sia a Plimob, una società rumena a cui da molti anni è appaltata la produzione di sedie per Ikea.
Ikea si è difesa dicendo che sia un’indagine interna che una condotta da ispettori terzi non hanno trovato prove del fatto che nella sua catena di approvvigionamento sia stato usato legname prodotto commettendo abusi. Tuttavia ha ammesso che le leggi ucraine sull’abbattimento degli alberi malati o danneggiati dalle tempeste permettono interpretazioni diverse: ci sarebbe insomma una zona grigia.
Successivamente, in risposta a un’altra accusa di Earthsight che riguarda forniture dalla regione siberiana di Irkutsk (riconosciute come irregolari dalle stesse autorità russe), Ikea ha detto di aver «partecipato a dialoghi col governo ucraino e con le organizzazioni ambientaliste riguardo all’uso improprio degli abbattimenti di alberi malati».
Anche altri fornitori rumeni di Ikea, Egger e Kronospan, sono stati accusati di importare e usare legname ottenuto illegalmente.
Come Plimob e VGSM, queste aziende possiedono la certificazione FSC fornita dal Forest Stewardship Council, un’organizzazione non governativa internazionale piuttosto nota che dovrebbe garantire che un prodotto realizzato usando il legno provenga da boschi gestiti «in modo responsabile». Il Forest Stewardship Council esiste dal 1993 e ha tra i suoi fondatori la stessa Ikea, che dichiara che a oggi più del 98 per cento del legno che usa è certificato FSC.
FSC, tuttavia, è da sempre criticata dagli ambientalisti perché fornisce le certificazioni e le conferma sulla base di ispezioni programmate fatte da società terze che sono pagate dalle aziende di produzione del legname. In sostanza, non sarebbe un ente davvero affidabile per verificare i metodi dell’industria del legname, in particolare nei paesi in cui le leggi sulle gestioni delle foreste sono più permissive o lasciano spazi di interpretazione.
Riguardo a queste accuse relativamente al caso russo, FSC ha spiegato: «Ci sono ancora molte sfide che mettono a rischio le foreste della Russia e che influiscono sulla certificazione FSC. Una delle principali è che l’approvazione da parte del governo delle
attività relative alla gestione forestale non dà necessariamente la certezza che le operazioni siano completamente legali. Ad esempio, ci sono stati casi in cui permessi di taglio sanitario rilasciati dalle autorità locali nella regione di Irkutsk, si sono rivelati illegali per le autorità federali. (…) La complessità della legislazione forestale, i frequenti cambiamenti nel quadro giuridico e la mancanza di pratiche condivise di attuazione creano ulteriori rischi per le imprese nelle loro attività quotidiane, mentre i processi giudiziari tra le autorità e le imprese forestali richiedono molti anni. Un buon esempio è il regolamento sul taglio di recupero, diventato molto più rigoroso rispetto a cinque anni fa. Ciò significa che ciò che era legale cinque anni fa potrebbe non esserlo oggi e che alcune delle violazioni individuate potrebbero però riferirsi a tempi in cui le normative erano diverse».
FSC ha anche detto di stare lavorando per contrastare la presenza di legno ottenuto illegalmente nelle sue catene di approvvigionamento in Russia, ad esempio collaborando con gli enti che certificano la provenienza del legname per rafforzare il controllo sui processi di taglio sanitario. Ha anche introdotto una moratoria sul legno proveniente dal taglio sanitario nella regione di Irkutsk.
L’altra grossa accusa rivolta a Ikea riguarda le foreste che la stessa azienda svedese possiede in Romania. A partire dal 2015 infatti ha acquistato quasi 50mila ettari (500 chilometri quadrati) di boschi e oggi è il più grande proprietario privato di superfici forestali nel paese. Ikea non usa le sue foreste rumene per produrre legno per sé, ma ne concede lo sfruttamento parziale ad aziende che vendono legna da ardere, ancora molto usata in Romania per scaldare le case.
Agent Green ha visitato più volte le foreste rumene di Ikea e ritiene che siano stati commesse varie violazioni della legge, facendo tagli eccessivi. Ikea autorizzerebbe l’abbattimento di alberi con più di 120 anni perché avrebbero meno valore commerciale, non tenendo conto del valore che gli alberi più vecchi di alcune specie hanno per l’intero ecosistema forestale. Secondo FSC però non sono state commesse irregolarità.
Max Zander, giornalista di Deutsche Welle, ha riassunto così le critiche e le accuse all’azienda svedese: «Non si può imputare a Ikea lo stato generale dell’industria e del contesto politico e giudiziario, ma la corruzione, la violenza e il furto definiscono una larga parte, se non la maggior parte del settore del legname in Romania. Ikea deve sapere con che tipo di ambiente ha a che fare, ci è entrata decidendo di investire in questo mercato».
La domanda di legname da parte di Ikea è talmente alta e lo sfruttamento illecito delle foreste rumene talmente vasto che è difficile credere che tutto il legno usato dall’azienda sia stato ottenuto legalmente, anche se è difficile provarlo.
Ikea ha risposto alle accuse più recenti negando di acquistare legname ottenuto illegalmente. «Abbiamo sviluppato un sistema di due diligence completo, con molti livelli di controllo», ha detto un portavoce dell’azienda a Business Insider: «include rigidi requisiti di documentazione sulla provenienza del legname da parte dei nostri fornitori diretti, un team internazionale di esperti di selvicoltura che esegue più di 200 ispezioni all’anno e revisori esterni che verificano cosa succede nella nostra catena di approvvigionamento, con particolare attenzione ai paesi ad alto rischio di abusi».
E sulla Romania in particolare: «È un paese che continua ad affrontare alcune sfide sulle pratiche di selvicoltura e ci impegniamo a usare la nostra presenza per migliorare la situazione».