Le cose che anticipò “Kony 2012”
10 anni fa un documentario sui crimini di un ribelle ugandese fu visto da milioni di persone, rivelando potenzialità e limiti dei contenuti virali e dell’attivismo online
Nel 2012 Invisible Children era una semisconosciuta associazione californiana impegnata da otto anni in attività di informazione e sensibilizzazione dei paesi occidentali sui crimini commessi in Africa centrale da un violento gruppo di milizie fondamentaliste guidato da un leader ugandese chiamato Joseph Kony. Nei primi giorni di marzo di quell’anno, esattamente dieci anni fa, il nome e il lavoro di Invisible Children diventarono eccezionalmente noti negli Stati Uniti e in molti altri paesi del mondo, oltre ogni realistica previsione, dopo che l’associazione pubblicò su Internet un documentario di circa mezz’ora intitolato Kony 2012.
In sei giorni diventò il primo video su YouTube a essere visto oltre 100 milioni di volte, e altre decine di milioni di volte fu visto sulla piattaforma di condivisione di video Vimeo e sul sito allestito dall’associazione, che nelle prime ore dopo la pubblicazione del documentario diventò irraggiungibile a causa del volume di visite. Un sondaggio condotto in quei giorni dall’istituto di ricerche Pew Research Center mostrò che il 58 per cento degli americani tra i 18 e i 29 anni aveva sentito parlare di Kony 2012. A determinare quel successo clamoroso contribuì, tra le altre cose, una campagna di promozione sui social media che coinvolse diversi personaggi famosi, tra cui la conduttrice televisiva Oprah Winfrey, l’influencer Kim Kardashian, il cantante Justin Bieber e le cantanti Taylor Swift e Rihanna.
In breve tempo, anticipando in parte dinamiche, reazioni e tendenze che avrebbero poi stabilmente caratterizzato negli anni a venire sia la diffusione di contenuti virali sia un certo attivismo su Internet, Kony 2012 attirò grandi attenzioni sui media tradizionali e ricevette anche numerose critiche, per gli aspetti della vicenda trascurati o trattati superficialmente. Altre critiche si concentrarono sulla contestata gestione della grande quantità di denaro (complessivamente 28 milioni di dollari, nel 2012) ricevuto in donazioni dall’associazione.
Un secondo documentario, pubblicato un mese dopo, non ottenne neanche minimamente la popolarità del primo video, in seguito definito dai media un evento unico sia per l’imprevedibilità del successo che per i successivi sviluppi controversi. Come sintetizzò il giornalista Adam Taylor sul Washington Post due anni dopo, «un video online su crimini di cui la maggior parte degli americani non aveva mai sentito parlare, commessi da un uomo che non conoscevano, in un paese che pochi avrebbero saputo collocare su una mappa, diventò la cosa più virale del mondo».
All’epoca dei fatti raccontati nel documentario, le cui riprese ambientate in Africa risalgono al 2003, Kony era da oltre vent’anni il leader del Lord’s Resistance Army (LRA, “Esercito di Resistenza del Signore”), un gruppo con base nel nord dell’Uganda ma che in precedenza aveva compiuto violenze anche in paesi vicini come il Sudan, la Repubblica Democratica del Congo e la Repubblica Centrafricana. Il documentario di Invisible Children si concentrò su uno degli aspetti per cui LRA era nota tra le associazioni dei paesi occidentali che se ne erano a lungo occupate: l’impiego di bambini soldato.
L’obiettivo del documentario, diretto dal cofondatore di Invisible Children Jason Russell, che aveva personalmente incontrato un bambino ugandese coinvolto nelle operazioni dell’LRA, era quello di descrivere i crimini di Kony e renderlo popolare in modo da sollecitare un intervento da parte dei governi occidentali. Realizzato utilizzando grafiche e materiale promozionale da campagne elettorali, Kony 2012 – che conteneva anche alcune scene molto violente – uscì nel pieno della campagna elettorale per le presidenziali americane poi vinte a novembre dal presidente uscente Barack Obama. Sulla locandina, un asino e un elefante, rispettivamente simboli del Partito Democratico e del Partito Repubblicano, erano sovrapposti in modo da formare una colomba come simbolo di pace.
La stessa amministrazione di Obama, nel 2011, aveva poi inviato in Uganda un centinaio di consiglieri militari ad aiutare l’esercito regolare locale a catturare Kony, il cui gruppo – inserito tra le organizzazioni terroristiche durante la presidenza di George W. Bush ma oggi non più attivo – si era comunque disunito e indebolito numericamente a causa delle azioni di contrasto del governo ugandese. Prima ancora, nel 2005, contro Kony era stato emesso il primo mandato di cattura della storia del Tribunale Penale Internazionale, per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. I bambini che formavano il gruppo armato di Kony, come raccontato in Kony 2012, venivano rapiti dai villaggi mentre la popolazione adulta veniva in gran parte uccisa.
Kony, latitante all’epoca del documentario e ancora oggi, sosteneva di essere un profeta in contatto con Dio e di voler stabilire in Uganda un governo basato sui dieci comandamenti. Guidava un gruppo con profonde radici religiose nel cattolicesimo e nei movimenti millenaristi cristiani, innestate su altre credenze religiose locali. Molte di queste informazioni, e altre utili a contestualizzare la figura di Kony all’interno della complessa situazione politica dell’Uganda e delle aree vicine, erano tuttavia assenti nel documentario di Invisible Children, il cui obiettivo sembrò prevalentemente quello di generare in tutto il mondo una forma di attivismo intorno al fenomeno dei bambini soldato.
Molti commentatori espressero dubbi riguardo all’efficacia concreta dell’iniziativa di Invisible Children e all’idea che aumentare la popolarità di Kony nel mondo fosse sufficiente a determinare la fine delle violenze in Uganda. La notizia della popolarità del video era peraltro circolata fin da subito molto più delle informazioni contenute nel video stesso. E la situazione politica all’interno dell’Uganda era molto cambiata dal 2003 al 2012: gran parte dei problemi del paese aveva poco a che fare con Kony e molto di più con la corruzione e l’inefficienza del governo del presidente Yoweri Museveni.
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Inoltre, in un articolo uscito qualche mese prima sulla rivista Foreign Affairs, Invisible Children era stata citata come una delle organizzazioni accusate di fare disinformazione per ottenere maggiori finanziamenti. Erano accusate, nello specifico, di enfatizzare i dati sui rapimenti dei bambini e gli omicidi dell’LRA e omettere «le atrocità del governo ugandese», i numerosi saccheggi, stupri e violenze contro i civili compiuti da altri gruppi ribelli della zona oltre che, in generale, le complicate politiche regionali che alimentavano il conflitto interno.
Altre accuse furono rivolte all’organizzazione in merito alla scarsa trasparenza nella gestione dei bilanci e al fatto che la maggior parte dei finanziamenti ottenuti tramite le donazioni finisse in stipendi, spese di viaggio e spese di produzione dei documentari, anziché direttamente in progetti di beneficenza.
In generale, Invisible Children si dimostrò non preparata al successo di Kony 2012 e alle attenzioni di una parte così ampia dell’opinione pubblica, e ne uscì pesantemente screditata. Un episodio avvenuto due settimane dopo l’uscita del documentario e molto ripreso dalla stampa internazionale fu considerato indicativo del livello di stress fisico e psicologico provato dagli autori a causa delle attenzioni mediatiche ricevute. Russell, cofondatore dell’associazione e voce narrante del documentario, uscì in strada completamente nudo e urlando frasi senza senso, e fu brevemente ricoverato in un istituto psichiatrico. Alcuni giornali avevano inoltre riferito che si fosse masturbato in pubblico.
«Ci sono veramente pochi esempi di persone che siano state pubblicamente infamate e siano finite sotto quel tipo di riflettori senza avere un qualche tipo di esaurimento», ha recentemente detto al New York Times Russell, che oggi ha 43 anni e un figlio che va alle superiori (Gavin, lo stesso che compare nel documentario e a cui Russell racconta la questione dei bambini soldato come se dovesse spiegarla, appunto, «a un bambino di 5 anni»).
In un’epoca in cui i social raccontano la guerra in Ucraina in tempo reale, ha scritto il New York Times, Kony 2012 rappresenta sia un «cimelio» risalente a un periodo di grande ottimismo sulle possibilità offerte dalla tecnologia, sia un «precursore» di tempi in cui filmati di violenze e di guerre sarebbero stati all’ordine del giorno. Il documentario fu inoltre una delle prime occasioni di dibattito pubblico sull’utilità, l’efficacia e i limiti di un certo attivismo ancora oggi popolare, fatto di petizioni online e di un utilizzo di Internet e dei media digitali come strumenti per mobilitare gli utenti.
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A proposito di una delle principali accuse rivolte agli autori di Kony 2012, cioè quella di aver eccessivamente semplificato un argomento complesso, Russell ha detto al New York Times di ritenerlo «un complimento», dato che semplificare qualcosa di difficile era necessario per raggiungere l’obiettivo di rendere il video virale.
Eric Meyerson, responsabile del marketing dei partner di YouTube nel 2012, ha detto che il documentario faceva parte di quel genere di video che la piattaforma stava cercando di promuovere all’epoca per suscitare un certo tipo di emozioni, di fiducia e di «buoni sentimenti» negli utenti. Meyerson ha detto che nel 2015, quando passò a lavorare per Facebook, quell’idea era ancora presente e diffusa ma che le cose cambiarono con il successo dei filmati in live streaming, dopo l’introduzione di Facebook Live ad agosto di quell’anno.
Dopo una significativa riduzione dello staff e un generale ridimensionamento dell’organizzazione alla fine del 2014, oggi Invisible Children è impegnata nel finanziamento di pochi progetti locali in Africa centrale. Nel 2017, gli Stati Uniti hanno ridotto gli investimenti in Uganda finalizzati alla cattura di Kony, non più considerato un pericolo nella regione.