Cosa si sa della “cerchia ristretta” di Putin
Negli anni il presidente russo si è creato una rete di stretti collaboratori e funzionari spesso più conservatori e radicali di lui
Negli ultimi anni la Russia di Vladimir Putin è diventata sempre più autoritaria allontanandosi progressivamente dagli standard democratici occidentali. Gran parte del potere è concentrata nelle mani del presidente, che si serve di una ristretta cerchia di consiglieri, funzionari e ministri per indirizzare l’azione di governo. Le modalità con cui questo avviene sono però poco trasparenti, non codificate, poiché i membri di questa cerchia non fanno parte di un’istituzione unica, ma hanno ruoli diversi e spesso non sono in contatto tra loro.
In seguito all’aggressione militare russa nei confronti dell’Ucraina, un’iniziativa della cerchia di collaboratori di Putin è stata citata come una delle poche possibilità di fermare la guerra, attraverso una qualche manifestazione di dissenso o, più concretamente, attraverso un complotto ai danni del presidente. Non c’è al momento nessun elemento che suggerisca che qualcosa di simile possa accadere, perché se già è difficile individuare chi siano le persone più potenti intorno a Putin è ancora più complesso capire cosa pensino e come si pongano rispetto alla guerra. In questi anni, poi, molti dei collaboratori più fidati di Putin si sono dimostrati ancora più conservatori e radicali di lui.
I membri della cerchia di Putin vengono a volte chiamati siloviki, un’espressione intraducibile in italiano che deriva dal sostantivo sila, cioè “forza”. Uno dei pochi che hanno tentato di raccontare in maniera sistematica la rete di potere che si è sviluppata attorno a Putin è l’analista politico russo Evgeny Minchenko, che in passato lavorò con il partito di Putin, Russia Unita.
Nel 2012, Minchenko pubblicò uno studio molto citato che conteneva un diagramma della classe dirigente russa, chiamata da lui Politburo 2.0, con riferimento all’ufficio politico del vecchio Partito Comunista dell’Unione Sovietica. Poi nel 2017 ne pubblicò una versione aggiornata, in cui diede conto dei cambiamenti avvenuti dopo l’annessione della Crimea del 2014. Dopo quell’evento, i rapporti diplomatici tra Russia e Occidente iniziarono a deteriorarsi, mentre la cerchia di Putin si consolidò e si strinse intorno al presidente, che diventò negli anni successivi l’elemento centrale e indiscutibile di questo sistema di potere.
Alcuni dei siloviki sono persone che Putin conosce bene, amici di lunga data con cui condivide la città di origine – San Pietroburgo – e la prima fase della sua esperienza politica. Il rapporto di amicizia e collaborazione tra loro continuò poi mentre Putin faceva carriera, prima come capo dei servizi segreti federali (FSB) nel 1998, poi come primo ministro nel 1999 e infine come presidente nel 2000. «Ha mantenuto quel buon senso di appartenenza con i ragazzi di San Pietroburgo» disse una volta Anatoly Rakhlin, allenatore di judo di Putin. «Non se li è portati dietro per il loro bell’aspetto, ma perché si fida».
Uno di questi è Nikolai Patrushev, segretario del Consiglio di sicurezza nazionale (un organo consultivo di cui si avvale il presidente su questioni di sicurezza nazionale). Poi ci sono Alexander Bortnikov, capo dell’FSB, e Sergei Naryshkin, a capo dell’intelligence internazionale. Sono tutti più o meno coetanei, nati all’inizio degli anni Cinquanta.
Patrushev è considerato uno dei consiglieri più fidati di Putin, nonché uno dei più ostili nei confronti dei paesi occidentali, più dello stesso Putin. In un’intervista lo scorso settembre aveva sostenuto che in Occidente «padre e madre vengono rinominati “genitore numero uno” e “genitore numero due”» e che «in certi posti si è arrivati persino a legalizzare il matrimonio con gli animali».
Secondo l’editore moscovita Konstantin Remchukov, l’élite politica che ruota intorno a Putin ha offerto alla presidenza russa un’ideologia, basata essenzialmente sulla contrapposizione con l’Occidente, sull’Ucraina come minaccia all’integrità russa e sulla Russia come baluardo dei valori tradizionali. Parlando con il New York Times, Remchukov lo ha definito «un tentativo collettivo di formare una contro-ideologia, dal momento che Putin, un’ideologia, non ce l’ha. L’idea chiave è che tutti siano contro la Russia».
Durante la bizzarra e assai commentata riunione del Consiglio di sicurezza avvenuta poco prima dell’invasione, Naryshkin è stato protagonista di un episodio molto discusso: Putin lo ha rimbeccato più volte visibilmente seccato, chiedendogli di «parlare chiaro» ed esprimere il suo sostegno al riconoscimento delle repubbliche autoproclamate di Donetsk e Luhansk. Molti commentatori occidentali lo avevano interpretato come un segnale di debolezza del sistema di potere di Putin, e come un’ulteriore manifestazione del suo isolamento anche rispetto ai collaboratori della sua cerchia.
Secondo il giornalista e studioso russo Andrei Soldatov, però, Putin si stava semplicemente divertendo a stuzzicare Naryshkin. «A Putin piace prendere in giro i suoi più stretti collaboratori» ha detto Soldatov a BBC. «Voleva solo farlo sembrare uno sciocco».
Un altro elemento che ha fatto nascere sospetti intorno alla tenuta del sistema di potere di Putin in queste settimane è stata la riunione con lo stato maggiore militare avvenuta tre giorni dopo l’inizio dell’invasione, le cui foto sono state pubblicate dai media di tutto il mondo. Nelle immagini si vede Putin all’estremo di un lungo tavolo, a metri di distanza dal ministro della Difesa Sergei Shoigu e dal generale Valery Gerasimov, evidentemente intenti ad aggiornarlo sull’andamento delle operazioni militari in Ucraina.
L’obiettivo dell’esercito russo era di occupare Kiev in tempi brevi, cosa che però non si è verificata: Gerasimov e Shoigu erano incaricati di portare a termine questo obiettivo.
Nonostante i rallentamenti dell’offensiva militare, Soldatov ritiene che Putin si fidi ancora di loro due, in particolare di Shoigu, che sarebbe il membro della sua cerchia più influente di tutti.
Come ha raccontato proprio Soldatov in un articolo uscito su Foreign Affairs, scritto insieme alla giornalista Irina Borogan, Shoigu è stato il protagonista di un importante cambiamento di equilibrio all’interno del sistema di potere in Russia. Nei primi anni in cui Putin era presidente, l’esercito non era coinvolto nelle decisioni politiche ed era più che altro subordinato ai servizi di sicurezza. Dal 2014 a questa parte, invece, l’esercito ha accresciuto la propria influenza politica, si è modernizzato e organizzato in modo più efficiente, diventando «una delle più importante istituzioni della Russia di Putin».
Tutto ciò si deve principalmente a Shoigu, un funzionario che per anni non ha ricevuto molte attenzioni in Occidente.
Shoigu è originario di Tuva, una regione al confine con la Mongolia. Negli anni Novanta, sotto la presidenza di Boris Eltsin, si fece conoscere in Russia come ministro per le situazioni di emergenza, una carica inventata da lui stesso che lo portò a visitare luoghi colpiti da calamità naturali o terrorismo insieme a squadre di soccorritori speciali. Shoigu riuscì così a costruirsi un’immagine di funzionario coraggioso e pragmatico, apprezzato sia dal governo che dalle persone comuni. Questa sua attitudine portò Putin a nominarlo ministro della Difesa nel 2012, nonostante non avesse nessuna esperienza militare (di formazione è ingegnere).
Tuttavia, negli anni, Shoigu è riuscito a far guadagnare prestigio all’esercito, soprattutto con i successi militari conseguiti con le operazioni in Crimea nel 2014 e in Siria nel 2016. «Chiunque cerchi di capire perché Putin ha acconsentito a inviare truppe, carri armati e caccia in una rischiosissima invasione militare in Ucraina, dovrebbe guardare prima alla trasformazione dell’esercito russo avvenuta sotto il comando del potente capo della Difesa», hanno scritto Soldatov e Borogan.
Per quanto possa sembrare strano, Putin costituisce la parte più pragmatica, il “centro” dell’ideologia conservatrice di cui si è alimentato il suo partito negli ultimi anni. Circa un mese prima dell’invasione, il capo dell’ufficio di Mosca del New York Times, Anton Troianovski, scriveva: «Alcuni analisti russi vedono ancora in Putin una sfumatura pragmatica. Considera ed esamina sia i proclami paranoici di confidenti come Patrushev che le idee più sobrie di collaboratori come il primo ministro Michail Mishustin», incaricato principalmente degli affari economici.
Dagli avvenimenti delle ultime settimane, sembra evidente che la fazione più radicale abbia prevalso. Lo dimostra anche il fatto che i suggerimenti del ministro degli Esteri Sergei Lavrov di mantenere i rapporti diplomatici con l’Occidente siano stati ignorati: si ritiene infatti che Lavrov, nonostante partecipi regolarmente agli incontri della cerchia di Putin, sia stato escluso dai processi decisionali che riguardano la questione ucraina. Il suo ruolo è principalmente quello di presentare al mondo le scelte russe.
Tra i membri della cerchia – che in totale sarebbero poco più di una ventina – ci sono anche alcuni imprenditori, i cosiddetti oligarchi, tra cui Gennady Timchenko, il cui yacht è stato recentemente sequestrato a Sanremo, in Liguria, e i fratelli Boris e Arkady Rotenberg, che fanno parte di una delle famiglie più ricche della Russia: gestiscono il gruppo SGM, specializzato nella costruzione di infrastrutture per il trasporto di gas e petrolio.
Un aspetto importante da considerare è che la rete di funzionari, imprenditori e ministri che ruotano attorno a Putin è strettamente dipendente da lui. Secondo Minchenko, Putin è stato attento a dividere i vari membri della cerchia, per evitare che si formassero coalizioni contro di lui. Raramente i membri si incontrano tutti insieme. «Senza di lui il sistema non funzionerebbe, perché ciascuno ha una connessione personale con Putin».