I profughi ucraini in arrivo in Italia sono già migliaia al giorno
Per ora si tratta soprattutto di ricongiungimenti familiari, ma il flusso è destinato a crescere così come lo stress sul sistema di accoglienza
Il numero dei profughi ucraini in arrivo in Italia sta aumentando: fino a sabato 5 marzo erano circa mille al giorno, mentre già domenica il numero era triplicato. Il dato aggiornato alle 16 di lunedì, fornito dal ministero dell’Interno, è di 17.286: 8.608 donne, 1.682 uomini e 6.996 minori. «Sono flussi che stiamo riuscendo a gestire bene» ha detto il capo della protezione civile Fabrizio Curcio. La maggior parte dei profughi per ora è arrivata attraverso la frontiera italo-slovena, e Curcio ha già firmato la prima ordinanza di gestione dell’accoglienza stabilendo norme e procedure e nominando commissari i presidenti di regione.
Finora in Italia sono arrivati prevalentemente cittadini ucraini che hanno potuto contare su una rete di aiuto familiare: c’era chi li aspettava e sapevano già dove andare. Guido Calvi dell’onlus Avsi, che si è occupato dell’accoglienza dei profughi al confine tra Polonia e Ucraina, spiega che «nelle situazioni di crisi estrema a fuggire per primi sono quelli che hanno maggiori mezzi e possibilità e spesso hanno già persone all’estero che possono accoglierli. Solo dopo inizia il grande flusso dei più disperati, che non hanno nulla e nessuno».
La Protezione civile si sta preparando per un aumento del flusso, per quanto ci si può preparare a un flusso migratorio come non si vedeva dai tempi della Seconda guerra mondiale, per rapidità e numeri: dall’inizio dell’invasione sono scappate dall’Ucraina più di 1,7 milioni di persone.
In Italia sono stati aumentati i CAS, i Centri di accoglienza straordinaria individuati dalle prefetture in convenzione con cooperative, associazioni e strutture alberghiere, secondo procedure spesso di urgenza di affidamento dei contratti pubblici. È stato disposto anche un aumento dei posti SAI, il Sistema di accoglienza e integrazione per rifugiati e richiedenti asilo. Al sistema SAI potranno accedere i cittadini ucraini anche se non richiedenti asilo. La rete SAI è comunque la più difficile da espandere in tempi brevi, dato che i nuovi centri devono essere aperti con la collaborazione degli enti locali: ad oggi non è ancora stato completato l’ampliamento dei centri SAI che dovranno ospitare i rifugiati afghani arrivati in Italia nell’estate del 2021, per dire.
– Leggi anche: Che fine hanno fatto gli afghani arrivati in Italia
Finora sono stati soprattutto i 248mila ucraini che vivono in Italia, di cui 190 mila donne, a facilitare l’arrivo dei loro connazionali. Si è trattato per lo più di ricongiungimenti familiari, spiegano le organizzazioni umanitarie che stanno lavorando sia ai confini con l’Ucraina sia qui in Italia. «È vero che le persone che arrivano si rivolgono ai loro parenti, ma hanno comunque bisogno di assistenza. È necessario anche un raccordo con il mondo della scuola, bambini e ragazzi dovranno frequentarla», ha detto la responsabile del Dipartimento per le Libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’Interno, Francesca Ferrandino.
Per ora le destinazioni più popolari sono state, comprensibilmente, le grandi città: Milano, Bologna, Roma e Napoli. I profughi arrivano accompagnati dai volontari delle ong e poi, il più delle volte, vanno a casa di parenti o amici. Ci sono certamente però anche casi, destinati ad aumentare, di persone che hanno bisogno di assistenza e di ricovero.
È il caso di una famiglia di cinque persone accompagnata a Milano da Progetto Arca e ospitata ora nella struttura della fondazione di via Aldini (la fondazione ha messo a disposizione della prefettura di Milano altri 50 posti, in via Stella). Altri 30 profughi, sempre a Milano, sono stati accolti a Casa Jannacci, lo storico dormitorio per senzatetto di viale Ortles.
A Napoli, 45 ucraini in fuga sono ospitati nell’edificio albergo del residence dell’ospedale del Mare di Ponticelli. A Caserta sono arrivati due pullman provenienti dal confine tra Ucraina e Polonia, i cui passeggeri sono ora alloggiati in strutture della Caritas a Caserta e a Salerno. A Bologna il prefetto Attilio Visconti ha l’obiettivo di mettere a disposizione 1.800 posti. Per ora in città sono state censite 150 persone arrivate dall’Ucraina, 700 in tutta l’Emilia-Romagna. A Roma è stata creato un hub emergenza Ucraina dove si concentrerà il lavoro di 30 associazioni e che risponde a un numero verde (800.93.88.73).
A Milano in particolare è atteso un arrivo consistente di ucraini: sia perché è la più ricca fra le metropoli italiane, sia perché conta già una ingente presenza di ucraini. Circa un ucraino su 12 che vive regolarmente in Italia risiede nella provincia di Milano.
L’assessore al welfare Lamberto Bertolè spiega che «in città vivono 8mila cittadini ucraini, 22mila nella fascia metropolitana, prevediamo quindi che sempre più persone in fuga dalla guerra arrivino qui. Non tutti certamente potranno essere ospitati da parenti e amici: stiamo organizzando un’emergenza diffusa, mettendo in collegamento le offerte abitative delle ong con le richieste dei profughi. Il consolato ucraino in questo momento ha un ruolo fondamentale». Bertolè spiega che in questa fase gli sforzi sono concentrati sulle emergenze alloggiative e sanitarie, «ma immediatamente dopo dovremo occuparci del tema scolastico, per i minori, e del sostentamento di chi arriverà. Non possiamo sperare che possano pensare a tutto parenti e amici. Di certo non potranno farlo a lungo».
Alle varie ong si stanno rivolgendo moltissimi cittadini che si offrono di ospitare profughi che abbiano bisogno di una sistemazione temporanea. La Caritas ambrosiana ha fatto per esempio sapere che 300 famiglie della Diocesi di Milano hanno già dato la loro disponibilità. Anche 13 parrocchie cittadine hanno offerto i propri spazi.
Le ong stanno raccogliendo le segnalazioni di chi si offre per ospitare i profughi, e sono state avviate campagne di raccolta fondi che stanno avendo moltissime adesioni. Giorgio Capitanio, responsabile dei progetti in Italia di Avsi, spiega che stanno individuando le famiglie a cui destinare voucher per le spese essenziali e approntando un programma per fornire ai profughi possibilità lavorative: «secondo la direttiva europea sulla protezione temporanea i profughi potranno lavorare subito. Organizziamo quindi corsi di lingue e, per chi lo vorrà, corsi di formazione professionale. Infine, ci stiamo organizzando anche per inserire i bambini nel percorso scolastico. Anche questa è una direttiva europea, i bambini dovranno andare a scuola subito e questo significa anche inserirli nelle attività ricreative e di socializzazione».
Si sta già ponendo una questione sanitaria, e infatti i presidenti di regione hanno chiesto al governo di coinvolgere l’esercito per i controlli sanitari. In Ucraina, la percentuale dei cittadini vaccinati contro il coronavirus è tra le più basse d’Europa, attorno al 35 per cento. Le Asl offriranno il vaccino a chiunque arrivi, anche perché, ha già detto il ministero della Salute, dovrà essere rispettato l’obbligo vaccinale previsto per chi ha più di 50 anni. In Ucraina però è bassa anche la protezione contro altre malattie. Negli ultimi tre anni ci sono stati alcuni focolai di morbillo e poliomielite. Il ministero della Salute ha invitato le regioni a fare le verifiche necessarie e a capire se chi arriva è vaccinato contro morbillo, parotite, rosolia, polio, difterite, tetano, pertosse, e a proporre le vaccinazioni mancanti.
Non tutti gli arrivi sono però gestiti dalle ong o dalla protezione civile. Molti singoli cittadini sono partiti da tutta Italia verso il confine con la Polonia per portare in Italia persone che già conoscevano. È il caso per esempio di don Giuseppe Tedesco, parroco di Busto Arsizio, in provincia di Varese, che ha percorso 3mila chilometri su un furgoncino per portare in Italia sei bambini e ragazzi dai 9 ai 15 anni e una mamma con la figlia di poche settimane. I ragazzi e i bambini erano gli stessi che a Natale erano stati in vacanza in parrocchia nell’ambito dei soggiorni per i bambini dell’area della centrale nucleare di Chernobyl.
Il parroco ha raccontato che i ragazzi avevano raggiunto facilmente il confine polacco più vicino ma lo avevano trovato chiuso, dovendosi poi spostare per 90 chilometri in pullman per trovare infine un varco aperto: «Lì sono stati in coda al gelo dalle 19 alle 7 del mattino. Oltre il confine un loro zio li ha portati a Lodz, dove vive, e lì poi sono arrivato io».
Vittorio Dittati, un pensionato di Civita Castellana, in provincia di Viterbo, ha fatto quasi 4mila chilometri in auto per andare a prendere Solomia, di 24 anni, e sua figlia Vittoria di 4, che erano partite da Chervonohrad, poco a nord di Leopoli. Ha raccontato Dittati, che conosce la donna da quando era piccola: «Solomia e sua figlia hanno camminato per oltre 50 chilometri a piedi. Due giorni in pratica, sempre con la paura, e hanno dormito dentro un pulmino per una notte». Le lunghe code al gelo sono nel racconto di tutti i profughi: nei posti di confine di Dorohusk o Hrebenne, tra Polonia e Ucraina, di notte la temperatura scende fino a meno otto gradi.
Alberto Sinigallia, presidente di Fondazione Arca, è tornato da poche ore da Siret, al confine tra Romania e Ucraina, dove l’organizzazione umanitaria ha allestito un campo in grado di ospitare chi lascia il paese. «Una volta passato il confine», spiega, «i profughi vengono assistiti, vengono garantiti loro cibo e accoglienza. Accompagniamo poi chi ha come destinazione l’Italia, si tratta per ora soprattutto di ricongiungimenti familiari».
È al di là del confine che la situazione è decisamente più difficile: «il vento gelido è veramente pesante, spesso chi è fuggito da situazioni drammatiche non ha l’abbigliamento adatto ed è costretto a restare in piedi in coda per lunghe ore. Per chi arriva in auto poi la coda può durare anche oltre 30 ore». A Siret il Progetto Arca ha accolto anche 700 ragazzi indiani che erano a Kiev a studiare. Sono stati ospitati nella struttura della fondazione per raggiungere l’aeroporto dove si imbarcheranno per tornare in India.
L’associazione Soleterre è invece riuscita a portare in Italia undici bambini malati oncologici che a Kiev venivano ormai curati nei bunker. Dalla capitale, spiegano i responsabili di Soleterre, i bambini sono stati portati a Leopoli in treno (il viaggio è lungo 800 chilometri), poi a bordo di autobus hanno attraversato la frontiera e raggiunto Varsavia, quindi con un aereo messo a disposizione dalla Regione Lombardia sono arrivati a Linate il 3 marzo. I bambini stanno bene ma, come spiegano da Soleterre, «stanno vivendo una situazione pluritraumatica, alla malattia si è aggiunto il trauma della guerra che rischia di compromettere le possibilità di guarigione».
Anche i consolati ucraini nelle varie città italiane sono ovviamente molto attivi. Chiedono di non portare indumenti ma soprattutto medicinali (l’elenco si trova su Salvaucraina), prodotti per l’igiene, sacchi a pelo e caricabatterie per smartphone.