Sono tempi difficili per chi compra grano da Ucraina e Russia
Soprattutto per alcuni paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, specialmente se già in difficoltà economiche
All’inizio del Novecento l’Ucraina era soprannominata “il granaio d’Europa”, perché nelle sue grandi pianure si coltivavano molti cereali. Ancora oggi il paese è uno dei maggiori esportatori al mondo di grano, almeno secondo gli ultimi dati disponibili: il quinto, dopo Russia, Stati Uniti, Canada e Francia. E insieme Russia e Ucraina sono responsabili di quasi un terzo delle esportazioni complessive di grano. Per questo l’invasione russa dell’Ucraina, che ha subito bloccato i porti sul mar Nero, ha già fatto aumentare il prezzo del grano e probabilmente causerà grossi problemi ai paesi che fanno più affidamento sulle importazioni dall’Europa orientale. Sono perlopiù paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, dove il clima caldo e secco non favorisce la coltivazione del cereale.
Secondo i dati dell’International Trade Centre, un’agenzia congiunta dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) e delle Nazioni Unite, nel 2020 l’Egitto è stato il paese che ha speso di più per importare grano e il terzo per quantità di grano importata, dopo Indonesia e Turchia: il 60 per cento lo ha acquistato dalla Russia, il 26 per cento dall’Ucraina, solo il restante 14 per cento da altri paesi.
Il ministero per l’Approvvigionamento e il Commercio interno egiziano ha detto che le attuali scorte di grano sono sufficienti per almeno quattro mesi di consumo e sta cercando di fare accordi per acquistarne altrove. Intanto, secondo quanto riferito a Bloomberg da un membro della Camera di commercio egiziana, al Cairo il prezzo del pane non sovvenzionato dallo stato è aumentato del 50 per cento dalla scorsa settimana (l’Egitto ha un decennale programma di sussidi che permette di acquistare pane a prezzi calmierati al 70 per cento della popolazione).
L’aumento del prezzo del grano per via della guerra potrebbe danneggiare moltissimo anche il Libano, paese che peraltro da più di due anni sta vivendo una gravissima crisi economica e che in rapporto al numero di abitanti importa grano più o meno quanto l’Egitto. Nel 2020 l’81 per cento delle sue importazioni di grano provenivano dall’Ucraina, il 15 per cento dalla Russia. Le attuali riserve di grano del Libano possono durare per un mese e mezzo, ha detto ad AFP Ahmad Hoteit, rappresentante degli importatori di grano libanesi: la capacità del paese di accumularne è stata compromessa dalla grande esplosione al porto di Beirut nel 2020.
Altri paesi che importano grano soprattutto dall’Ucraina – e secondariamente dalla Russia – sono la Libia e la Somalia. Pure il World Food Programme, l’organizzazione umanitaria delle Nazioni Unite che fornisce risorse alimentari nelle zone del mondo dove si soffre la fame, ha acquistato il 70 per cento delle sue riserve di grano del 2021 dall’Ucraina e dalla Russia: in futuro potrebbe avere difficoltà ad aiutare le popolazioni in difficoltà alimentari.
Nel 2020 l’Ucraina è stata il primo paese esportatore di grano anche per l’Indonesia, la cui dipendenza dai cereali est-europei è però più ridotta, dato che il paese importa comparabili quantità di grano anche da Argentina, Canada, Stati Uniti e Australia.
Generalmente, finora il grano russo e ucraino è stato preferito da quei paesi che per vicinanza geografica spendevano meno a importarlo dall’Europa orientale piuttosto che dall’America: saranno loro i più danneggiati dalla guerra, soprattutto nella misura in cui faticheranno ad acquistare il grano a prezzi maggiori da esportatori più distanti.
Un caso notevole è la Turchia, dopo l’Indonesia secondo paese al mondo per tonnellate di grano importate nel 2020: il 67 per cento dalla Russia, l’11 per cento dall’Ucraina. Ismail Kemaloglu, ex capo dell’azienda statale turca che si occupa dell’acquisto di cereali, ha detto al Financial Times: «La guerra aumenterà ancora di più il costo del cibo. L’aspetto più critico per la Turchia è che il Mar Nero offriva un vantaggio logistico ed economico. I prezzi aumenteranno molto quando compreremo dagli Stati Uniti o dall’Australia».
Kemaloglu ha parlato di un aumento ulteriore perché anche prima che la Russia invadesse l’Ucraina i prezzi del grano erano cresciuti in tutto il mondo a causa della crisi economica dovuta alla pandemia da coronavirus e a raccolti scarsi in Canada, Stati Uniti e Argentina. Poi il 24 febbraio, giorno di inizio dell’invasione, il valore dei futures americani sul grano ha raggiunto e superato quello più alto degli ultimi dieci anni, risalente all’estate del 2012 (i futures sono contratti che si acquistano in borsa e impegnano chi li stipula a comprare un bene a un prezzo prefissato in una data concordata: in sostanza, i mercati hanno scommesso che il prezzo del grano continuerà ad aumentare).
Dall’inizio dell’anno questo valore è aumentato di più del 40 per cento e ha superato quelli toccati tra il 2007 e il 2008, anni in cui la produzione di cereali diminuì molto in Russia, in Australia e in altri paesi esportatori: il conseguente aumento del prezzo del grano fomentò grandi proteste in una quarantina di paesi, da Haiti alla Costa d’Avorio. Anche tra il 2009 e il 2010 ci fu un aumento del prezzo del grano, che si ritiene abbia influenzato i fatti delle cosiddette primavere arabe.
È comunque difficile fare previsioni sull’impatto della guerra in Ucraina sugli approvvigionamenti di grano e sulle risorse alimentari più in generale.
Il grano è coltivato in tante parti diverse del mondo e l’assenza di quello ucraino (ed eventualmente russo) dal mercato non è del tutto irrimediabile. Molto però dipende da quanto durerà la guerra: per il momento il conflitto ha semplicemente bloccato le spedizioni delle forniture di cereali, ma potrebbe anche impedire agli agricoltori ucraini di procedere con la semina di questa primavera, riducendo la produzione mondiale. In Russia dovrebbero esserci meno problemi da questo punto di vista, ma le sanzioni economiche imposte dalla comunità internazionale al paese potranno avere a loro volta un forte impatto. Il notevole aumento del valore dei futures è probabilmente influenzato dalla previsione che la crisi in Ucraina non si risolverà a breve.
Per l’Italia l’impatto della guerra sul mercato del grano non sarà paragonabile a quello di altri paesi, anche se per alcuni produttori potrebbe farsi sentire. Secondo un’analisi di Confagricoltura riportata dal Corriere della Sera, nei primi dieci mesi del 2021 l’Italia ha importato 122mila tonnellate di grano tenero (quello con cui si fa il pane) dall’Ucraina e 72mila dalla Russia: quantità che messe insieme sono circa il 5 per cento del totale. Per quanto riguarda il grano duro (quello con cui si fa la pasta), non ne è stato importato dall’Ucraina, ma dalla Russia sì: 51mila tonnellate, pari al 2,5 per cento del totale.
Il vicepresidente di Confagricoltura Matteo Lasagna ha spiegato che per la produzione alimentare e l’agricoltura italiane saranno molto più rilevanti l’aumento del prezzo del gas (che tra le altre cose viene usato tantissimo per poter produrre i fertilizzanti) e di quello del mais, un altro cereale di cui l’Ucraina è grande produttrice e con cui si nutre il bestiame: nei primi dieci mesi del 2021 l’Italia ha importato il 40 per cento del mais che usa, l’11 per cento del quale proveniva dall’Ucraina.