Emmanuel Macron, il «non-candidato»
Il presidente francese si prepara alle prossime elezioni facendo pochissima campagna elettorale e sfruttando la crisi provocata dalla guerra in Ucraina: i sondaggi gli danno ragione
Il prossimo 10 aprile, tra circa un mese, in Francia si terrà il primo turno delle elezioni presidenziali. Già complicata dalla crisi sanitaria legata al coronavirus, nelle ultime due settimane la campagna elettorale è stata travolta dall’invasione russa in Ucraina e dalle sue possibili ripercussioni in Europa. I giornali francesi parlano di una «campagna fantasma», che sembra essere finita prima ancora di essere cominciata, e di elezioni «speciali», «strane» e «senza precedenti», nelle quali Emmanuel Macron occupa una «posizione unica», dice Le Monde: è il principale candidato, favorito in tutti i sondaggi, è il presidente della Repubblica francese e la Francia è anche il paese che ha assunto la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea, cosa che attribuisce allo stesso Macron ulteriori responsabilità e possibilità di visibilità e azione.
Per questo le elezioni presidenziali di aprile sono senza precedenti: per la prima volta da quando in Francia è iniziata la Quinta Repubblica, dunque dalla fine degli anni Cinquanta, un’elezione che per sua natura è una consultazione interna, che si misura sulle questioni di politica interna, e che crea generalmente una sorta di bolla temporanea che ripiega il paese su se stesso, è invece dominata da un evento esterno e condizionata da un paese straniero: «E questo fenomeno, senza precedenti da oltre mezzo secolo, è accompagnato da una notevole preoccupazione pubblica per l’aggressione militare in corso» che si ripercuote sui sondaggi delle stesse elezioni.
L’entità del vantaggio attribuito a Macron è a sua volta senza precedenti. Tutte le ultime ricerche lo collocano tra il 25 per cento (un dato che rappresenta un elettore su quattro, di quelli che intendono votare) e il 30,5 per cento. Anche tenendo conto delle percentuali più basse, Macron ha comunque oltre 10 punti di vantaggio su Marine Le Pen, di Rassemblement National (destra radicale), 15 su Valérie Pécresse, di Les Républicains (LR, destra), il partito un tempo guidato dall’ex presidente Nicolas Sarkozy, 17 su Éric Zemmour (destra estrema), giornalista e conduttore recentemente condannato per incitamento all’odio, e 17 anche su Jean-Luc Mélenchon, del partito di sinistra radicale France Insoumise.
Anche i sondaggi sul secondo turno, che si terrà il 24 aprile, dicono che Macron vincerebbe: contro Le Pen (con il 57 per cento contro il 43), contro Pécresse (con il 59 per cento contro il 41) e contro Zemmour (con il 65 per cento contro il 35).
In generale, nel dibattito per le presidenziali sono assenti i confronti tra i dodici candidati su tutti i grandi temi più classici e tradizionali di politica interna: deficit e potere d’acquisto, occupazione e politica industriale, sicurezza e immigrazione, energia ed ecologia, scuola e salute. E sono invece entrate nuove questioni: il potere militare, la sovranità energetica, il ruolo dell’Unione Europea.
In questo contesto, Macron si è inserito con un grande vantaggio: quello di non dover rendere centrale, nella discussione, il bilancio del suo precedente mandato e quello di aver potuto trasformare in un criterio fondamentale per la futura scelta di elettori ed elettrici la sua capacità e la sua possibilità in quanto presidente di affrontare la grave crisi in corso.
Macron sta sfruttando questo vantaggio, di cui di fatto non è responsabile: «Non per tattica, ma per dovere», assicurano dal suo partito.
Secondo i giornali francesi, Macron ha voluto fare, della sua ricandidatura ufficiale alle presidenziali, «un non-evento». L’ha annunciata con una lettera pubblicata sui giornali lo scorso 3 marzo in cui ha subito chiarito che non avrebbe potuto condurre la campagna elettorale come avrebbe voluto «a causa del contesto». «Il candidato deve poter presentare il suo progetto al paese, ma anche il presidente deve continuare a fare il suo lavoro», si dice in un video del suo partito pubblicato il 4 marzo. E ancora: «Sarà candidato solo quando il suo mandato di presidente della Repubblica glielo consentirà», ha detto un consigliere dell’Eliseo.
Macron non ha accettato di partecipare a confronti pubblici con gli altri candidati alle presidenziali, la sua attività diplomatica gli permette di occupare molto spazio senza alcun contraddittorio e di ridurre al minimo le questioni che, come candidato, dovrebbero essere al centro dei suoi discorsi e delle sue risposte. In tutto questo, c’è chi vede un disegno ben preciso, del presidente: «Tutto è costruito per intorpidire l’opinione pubblica, per evitare il confronto di idee e progetti», ha detto Marine Le Pen. «Si vede chiaramente la strategia del non-candidato che cerca di nascondere il suo bilancio e di rifugiarsi cinicamente dietro la crisi internazionale», ha spiegato a sua volta Éric Ciotti, di Les Républicains.
La campagna elettorale di Macron viene organizzata su base giornaliera: un incontro è già stato cancellato, un altro rimandato e per ora, hanno fatto sapere dalla sua squadra, sono previsti «due o tre comizi» e qualche viaggio, per ridurre al minimo le possibilità di ritrovarsi dall’altra parte della Francia se gli eventi dovessero precipitare in Ucraina.
In questa situazione, i sostenitori di Macron sono stati invitati ad avere un ruolo maggiore del previsto: gli attivisti sono stati chiamati a distribuire circa 2,5 milioni di volantini nel prossimo fine settimana e Macron stesso li ha invitati a mobilitarsi «in ogni paesino, in ogni città», perché «il contesto internazionale, segnato dalla guerra in Europa» non permetterà a lui di impegnarsi in prima persona. «Il vostro impegno è quindi prezioso, per portare avanti il nostro progetto», ha detto. Resta da vedere quale sia il progetto, commenta Le Monde, perché per ora nessuna riforma proposta è stata chiaramente presentata dal presidente uscente.
Il conflitto in Ucraina ha indebolito gli altri candidati, anche se ciascuno e ciascuna di loro cerca di sfruttare la situazione a proprio vantaggio.
Valérie Pécresse, ad esempio, sta cercando di riconquistare terreno sull’estrema destra: «Con questa guerra in Ucraina, le maschere sono calate», ha detto qualche giorno fa prendendo di mira i candidati «che in passato hanno giurato fedeltà a Vladimir Putin», ossia Éric Zemmour e Marine Le Pen. Ed è vero, che Le Pen e Zemmour sono ora presenti nel dibattito pubblico non tanto per presentare i loro progetti ma per giustificare la loro passata passione per Vladimir Putin. Il conflitto ha mostrato poi nuove fratture all’interno dell’estrema destra, in particolare sull’accoglienza dei profughi. Le Pen è favorevole, Zemmour ha suggerito che sia invece la Polonia ad assumersi questa responsabilità, perdendo punti nei sondaggi.
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Uno dei rischi che gli osservatori fanno notare è comunque che le presidenziali si trasformino in un tacito rinnovo di Macron o che gli elettori e le elettrici considerino l’esito come qualcosa di scontato. «Il rischio democratico rappresentato dalla crisi ucraina», ha spiegato Brice Teinturier dell’istituto di ricerche IPSOS, «è quello di eludere un dibattito assolutamente necessario sulle grandi opzioni tra cui decidere per governare la Francia nei prossimi cinque anni». Cosa, questa, che non gioverebbe a nessuno, nemmeno a Macron: «Si tratterebbe più di un rinnovo che di una rielezione, con una grande potenziale debolezza per il resto del suo mandato».
Il rischio connesso a questa situazione è quello di un’alta astensione, parametro che può venir utilizzato, a torto o a ragione, per minare la legittimità di un’elezione. Bruno Retailleau, presidente del gruppo Les Républicains al Senato, l’ha riassunto con questa formula: «Una campagna senza dibattito porterebbe, di base, a un presidente eletto senza mandato».