I “corridoi umanitari” secondo la Russia
Sembrano più uno strumento per ottenere successi militari, che per garantire la fuga sicura dei civili dalle città bombardate: ed è una strategia che si era già vista in Siria
Lunedì, per la terza volta nel giro di tre giorni, non è stato possibile garantire la creazione di “corridoi umanitari” per evacuare i civili da alcune città ucraine bombardate dall’esercito russo.
Nei primi due casi, che hanno riguardato soprattutto Mariupol, dove la situazione è particolarmente critica, l’evacuazione non è mai iniziata o è stata interrotta nelle sue prime fasi, a causa della violazione dei cessate il fuoco che testimoni e giornalisti sul posto hanno attribuito soprattutto ai militari russi, che hanno colpito e ucciso civili in fuga (la Russia ha dato invece la colpa all’Ucraina).
Nel terzo caso ci si è fermati prima: la proposta russa di cessate il fuoco per permettere ai civili di lasciare alcune città non è stata nemmeno presa in considerazione dal governo ucraino, che attraverso un portavoce del presidente Volodymyr Zelensky l’ha definita «inaccettabile» e «immorale». La Russia proponeva infatti la creazione di “corridoi umanitari” che avrebbero portato i civili ucraini in Russia e in Bielorussia (paese alleato della Russia), e non come chiedeva il governo di Kiev nelle zone dell’Ucraina occidentale non ancora colpite dai bombardamenti. Di fatto proponeva di mandarli nei territori degli stessi paesi aggressori.
L’impossibilità finora di creare dei “corridoi umanitari” sembra essere stata più espressione di una precisa volontà del governo russo, che il frutto di incidenti o incomprensioni tra le due parti in guerra. Un argomento usato da chi sostiene questa tesi è che non sarebbe la prima volta, considerato che qualcosa di molto simile si era già visto durante la guerra in Siria, quando la Russia era intervenuta militarmente a fianco del regime di Bashar al Assad e dove le violazioni dei cessate il fuoco e gli attacchi contro i civili che attraversavano i “corridoi umanitari” non erano eventi rari.
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I “corridoi umanitari” sono zone demilitarizzate che non possono essere oggetto di attacchi o bombardamenti per un certo periodo di tempo concordato tra le parti coinvolte nella guerra: l’ONU li considera una delle possibili forme di sospensione dei combattimenti in un conflitto armato. Vengono usati per evacuare civili, ma anche per portare cibo e medicine, e vi si ricorre soprattutto nelle città assediate, dove cioè non esiste una via di fuga che non passi per il territorio nemico (fu così per esempio durante l’assedio di Sarajevo tra il 1992 e il 1995).
Mariupol e Volnovakha, che si trovano nel sud dell’Ucraina, sono in una situazione simile, anche se non sono ancora completamente circondate, così come Kharkiv, nel nord-est, e Irpin, vicino alla capitale Kiev. In nessuna di queste città i “corridoi umanitari” hanno funzionato: non c’è stato un trasferimento massiccio di civili lontano dai bombardamenti, non si è riusciti a portare aiuti alle popolazioni locali e il cessate il fuoco non è mai entrato davvero in vigore.
Circostanze simili si erano già verificate durante la guerra in Siria, ha scritto tra gli altri Anna Borshchevskaya, analista del Washington Institute, e già allora la reputazione della Russia si era deteriorata: c’era progressivamente sempre meno fiducia che i cessate il fuoco e i “corridoi umanitari” sarebbero stati rispettati, ma le condizioni particolari di quella guerra avevano contribuito a far sì che il governo russo continuasse a essere trattato come “mediatore”; come parte della soluzione piuttosto che parte del problema, anche a causa della presenza di moltissimi gruppi e fazioni estremiste e terroristiche che per alcuni rendeva necessaria nei negoziati la presenza di una forza istituzionale benché schierata con Assad.
In Ucraina la situazione è diversa e gli effetti di queste continue violazioni potrebbero essere molto più significativi e rilevanti.
Il punto centrale del comportamento russo, ha scritto Borshchevskaya, è che allora come oggi il regime di Vladimir Putin sembra essere interessato a usare i negoziati, i cessate il fuoco e la creazione di “corridoi umanitari” come tattiche per prendere tempo: per riorganizzare i propri soldati sul campo, come è avvenuto tra sabato e domenica in Ucraina, e per colpire e indebolire l’avversario, rafforzando la propria posizione. In Siria anche l’evacuazione dei civili era considerata un pezzo di una strategia più ampia avviata dalla Russia per arrivare alla conquista delle città contese, attraverso l’assedio e lo sfinimento fisico ed emotivo della popolazione locale.
In questo senso, secondo Borshchevskaya, nel regime russo di Putin non ci sarebbe divisione tra chi fa la diplomazia e chi fa la guerra, a differenza di quanto avviene in Occidente: la diplomazia sarebbe in pratica uno strumento in più per piegare il nemico, e non per trovare un accordo. È anche per questa ragione che dai negoziati di pace in corso (oggi, lunedì 7 marzo, è iniziato il terzo giro di colloqui tra Russia e Ucraina) non ci si aspetta alcuna decisione risolutiva.