Il limite del “buonismo ingenuo”
Quello che ha convinto Putin ad agire è il declino in Occidente dell'idea del "miglioramento continuo", scrive lo storico Andrea Graziosi
Andrea Graziosi è un importante e stimato storico che ha 68 anni ed è uno dei maggiori esperti di storia sovietica e russa moderna e contemporanea. In questi giorni è stato intervistato su quello che sta succedendo in Ucraina, e ha condiviso con le altre persone della Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea delle riflessioni che sua figlia Irene ha pubblicato su Medium. Il testo completo è qui.
L’idea prevalente (nella nostra Costituzione come nei documenti della costruzione europea o in molti testi statunitensi) era quella del “miglioramento continuo” (come se ciò fosse possibile in un mondo in cui il destino di tutti è nell’invecchiamento e nella morte, e in cui solo dall’accettazione della propria mortalità come individui può nascere e fiorire la vita — facile qui rimandare alle nostre reazioni di fronte al COVID, e al sacrificio dei giovani ad esso); il continuo, cieco riferimento a diritti in perenne ampliamento e per sempre acquisiti (ahimè, povero Bentham, verrebbe da dire); alla pace perpetua; o a una fratellanza universale che solo la malvagità di alcuni impedisce di raggiungere. Le reazioni di tanti giovani amici e tanti allievi che mi ripetono “ma come”, “non ce lo saremmo mai aspettato”, “è impossibile” mi hanno più volte ultimamente confermato la forza di questa “buonismo ingenuo”, il cui vero limite sta nella incapacità di vedere oltre che di ascoltare la realtà, e in specie il Male, che esiste.
Eppure le guerre jugoslave, presto derubricate a episodi minori, annunciarono con chiarezza per chi studiava quelle storie ciò che sarebbe potuto accadere nei territori ex-sovietici (quello di Gorbachev e Elc’in e Kravchuk, spesso oggi disprezzati per la loro ‘ingenuità’, fu davvero un ‘miracolo’), testimoniando la falsità intrinseca delle pur gradevolissime e benefiche idee dominanti. E la grande divisione del mondo in stati più o meno “nazionali” continuava e continua a bruciare non solo in Africa, il continente dove la grande accelerazione, da noi ormai spenta, è cominciata più tardi e dove oggi c’è più vita, ma anche in almeno altre due aree specifiche, oltre a quelle ex socialiste, la più grande delle quali è legata, penso non a caso, al mondo islamico.
Per quelli che come me seguivano certi mondi, a partire dal 2004 fu chiaro che qualcosa di nuovo anche a livello ideologico andava componendosi, certo in modo e con ingredienti diversi, intorno a Putin in Russia come ad altri nuclei in altri paesi (penso per esempio all’India ma anche all’evoluzione del gruppo post-dengista in Cina, del Trumpismo ma anche di certa “nuovissima” sinistra in Usa, e persino ai Cinque Stelle o a un certo neo-social-nazionalismo in Italia), e che questo qualcosa trovava sponda in, e traeva forza da un “Occidente” davvero in crisi. Uso le virgolette perché l’Occidente è un concetto intellettuale e storico, NON geografico e fisso, legato ai valori di una libertà anche individuale declinabile in modi molto diversi e sempre cresciuta accanto e insieme a oppressione e ingiustizia e quindi comprensibilmente accusabile di ipocrisia, se non si prestasse attenzione al fatto che almeno in questi “Occidente” essa è in qualche modo e comunque sopravvissuta.
L’Occidente a mio avviso (e per me purtroppo, ma questo è un giudizio personale) oggi in crisi terminale è quello nato dopo il 1945 da un’unione tra Stati Uniti e Europa occidentale che fino agli anni Sessanta ha dominato il mondo non socialista. Prima di esso vi erano stati — in una catena di cui dimentico sicuramente alcune maglie e che limito alla nostra storia — quello greco classico, quello cristiano e quello dello stoicismo imperiale romano, quello dei comuni italiani, del Rinascimento, dell’illuminismo anglo-francese, nonché della grande cultura e della grande scienza tedesca e anche russa, il cui tramonto Spengler annunciò con tanta amarezza nella prima guerra mondiale.
La crisi del nostro Occidente, visibile negli anni Settanta e poi nascosta dal trionfo del 1991, era nel primo decennio del nostro secolo sotto gli occhi di tutti, Putin compreso. Da un certo punto di vista, il suo ultimo “presidente” è stato Bush jr, e Obama il primo della nuova era. Non vi è per esempio dubbio che un ruolo importante nell’incoraggiare Putin lo abbiano giocato le minacce formali di Obama a Assad, prima formalmente annunciate e poi non realizzate, anche perché il vero perno di quella presidenza era –dichiaratamente e non irragionevolmente– la costruzione di un’America migliore e non la guida del “mondo libero”, un’America tra l’altro non più (tranne che tra gli anziani) un paesi di italo-, ebreo- o polacco-americani, ma piuttosto di appena arrivati messicani, indiani, cinesi, africani ecc.
È il declino — economico come demografico (i dati sono impressionanti), culturale e politico — di quest’ultima incarnazione dell’Occidente, che credo molti rimpiangeranno malgrado le sue ipocrisie, i suoi vizi, e i suoi errori, non certo la paura della minaccia di una Nato che non teme affatto, ad aver convinto Putin che si poteva agire, e tante élite mondiali a pensare che l’ordine del mondo potesse e dovesse essere riscritto, anche se certo non da un paese in realtà “piccolo”, povero e in crisi come la Russia. Una Russia, la cui perdita nel 1917, fu uno dei fattori fondamentali del tramonto dell’Occidente ‘spengleriano’ e una Russia con cui negli anni Novanta non ci si è riusciti a riunire credo essenzialmente a causa del passato sovietico.
(leggi per intero su Medium)